Andrea Filloramo: Troppi Monsignori e pochi uomini di Chiesa

Andrea Filloramo 

Chiudo il cerchio degli articoli da me pubblicati in questi ultimi giorni su IMGPress, commentando quanto un prete calabrese, fra l’altro, mi scrive: “La mia impressione è che non solo a Messina, ma anche nella mia diocesi (……) si sia mantenuto un sistema di titoli e abiti onorifici, in cui i “monsignori” abbondano, e con essi le distinzioni che separano e non uniscono. Invece che suscitare rispetto, questi pavoni finiscono per generare solo distanza e ironia”

……………………………………………………………………………………………………………………….. 

Già nel lontano 1953 Henri de Lubac (1896-1991) nel suo libro “Meditazioni sulla Chiesa” aveva scritto che “il pericolo più grande per la Chiesa e la tentazione più perfida è il narcisismo di buona parte dei preti”. 

Attualizzando questo pensiero  espresso in un tempo lontano del teologo francese e prendendo visione delle  immagini e video che, ancor oggi, mi giungono  attraverso i social, in cui, vedo sempre dei preti che sfoggiano e si esibiscono con talari rosse che, come sappiamo indicano  il grado gerarchico o un livello di superiorità, che dovrebbe non esserci all’interno  dello stesso clero diocesano,  penso che  la Chiesa stia vivendo un momento di difficoltà, segnato da una sempre più evidente crisi gerarchica, dovuta particolarmente alla presenza di “lobby” interne, la cui chiave di lettura  è, perciò,  da ricercare nella presenza di ecclesiastici affetti da un disturbo narcisistico della personalità.  

Per comprendere la gravità di questo disturbo, che non è soltanto clericale, occorre leggere i libri di psicologia per sapere che i narcisisti hanno come note caratteristiche quella di voler piacere a tutti, unita alla convinzione che tutti debbano ammirarli e alla certezza di non sbagliare mai.  

L’unica cosa che conta per loro è la propria immagine, come appunto rimanda il mito di Narciso, e questa insistita concentrazione sul proprio ego fa sì che il narcisista manchi di empatia, ha, quindi, una certa difficoltà o incapacità di comprendere le emozioni, i sentimenti e le prospettive degli altri. Mostra talvolta indifferenza emotiva e scarsa comprensione delle emozioni altrui.  

Una ricerca condotta in Canada sul clero stima che i sacerdoti narcisisti possano essere il 32%: uno su tre. Questa affermazione trova l’avallo di Darrell Puls e Glenn Ball, studiosi che hanno dedicato anni allo studio di vari enti religiosi, i quali si sono trovati concordi nell’affermare che «dietro molte parrocchie con gravi problemi ci sono sempre parroci con disturbi narcisistici della personalità». 

Non è difficile capire come i danni che un pastore narcisista può provocare all’interno della Chiesa e nell’animo dei fedeli che gli sono affidati siano rilevanti.  

Non è infatti solamente il clima relazionale interno alla parrocchia a risentire di personalità di questo tipo, incapaci di «soffrire con le pecore» e circondati da persone sottomesse, bensìè la stessa centralità di Gesù Cristo a essere minata. 

Da evidenziare che il narcisismo interno alla Chiesa continua sempre ad autoalimentarsi con l’emergere di sempre nuovi preti con la stessa tendenza, e perché spesso i vescovi tendono a non agire per arginare il problema. 

Non è solo una questione estetica. È un problema di credibilità.  

Papa Francesco ha tracciato una linea chiara. Ha limitato il titolo di monsignore, ha semplificato i segni esteriori, ha invitato vescovi e preti a “camminare con l’odore delle pecore”. Eppure, in alcune realtà locali sembra che la logica del rango prevalga ancora su quella del servizio. 

Non si tratta di demonizzare il giusto decoro. Ma di chiedersi: che segno si sta dando alla gente? Il Vangelo non chiede ai preti di essere riconosciuti per il colore della fascia, ma per l’umiltà delle scelte. E se il popolo vede nel clero più attenzione al titolo che al prossimo, la fede e la Chiesa si svuotano, 

Forse è arrivato il momento di fare un passo audace: meno titoli, più testimonianza. Meno velluti, più vangelo vissuto. Una Chiesa che si spoglia del superfluo non perde dignità: la ritrova nel cuore del popolo e nel cuore di Dio.