Il cammino sinodale. Vangelo, fraternità, mondo

di ANDREA FILLORAMO

“Il cammino sinodale” vuole essere un percorso “diffuso” e senza barriere sollecitato da Papa Francesco che la Conferenza Episcopale Italiana ha messo a punto, un itinerario che ha al centro un “trinomio”, come viene chiamato negli “Orientamenti iniziali”, frutto del Consiglio permanente straordinario: Vangelo, fraternità, mondo. 

Sono queste le tre dimensioni che erano già indicate nella bozza consegnata a Papa Francesco dalla presidenza Cei e che hanno fatto da bussola per la “Carta di intenti” approvata nell’Assemblea generale dei vescovi italiani.

Il cammino sinodale è un’esperienza di ascolto concreto ma umile, di discernimento sapiente richiesta da Papa Francesco alla Chiesa ed esprime quello che possiamo considerare il più grande e significativo suo gesto, con cui propone che si realizzi una comunità dove tutti, laici, pastori, uomini e donne, senza paura di cambiare e di osare strade nuove, divengono parti attive in tutte le decisioni che condurranno a individuare scelte e priorità.

Papa Francesco ha ben presente che la Chiesa non può non tenere conto che stiamo vivendo un tempo di ripresa della vita sociale, che coincide anche con la vita religiosa nelle diocesi, nelle parrocchie e nelle istituzioni religiose, mentre stiamo uscendo (lo speriamo!) dall’emergenza della pandemia, un tempo che può diventare anche di rigenerazione per la vita delle comunità e a questo tende il Sinodo dei vescovi al quale il Papa propone di attivamente predisporsi.

Tutti, quindi, anche se turbati, confusi e sconvolti per quello che inaspettatamente, in questi ultimi due anni, è successo, dobbiamo cercare, con il Papa, un’unica via da percorrere, che necessariamente dovrà coincidere con quella della solidalità con tutti gli esseri umani, colpiti indiscriminatamente dal virus, con la voglia di ripulire le “stanze” del potere, di qualunque potere, da ogni “sporcizia” che si è accumulata nel tempo, che non è solo, per la Chiesa quella della pedofilia.

 Di tale sporcizia per primo, ben sedici anni fa, ha parlato l’allora Cardinale Ratzinger, futuro Pontefice, commentando una stazione della Via Crucis davanti a Giovanni Paolo Secondo.

Egli ha legato direttamente la sporcizia alla superbia e all’autosufficienza di tanti cristiani, in primis dei suoi sacerdoti e aggiunse: “la veste e il volto così sporchi della tua Chiesa ci sgomentano. Ma siamo noi stessi a sporcarli!”.

Queste non sono parole profetiche di un anziano uomo di chiesa, ma rappresentano l’analisi lucida di chi ha saputo leggere il suo tempo, un Papa che ha visto nella superbia umana il vero male, del quale Ratzinger forse si è sentito schiacciato, e forse anche in parte corresponsabile con il Papa precedente, tanto che dopo otto anni dalla sua elezione a Pontefice Romano, ha ritenuto di “abbandonare”, con le sue dimissioni espresse davanti ai cardinali, la nave che stava affondando.

Ha ceduto, allora, la guida a Papa Francesco, che è diventato (legittimamente perché eletto in un conclave) il “nocchiero” di una Chiesa “in gran tempesta”.

A se stesso Ratzinger ha affidato il compito di fare o forse anche di presumere di fare (non sappiamo bene cosa il Papa emerito sia) il “custode”, all’interno delle mura del Vaticano dell’«ortodossia» e, pertanto di scrivere, parlare, rilasciare interviste, non abbandonare le insegne pontificie, essere sempre “ Sua Santità”.

Le parole di Ratzinger, in quel che sembra ormai un lontanissimo 2005, cercano di mettere in guardia l’uomo, e in particolare l’uomo di chiesa, dal peccato di sempre, quello di colui che vuole mettersi al posto di Dio, tradire la Sua Parola.

Il Papa, è pienamente consapevole che in questi momenti di tragedia apocalittica inaspettata, siamo entrati in uno spazio sconosciuto, un tempo di incertezza, che ci obbliga a imparare un nuovo modo di vivere.

Egli rimane, intanto, ancora davanti ai nostri occhi – ed è difficile o impossibile cancellarla –  l’immagine della solenne benedizione Urbi et Orbi, alla Città e al Mondo, impartita da Papa Francesco dal sagrato della Basilica di San Pietro, all’inizio della pandemia in una piazza deserta.

L’immagine del Papa, carico del peso, non tanto dei suoi anni, quanto del dolore grande per le vittime, ci mostra un Uomo che ha preso su di sé la disperazione del mondo, ha guardato a Cristo e ha trovato parole di speranza in questo buio.

Questa immagine diffusa in tutte le radio, nelle televisioni di tutto il   mondo, crediamo che renda bene cosa sia la Chiesa e come dovrà ancor di più essere in questo momento; non una Chiesa che si chiude all’interno dei suoi “palazzi”, ma che mostra il suo volto, nelle cui rughe si rivela la vitalità del Vangelo.