Messinesità dal basso. Apologia di Natale

di Salvatore Piconese

In questo scorcio primordiale di attese, ho visto un secolo inasprito dalle ultime once di Presente, sedotto da sparute soluzioni, falsi propositi e spicciole peculiarità, affrettate da una buona dose di ironia, o fortuna, volte a un interesse propagandistico, più che sociale.
Uno, due, più volti connessi verso un livello marginale, che non riesce a sollevare il vero bisogno di una metodica improntata al cambiamento, sepolti, ormai, dagli annunci lampo di questo o quel governo. Tutto e andato man mano smantellato, cambiato, stravolto: cambiaverso, cambiadalbasso, staisereno. Una rottamazione rapida e indolore, anche nel linguaggio, al passo coi tempi, una mutazione dovuta al virtuale, ai cinguettii, alle montagne di selfie che idolatrano un ingorda vetrina virtuale, che smania di surclassare la vita reale.
Eppure, smantellati dal nuovo che avanza, non ho scorto un briciolo di riscossa, nel brulicare asettico di questa città, relegata ai margini dell’esistenza, ove spesso, abbiamo confuso l’abitudine di ogni giorno, alle ressa dei grandi centro commerciali, storditi dalla frenesia, dall’acquisto selvaggio. Le parole del cambiamento, purtroppo, non sono riuscite a smantellare quel muro fraudolento che regola il flusso pietoso della nostra urbanizzazione.
Nel bene e nel male, disorientati dal bianco e nero cittadino, senza addobbi natalizi, e tante – troppe saracinesche di esercizi pubblici chiuse per sempre, non resta che l’amaro in bocca, un nodo cruciale alla gola, che resta lì, sospeso, senza che nessuno ti dia una concreta conoscenza dello sfascio evidente. Ognuno con la propria teoria, ognuno con un identità politica, che non bada, alla vigente baraonda fallimentare, e non è per la mancanza di decorazioni e luminarie varie.
Ma il grigiore perenne, selvaggio, che ci viene sbattuto in faccia senza più rammarico, ferisce a oltranza, senza tralasciare la disoccupazione dilagante, le famiglie economicamente al collasso, i disperati sepolti nelle nostre strade, la marginale sopportazione gli uno verso gli altri… le difficoltà perenni, la diversità, il colore della pelle, l’integrazione, tra isole di cartone e vagabondi che a stento resistono, nei loro alloggi di fortuna presso la Stazione centrale e Marittima.
Un affondo dietro l’altro, che rasenta una sorta di indifferenza, un abitudine in egual misura, che risica un condimento sfarzoso, tra ex salotti buoni trasandati, mezzi pubblici al collasso, e dissesti urbani di ogni genere e condimento.
Ma questa, e solo l’apologia di un Natale, un veto sottile di estraneità, che ha sparso il suo veleno gentile, fino a non avvertirne più il rimorso, neppure in quelle piccole gioie quotidiane, mentre nasce il Salvatore, restiamo sepolti dalle slide internettiane, costretti a spiegare ai nostri vecchi, di come miserevolmente, abbiamo perduto anche questa occasione di riscatto.