La guerra è una sciagura, poiché comporta la morte dell’uomo

di ANDREA FILLORAMO

Molta retorica della pace  si sta abbattendo sopra di noi mentre le bombe cadono sulla testa di uomini, donne e bambini, strappano con violenza pagine di storia di una nazione; distruggono case, chiese, teatri, musei, scuole ed ospedali, orfanotrofi, e costringono alla fuga milioni di persone e nulla si fa o forse anche nulla si riesce a fare per giungere magari a compromessi almeno per fermare le armi.                                                                                                                                                                                                                                                    

Inutili appaiono le parole di Papa Francesco, inutili le pagine del Vangelo che invitano alla pace, citate addirittura come incentivo alla guerra da chi si è reso artefice di una grande strage degli innocenti.

Insufficiente è l’impegno di solidarietà con il quale aiutiamo e accogliamo i profughi che aumentano sempre di più, seguendo quelle che sono state le indicazioni e gli inviti pressanti del Papa di venire incontro a chi ha bisogno.

Ritengo che questo sia il momento di impegnarci per rendere la fede operativa e per la Chiesa (vescovi, parroci, preti, religiosi e religiose, laici impegnati) sia l’occasione propizia per attivarsi creativamente in tutti i modi per aprire le porte a chi una casa non l’ha più perché demolita dalle bombe, per accogliere le donne e i bambini.

I vescovi abbiano il coraggio di accogliere chi fugge dalla guerra nei seminari spesso grandi strutture che nel passato ospitavano anche duecento seminaristi e adesso ne accolgono qualche decina; i collegi senza studenti, i conventi senza conventuali, le canoniche disabitate, le case disseminate in tutto il territorio diocesano; non possono “lavarsi le mani”.

La guerra –  scrive La Pira –  è una sciagura, poiché comporta la morte dell’uomo, la distruzione delle città, con conseguente perdita di tutto quel patrimonio culturale, sociale, economico e identitario, che la persona ha ricevuto dal suo luogo natio”.

Tutto ciò ci costringe non solo a pregare o a sventolare bandiere inneggianti alla pace ma a convincerci che la storia, con questa guerra che non sappiamo ancora dove ci porterà,  è cambiata e che noi dobbiamo essere gli artefici di un nuovo capitolo in cui dobbiamo sostituire la solidarietà con la carità che è quella che ci ha insegnato Gesù Cristo quando diceva: “ Vai vendi ciò che hai, dallo ai poveri poi vieni e seguimi”.