La trasparenza nella Chiesa parte dai preti

Essere trasparenti è un modo di essere audaci nel riconoscere i propri sbagli con le relative conseguenze. Molti preferiscono tacere, rimanere nell’opacità, piuttosto che essere trasparenti, assumendosi le proprie responsabilità.

 

di ANDREA FILLORAMO

La trasparenza è una parola, un concetto, un principio che vuol dire franchezza, integrità, correttezza, apertura, senso di responsabilità che ci permette di rapportarci correttamente agli altri. Il suo contrario: omertà, oscurità, opacità, segretezza, disonestà.

Essere trasparenti è un modo di essere audaci nel riconoscere i propri sbagli con le relative conseguenze. Molti preferiscono tacere, rimanere nell’opacità, piuttosto che essere trasparenti, assumendosi le proprie responsabilità. Trasparenti devono essere gli individui, le istituzioni e particolarmente, per i credenti, la Chiesa tentata a volte di lanciare una sorta di “crociata moralizzatrice”, che si esplica in uno stile tendenzialmente giudicante, ma poco o per nulla trasparente, densa di concetti come “giusto” e “sbagliato”; oppure – al contrario – può avere la tentazione di lasciar correre l’argomento, ponendosi come un ‘amica sempre conciliante che però alla fine rinuncia all’impegno etico.

Tra i contenuti che la Chiesa non riesce a trasmettere e per questo è poco o per nulla trasparente è quello della sessualità e quindi quello del valore cristiano della sessualità che, in quanto tale, è particolarmente significativo. Intorno a questo tema, infatti, si colgono una serie di tensioni che rappresentano il nostro tempo, la relazione tra Chiesa e cultura contemporanea.

Tra crociata moralizzatrice e disimpegno etico è possibile quella dell’annuncio del Vangelo che porta alla evangelizzazione dell’eros umano. Essa consiste, andando, se necessario oltre il “comune senso del pudore”, che non si sa dove esso confini, parlare in modo trasparente, veritiero e non “sporco” di sessualità nella sua bellezza così come la vede il Dio creatore nella Genesi, che dopo aver creato l’essere umano come essere sessuato, uomo e donna, dice che era cosa molto buona” (Gen1,31).

Sia chiaro che il “silenzio” e la copertura irresponsabile, ormai secolare, da parte della Chiesa non solo riguarda l’omosessualità di molti preti e la pedofilia clericale ma anche tutti i modi con i quali si esplicita la sessualità talvolta anche patologica, dei preti e le conseguenze della gestione, anche normale, dei loro impulsi che – lo sappiamo – non si esauriscono con la promessa della castità, fatta nel momento dell’ordinazione presbiterale, o con l’accettazione “sine qua non “ o “ obtorto collo” del celibato ecclesiastico.

Esso riguarda, anche, quindi la genitorialità, effetto non voluto della loro sessualità, Teniamo conto che il 40% dei sacerdoti è genitore. Nessuno si meravigli di questo dato! L’inchiesta che dà questo risultato che ha fatto molto discutere, è di QN, su dati dell’associazione Coping International, apostolato riconosciuto dalla Chiesa, e del team Spotlight del Boston Globe che racconta la vita e le difficoltà dei preti con figli, delle loro angosce. Quello della paternità dei preti è un fenomeno di cui si parla poco ma che esiste e che è esistito sempre.

I preti con figli – ammettiamolo – sono una realtà e non solo nel nostro Paese. Non si tratta di pochi e sporadici casi, tutt’altro, ma di un fenomeno globale che interessa tutte le nazioni in cui la Chiesa Cattolica è presente. Bergoglio aveva trattato l’argomento fin da quando era arcivescovo di Buenos Aires in un libro scritto con il rabbino Abraham Skorka, dal titolo “Il cielo e la terra” in cui deplorava non tanto la vicenda in sé ma la doppia vita dei parroci genitori. E scriveva: “Se uno viene da me e mi dice che ha messo incinta una donna cerco di tranquillizzarlo e a poco a poco gli faccio capire che il diritto naturale viene prima del suo diritto in quanto prete. Di conseguenza deve lasciare il ministero e farsi carico del figlio, anche nel caso decida di non sposare la donna”.

La stessa Chiesa ha ribadito la sua posizione di allora in un breve testo, pubblicato dalla Conferenza Episcopale Irlandese dal titolo “Principi di responsabilità per sacerdoti che hanno generato figli durante il loro ministero”, in cui si chiede ai sacerdoti di lasciare l’abito talare e diventare padri a tutti gli effetti. I problemi però sono molti. Cosa possono fare uomini che hanno dedicato la loro vita alla Chiesa nel mondo secolare? Come aiutarli a rientrare nello stato laicale? Come vincere anche le resistenze e i pregiudizi che spesso si nascondono nelle piccole e grandi parrocchie?

Lo sono soprattutto se pensiamo ai numeri importanti del fenomeno”. Non ultima, una considerazione: “ quando un prete ha un figlio è giusto ed è necessario che egli si prenda le responsabilità di una paternità non voluta ma, per generare e mettere al mondo un figlio, c’è stata una donna, che di fronte alla tempesta psicologica e forse anche sociale di quella gravidanza e di quella nascita, merita non solo il rispetto ma molto altro, di cui è necessario che si faccia carico anche la stessa Chiesa”.