L’occupazione del Coni o la libertà dalla politica?

L’esplosione del caso Coni ci porta a discutere non solo il caso specifico, ma quella che sembra una tendenza del nostro modo di intendere la gestione del potere e di chi lo governa sul campo: il Governo.

 

I fatti.

Al Coni c’è un’aria democristiana. “Si cambia”, dichiara il sottosegretario Giorgetti che vuole riformare il Comitato olimpico italiano. Gli risponde il numero uno dello Sport, Giovanni Malagò: “Dalla mattina alla sera, con 4 righe nella finanziaria è stato ucciso il Coni “.

Uno scontro cosi frontale tra il governo è il mondo dello sport a memoria non si ricorda. Ovviamente un governo che si dichiara alla nazione “del cambiamento” non può che voler rivoltare come un calzino tutti i palazzi, anche quello dello sport. Ma a volerla dire tutta il pepe lo mette proprio Malagò, ovvero l’importanza data al fallo di reazione.

Sì, Malagò fa il paio con Giorgetti, ha sgomitato l’azione politica che gli stava aggrappata da una dozzina di metri, in piena corsa. Inutile ribadire la crisi del calcio sotto la gestione Fabbricini/Malagò, la critica al provvedimento del governo sulla pubblicità alle scommesse dell’ex numero uno del Coni, Gianni Petrucci, la giustizia sportiva che non è uguale per tutti, anche se è scritto in ogni tribunale,”la legge è uguale per tutti”.

Epperò, passateci il termine, Malagò e Giorgetti hanno torto, secondo regolamento, anche se partivano dalla parte della ragione: e infatti i loro progetti sono discutibili.

Lo sport o perlomeno “i capoccia che governano lo sport”,  hanno dimostrato, in questi ultimi sei mesi con la loro governance, di ritenersi nell’assoluta certezza di essere nel giusto, rispondendo con frasi da manuale alle circostanze, ma sopratutto con quell’aria saccente di chi non solo è convinto di avere il metodo giusto, ma soprattutto che sia l’unico metodo giusto.

Due soli protagonisti (Malagò e Giorgetti), di chiaro nome, in una visione delle cose che ha avuto avvisi di garanzia, inchieste, indagini, veleni, processi divisi tra tutte le parti in causa. Se fosse solo una partita di calcio parleremmo di esagerazioni di cartellini: il giallo ha funzione d’avvertimento, quello rosso di condanna. Però i nostri amministratori, politici, presidenti di federazione, sono molto restii a tirarlo fuori, il rosso, e spesso si nota una sproporzione fra la gravità di certi interventi e la valutazione che ne danno i protagonisti, come nel caso delle dimissioni del generale dei carabinieri, Enrico Cataldi.

Presidente Malagò chiudere la stalla dopo che sono scappati i buoi non serve al Coni: il dado è tratto e il cerino è rimasto in mano a lei. Ci sono alte probabilità che si brucerà.

 

Presidente Malagò, la notte le ritornano in mente le parole del Generale Cataldi? Si ricorda, no? “Non si può lottare con la lobby delle federazioni”, magari sono proprio gli stessi presidenti che hanno permesso al ministro Giorgetti di dichiarare «Mah, a me risulta che mancassero le federazioni del calcio, del basket, del tennis, del nuoto e del rugby. Non proprio la rappresentatività al completo».

Fantapolitica?

 

Il gioco dello sport è contrapposizione, anche violenta, e molto maggiore è l’attenzione di tutti alla partita che si sta giocando, in campo e fuori. In campo, migliore sarà il gioco espresso. Un buon presidente deve saper distinguere fra il fallo professionale e quello carognesco. Ci spieghiamo meglio: tenere un avversario per la maglia è un fallo vistoso, ma meno pericoloso di uno sgambetto da dietro o di un’entrata sulla gamba d’appoggio.

Noi che crediamo nello sport pulito, libero da intrecci, svincolato da poteri celati nell’ombra, uno sport che si occupi dei reali problemi del movimento a partire dall’impiantistica, del reclutamento dei giovani e si interfacci con il mondo della scuola. Invece oggi assistiamo a guerre per consolidare interessi che non sono quelli appena descritti.

Magari in altre nazioni avremmo assistito ad altre iniziative ma la nostra cultura italica non conosce la parola “dimissioni”. Molti dirigenti di federazione tendono a punire più le proteste (che mirano la loro autorevolezza) dei ladri. Ma anche dare ai cialtroni una sensazione d’impunità è pericoloso, anche questo mina l’autorevolezza.

E capiamo pure che l’importanza della partita (Coni vs Governo) coincide con la pesantezza degli interventi, delle parole, che porta, più o meno consciamente, ad appesantire il gioco, a entrare più deciso e duro: magari tutta a sciarra è pa cutra (litigano per i soldi, ndr.)  Questo è normale e non va confuso con la gestione di un movimento, di un campionato, della stessa federazione, ovvero un bieco eccesso di zelo e rende impossibile ogni giustificazione.

Ci consenta una provocazione: l’unica via d’uscita sono le dimissioni congiunte di chi è al governo dello sport, a iniziare dai componenti della giunta per proseguire con i componenti il consiglio nazionale del Coni. Tutti a casa per un CONI 2.0. Lo stress non è un’invenzione, esiste e si fa sentire. In questo periodo particolarmente, con le distanze tra le parti non ancora scavate.

 

Ciuff…e…Tino