I kamikaze non volevano morire

Sono le tre di notte. Non voglio morire! Vorrei cercare di vivere una vita piena. Mi sento solo. Non so perché mi sento così solo, lo chiamano destino, visto che dobbiamo andare a morire senza poter esprimere le nostre opinioni, senza discutere e criticare i pro  e contro. Scrive così nel suo diario Hayashi Tadao, pilota militare Giapponese, morto il 28 luglio 1945 in una missione suicida contro la flotta americana. Ci auguriamo che tra qualche giorno o mese non verranno divulgati i diari di qualche componente la giustizia sportiva endofederale che quella del CONI.

C’era una volta un mondo sportivo felice che distribuiva serenità indistintamente a tutti, e a tutti in modo gratuito. Era il pianeta Coni, con le sue tante attività di base e agonistiche, con regole chiare e arbitri – giudici al di sopra di ogni sospetto. Volenti o nolenti ora si deve cambiare, ed ecco all’orizzonte un Coni che non riesce a far pagare allo stesso modo chi si trova in condizioni diverse.

L’estate che sta per finire ha prodotto più confusione che rasserenato gli animi: con il risultato di gettare nuove ombre sul sistema – giustizia dello sport. C’è chi sostiene che è un vecchio errore, frutto della solita miopia: la legge con gli amici si interpreta, con tutti gli altri, si applica.

D’accordo ogni federazione ha i suoi criteri di valutazione e capisco pure – anche se non sono d’accordo – che non si può più dare tutto a tutti. Ma ci sono due strade per adattarsi a questo vincolo, e secondo me stiamo imboccando quella più iniqua.

E, proprio per questo, bisogna stare attenti a dar picconate alla credibilità del Coni, dello sport, della giustizia, quella che è poi chiamata ad applicare le norme comportamentali. Profetiche, dunque le parole del generale dei carabinieri, Enrico Cataldi, di qualche mese addietro: “All’interno del Coni c’è una lobby potente contraria al progetto Malagò, che è arrivata a ottenere un pronunciamento dell’Avvocatura dello stato che giudica il mio ruolo incompatibile con la legge Madia pur non essendo io un dirigente e pur godendo della carica da prima dell’applicazione della legge. Malagò mi ha scongiurato di restare, perché sono in ballo procedimenti importanti anche nel calcio, col campionato alle porte. Ma non ci sono le condizioni. Sapevamo, io, il presidente e i miei sostituti, che la riforma avrebbe incontrato resistenze procurandoci molti nemici”.

Purtroppo le regole tanto sbandierate dai nostri federali restano strumenti di esercitazioni teoriche, e qual è il risultato di queste esercitazioni? Presto detto: è di ieri la notizia che il Tar del Lazio ha emesso un provvedimento presidenziale con il quale viene sospesa l’efficacia della decisione presa a sezioni unite dal Collegio di Garanzia del CONI che aveva dichiarato l’inammissibilità del ricorso presentato dalla F.C. Pro Vercelli 1892.

Il Presidente della terza sezione, Gabriella De Michele, ha accolto l’istanza presentata dalla società piemontese fissando l’udienza per la discussione al 9 ottobre prossimo.  La possiamo leggere come l’ennesima picconata? Direi di sì. Già la giustizia sportiva aveva una credibilità pari a zero e ora, con la sentenza di un Tribunale non sportivo, viene completamento ribaltato quanto deciso in precedenza dai giudici dello sport.

Davvero qualche federale è convinto che si tratti solo di un caso? E a cos’altro mai si può pensare? Potrei sospettare che resista una certa allergia a parlare di regole, di giustizia senza ombre né sospetti in un Paese dove a lungo si sono scontrati su questo tema l’integralismo del Coni e quello delle federazioni.

Ma dio santo, se si arriva a parlare di “lobby potente contraria al presidente Malagò”, vuol dire che la trasparenza, l’etica, le stesse regole non ci sono più. Sì, lasciatemelo dire, una volta di più, il provvedimento presidenziale della De Michele è l’ennesima picconata alla riforma della giustizia sportiva voluta da Malagò, osteggiata dalla lobby dei presidenti federali. Ormai neanche la nazionale azzurra riesce a unire gli italiani anzi, aumenta sempre di più, il distacco con questa gestione. Se la lobby dei presidenti federali ha deciso di far morire lo sport utilizzando – passatemi il termine –  dei “giudici – kamikaze” allora necessità l’intervento immediato del Governo per azzerare tutti i vertici delle federazioni sportive e nominando, perché no, il generale Cataldi quale commissario in ogni federazione sportiva.

In un’emergenza come questa, chi gestisce il mondo dello Sport (Coni) dovrebbe ricordarsi che all’origine della loro storia c’è la tutela dei tesserati, dei movimenti, delle stesse società, dei cittadini che svolgono attività motoria di base, delle stesse famiglie che mandano i bambini nelle palestre o sui campi di gioco e che domani, molti di loro, saranno uomini e donne con ruoli nelle istituzioni.

Urlare solo contro chi aggira le norme è sacrosanto, ma francamente mi sembra un po’ sterile se poi si usano due pesi e due misure… Nella vita bisogna sempre essere imparziali, prescindendo da sesso, razza ed estrazione…

Siamo tutti uguali davanti alla Legge?

Purtroppo accade spesso che professionisti scrupolosissimi per tutto l’anno si perdano alla fine in un bicchiere d’acqua. Sono loro i primi a dover dare testimonianza di cosa vuol dire fare il proprio dovere. Quindi, presidente Malagò, come la mettiamo con questa vicenda della giustizia?

Strano paese il nostro: si sono concesse attenuanti anche ai più cialtroni, perché a Malagò no? Ma il discorso è più vasto, e riguarda il ruolo della Procura, dei giudici. Parliamone liberamente e senza pregiudizi se può tranquillizzare alcuni presidenti, facciamolo. Ma sapendo che non garantisce automaticamente né l’imparzialità né una sentenza senza gravi errori. Punto e basta.

Se mi metto a pensare che se un giudice vede un diritto e non lo certifica è in malafede, cosa dovrei pensare di un giocatore di basket che tira fuori un tiro dalla lunetta, o non segna da un metro dal canestro, o peggio ancora, di un coach che fa giocare le terze linee invece del quintetto titolare: che hanno puntato tre mila euro sulla sconfitta, su bet365? Ma tutto questo, si dice, fa parte del gioco. E allora, oggi più di ieri, bisogna gridare l’importanza del ruolo, forte, così forse capiscono tutti. Giudici compresi.

P.S. Siamo tutti uguali davanti alla Legge, ma non davanti agli incaricati di applicarla.

Ciuff…e…Tino