TITUS ZEMAN UN SACERDOTE CHE NON SI E’ PIEGATO AL TOTALITARISMO COMUNISTA

Può servire oggi raccontare il martirio subito dai tanti sacerdoti, religiosi, fedeli cristiani, da parte dei regimi comunisti dei Paesi dell’Est? Certamente la risposta è positiva. Ho appena finito di leggere il documentato libro sulla figura straordinaria di un sacerdote salesiano slovacco, don Titus Zeman, scritto dalla studiosa Lodovica Maria Zanet, “Oltre il fiume verso la salvezza. Titus Zeman, martire per le vocazioni”, (Editrice Elledici, 2017; 15 e)). “Il martirio di don Titus – scrive Zanet – interpella ciascuno di noi. Chiedendoci per che cosa siamo disposti a vivere, e sino a che punto la verità, la bontà, la bellezza di Cristo e del suo vangelo meritino una testimonianza fino al supremo sacrificio della vita”.

Oggi in una società scristianizzata che ha perso ogni valore, presentare un uomo come Titus Zeman è fondamentale, ci aiuta a prendere sul serio la nostra fede in Gesù Cristo.

Lo studio della Zanet ripercorre le tappe dolorose della vita di un uomo che per amore della fede e della libertà pagò un prezzo altissimo di sofferenze e umiliazioni. L’itinerario parte da una piccola cittadina vicino Bratislava, Vajnory. Qui è nato nel 1915, sotto l’Impero austro-ungarico, il nostro Titus. Il testo racconta come sia nata la sua precoce vocazione del giovane che nato in una famiglia povera e abbastanza numerosa. Dopo una grave malattia, guarito, a dieci anni anni decide di diventare sacerdote salesiano, avendo ottenuta la completa guarigione per mezzo della Vergine, “Maria Ausiliatrice”. Più tardi Titus plasmerà la sua vocazione sacerdotale su una tonalità mariana, sempre con uno sguardo alla croce.

Non sto qui a raccontare i vari passaggi del suo itinerario vocazionale, tuttavia Titus consolida i suoi studi teologici a Torino a respirare un po ‘ di spirito salesiano e poi per due anni nella cittadina di Chieri. Il 23 giugno 1940 viene ordinato sacerdote. Aveva il sogno di diventare professore di educazione fisica, essendo un appassionato di sport. Ma i suoi superiori, decidono diversamente e lo indirizzano sulle materie scientifiche. Titus fu un buon organizzatore di spettacoli per i giovani e naturalmente di attività sportive (calcio, pallavolo, pallacanestro, ping pong). Con loro faceva pellegrinaggi, don Titus era un uomo completo, che educava alla totalità della persona. Mi ricorda Karol Wojtyla con i suoi giovani di Cracovia in Polonia. Don Titus insegna matematica, chimica e fisica. Fu un uomo del dialogo con tutti, coltivava le relazioni, la sua presenza discreta, diventa collante di amicizie, un ponte fra i diversi. In pratica, “in un mondo sconvolto dalle ideologie dei totalitarismi egli inoltre testimonia con naturalezza il proprio essere prete”. Nei corridoi di scuola – dove spesso passeggia, studiando egli stesso – dà anche una bella testimonianza vocazionale, recitando rosario e breviario”.

Finita la seconda Guerra mondiale, con l’avanzata dell’Armata Rossa e del comunismo, la situazione muta rapidamente. La cattolica Slovacchia e tutti i Paesi dell’Est Europa rientrano nell’orbita sovietica. Iniziano le persecuzioni dei credenti, con i primi interventi sulla vita religiosa: la nazionalizzazione delle scuole ecclesiastiche e dei collegi, la proibizione dell’associazionismo cattolico e la limitazione della stampa cattolica. Sono i soliti provvedimenti che vengono presi una volta che arrivano i comunisti al potere di un Paese. Inevitabilmente i salesiani si trovano a competere con i comunisti, con la penetrazione sui giovani dell’ideologia marxista-comunista. Il Ginnasio, la scuola dove insegnava don Titus, viene sottratto ai salesiani e molti professori vengono licenziati. Al direttore salesiano subentra un comunista che subito rimuove i crocifissi dalle aule e dagli ambienti comuni. E’ il primo passo verso la rieducazione comunista dei giovani. E’ una provocazione inaccettabile per don Titus e i salesiani. Don Zeman provvede in una nottata di rimettere tutti i crocifissi alle pareti delle aule. Il testo della Zanet accenna soltanto al presidente Jozef Tiso, poi impiccato dai comunisti, poteva essere interessante dare qualche informazione su questo capo di Stato della Repubblica cecoslovacca. L’azione del nuovo potere politico si dirige contro i centri di cultura e formazione cristiana, mentre don Titus combatte la propria personalissima battaglia a Trnava, ben presto si scontra con il potere comunista che non tollera nessuna opposizione. La Chiesa cattolica viene delegittimata, calunniata, cominciano i primi sommari processi e le condanne. Tutto viene nazionalizzato, la libertà di stampa è cancellata, la gerarchia si trova impossibilitata a controbattere le ingiuste accuse dei comunisti. Si apre la strada alla rieducazione dei giovani. Interessante a questo proposito le citazioni della studiosa dei documenti della Chiesa che condannano l’ideologia marxista: Il Sillabo di Pio IX, la Quod Apostolici muneris di Leone XIII, la Divini Redemptoris di Pio XI. Come sempre i vertici comunisti per sradicare i fedeli, i credenti dal Vaticano, da Roma, approntano una “Chiesa scismatica”, la cosiddetta Chiesa Patriottica, di falsi religiosi e vescovi nominati dal potere politico. Mentre i veri religiosi e sacerdoti cominciano a scomparire con le varie retate della polizia segreta (“Stb”). Il capitolo 3 è dedicato alla cosiddetta “Notte dei barbari”, tra il 13 e il 14 aprile 1950, le Milizie popolari prendono possesso delle case religiose maschili della Cecoslovacchia e tutti i religiosi forzatamente vengono internati nei campi di concentramento. Tutti i religiosi, anche quelli di altre confessioni cristiane, reclusi a centinaia nelle carceri e qui torturati e umiliati. Infatti, secondo la Zanet, “Sottraendo ai religiosi case, opere ed edifici, requisendone i beni immobili e separando i fedeli dai loro pastori, il regime era persuaso di assicurarsi una rapida vittoria”. Questi eventi accaduti prima del 1989, sembrano quasi irreali, come se riguardasse un altro pianeta. Eppure è la logica dell’ideologia comunista che si oppone alla Chiesa, non solo, ma in quel periodo, in Occidente, c’era chi, come i vari Partiti comunisti, appoggiano questo tipo di “logica”.

In questo contesto si inserisce la straordinaria azione del sacerdote slovacco don Titus, rendendosi conto del pericolo, che ormai stavano per subire i giovani seminaristi salesiani, che si stavano preparando al sacerdozio, don Titus prese la decisione di portarli in Italia. Il regime aveva già scelto: circa una novantina tra chierici e novizi dovevano essere riqualificati ideologicamente, cioè farli diventare comunisti. Ecco perché don Titus dà corso a quell’operazione avventurosa e rischiosa di salvare più vocazioni possibili:“Si tratta ora di sottrarre i chierici anche alla perdita della speranza e all’indebolimento o al cedimento della perseveranza vocazionale”. Don Titus pensa subito di portarli nello studentato teologico internazionale del quartiere “Crocetta” a Torino. Naturalmente, sa cosa rischia, consapevole di “poter dare la vita oppure essere catturato, interrogato, imprigionato e infine rischiare la propria vita lo stesso: con l’essere impiccato, fucilato o con l’ergastolo nelle miniere di uranio”. Eppure nonostante la paura naturale, ha accettato questo impegno così difficile. La Zanet precisa che il sacerdote slovacco nel portare avanti questa rischiosa impresa, non aveva motivazioni politiche, cercava solo di “salvare le vocazioni”. L’amore per la Chiesa gli fa accettare questo grande rischio. Alla rischiosa operazione subentrano altri protagonisti, che poi pagheranno anche loro caro questo impegno. Tra questi il giovane salesiano don Ernest Macak SDB. Titus ed Ernest stringono un patto: impegneranno forze, tempo, energie, salute, vita e se è necessario anche la morte, pur di salvare delle vocazioni. Titus avrebbe accompagnato i chierici all’estero. Ernest sarebbe rimasto in patria ad occuparsi della formazione spirituale degli altri giovani religiosi. Titus nell’accompagnare questi giovani, sarà per loro come il Buon Pastore. Sarà sempre con loro, non li abbandonerà mai. Pagherà questa scelta con il martirio. Don Ernest affronterà anni terribili, sino a vedersi costretto a simulare la pazzia pur di evitare le pesanti ritorsioni del regime […]”. Lo scopo era quello di portare i chierici in salvo all’estero e garantire il completamento degli studi, sottraendoli così alla rieducazione comunista. Sostanzialmente, “farne dei sacerdoti che si tenessero pronti a rientrare in patria ai primi segnali di cedimento del regime, dediti a tempo pieno all’educazione dei giovani e al recupero delle nuove generazioni, segnate dal totalitarismo”. Infatti, don Titus, “guardava in avanti e cercava di salvare anche la generazione successiva”.

Altre persone entreranno a far parte di questo pericoloso progetto, i laici Jozef Macek e Ferdinand Totka e poi altri oltre confine, nel monastero benedettino di Salisburgo, dove c’è un sacerdote slovacco Karol Sumichrast che si prende cura degli esuli. In pratica oltre ai vari percorsi nascosti nel territorio slovacco poi si trattava di attraversare a nuoto il fiume Morava (Era necessaria una cartina, per inquadrare il territorio). Il testo descrive le varie tappe affrontate per i “passaggi illegali”, che cominciarono negli anni ‘50, in tanti tentarono la fuga dai Paesi comunisti per raggiungere l’Occidente. Sarebbe interessante fare uno studio su questi passaggi avventurosi, degni di avere almeno una certa attenzione degli operatori cinematografici per eventuali fiction.

Col favore delle tenebre, a nuoto per i più esperti e con l’ausilio di una corda (o di un gommone) si attraversava il fiume. Poi bisogna aggirare la zona austriaca, controllata dai russi, entrati nella zona austriaca controllata dagli anglo-americani, da qui il passaggio a piedi, oltre le Alpi- nell’Alto Adige italiano. Ultima tappa: la “discesa” nel Veneto; poi in treno, fino a Torino.

“E’ un itinerario impegnativo, da compiersi in pochi giorni, spesso di notte e a temperature basse. Richiede doti di freddezza, lucidità, prudenza, unite a un’eccellente forma fisica”. I passaggi riusciti di don Titus sono due, il terzo è fallito. Gli aspiranti alla faticosa impresa devono essere disposti fisicamente e psicologicamente e soprattutto attitudine allo studio. Don Titus informa personalmente ogni chierico dei rischi che corre, non nasconde le difficoltà e i pericoli. Alla fine devono essere loro a decidere, in totale libertà. I viaggi sono descritti dettagliatamente dal testo di Lodovica Maria Zanet. Alla fine del primo riuscito viaggio, don Titus ha dimostrato a molti altri, perseguitati in patria, che una alternativa al reclutamento militare e ai campi di lavoro era possibile. Titus incontra il rettore maggiore a Valdocco don Pietro Ricaldone che approva senza riserve tutto quello che sta facendo il sacerdote slovacco.

Per ogni impresa riuscita i religiosi ringraziano e invocano Maria Ausiliatrice, “colei che difende dal nemico nelle angustie, nelle lotte, nelle strettezze”, secondo la preghiera di don Bosco. I superiori salesiani conoscono i pericoli che sta correndo don Titus e ogni volta gli propongono di rimanere in Italia o di partire per le missioni. Praticamente a Torino vogliono salvargli la vita. “Lui però – come il beato Istvan Sandor SDB (che rifiutava in quegli stessi anni di lasciare l’Ungheria per aiutare i giovani sotto il comunismo) – declina entrambe le offerte: “Qualcuno si deve sacrificare”, commenta Titus”.

Don Titus in un altro momento si esprime con chiarezza sul suo operare così rischioso: “io lo chiamo dovere che mi è stato affidato dai miei superiori, [dovere] di cui sono responsabile verso Dio e verso i miei “superiori veri”, non verso tali che vorrebbero farsi superiori e dirigere tutto dall’ufficio comodo”.

Fallito il terzo tentativo di portare i giovani chierici in Italia, don Titus viene scoperto, accerchiato a Malé Levare dalle guardie, così inizia i 18 anni del suo terribile e disumano calvario, è il 9 aprile 1951. Gli interrogatori estenuanti si susseguono, colpito ferocemente con rabbia dai suoi aguzzini, contro l’uomo che era riuscito ad eludere la sorveglianza della polizia e a portare in salvo giovani che rappresentano il futuro della Chiesa slovacca. Per una settimana don Zeman è ferocemente torturato, i continui pestaggi con cinica precisione, logorono il fisico con danni irreversibili. Da Bratislava, dal terribile carcere di Leopoldov, inizia la sua Via Crucis, qui lo attende il processo. Don Zeman che aveva osato sfidare il regime comunista, naturalmente viene accusato di complotto, di essere una spia del Vaticano e di lavorare per il governo americano. Sono le solite accuse che tutti i regimi marxisti hanno lanciato contro i religiosi di ogni Paese governato. Il testo della Zanet segue con meticolosa descrizione tutti i vari passaggi della dura detenzione del povero sacerdote salesiano. In Cecoslovacchia il regime condanna a morte 11mila persone all’anno, le carceri sono diventate una bolgia infernale. Don Titus passa da un carcere duro all’altro, altro che 41bis, da Ilava a Mirov, dove si esce per andare al reparto psichiatrico o al cimitero, fino alla “Torre della Morte” per la triturazione dell’uranio radioattivo. Don Titus muore l’8 gennaio 1969, gli ultimi anni della sua vita li trascorre in libertà condizionata, sempre spiato dalla polizia segreta. Don Titus era un uomo malato, durante la detenzione non gli fu somministrata nessuna cura, ma solo quelle minime che garantivano la sopravvivenza, come la Triazina, con la salute compromessa in modo irreversibile è riuscito a vivere fino a 53 anni. Del resto don Titus era qualificato come “m.u.k.l.”, “uomo destinato all’eliminazione”. Gli avevano negato tutte le amnistie di cui beneficiavano i compagni, alla fine della sua vita trattato come cavia. Successivamente i medici hanno stabilito che don Titus è morto a seguito delle torture, della mancanza di cure e della denutrizione negli anni di carcere. Don Titus è un vero martire per la Chiesa, un martire che ha impegnato la sua vita per la salvezza delle vocazioni. Si dice di don Titus “era santo ed è morto martire”. Il 30 settembre 2017 a Bratislava don Titus Zeman viene beatificato dalla Chiesa. Presenti due sorelle di don Zeman, diversi nipoti, amici ed exallievi, oltre a don Alois Pestun, 89enne, l’ultimo ancora vivente dei giovani salesiani per i quali don Zeman s’impegnò a salvare la vocazione.

DOMENICO BONVEGNA

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