Prescrizione, Signor Ministro, ci dica quante sono le condanne ribaltate in appello

Di seguito il testo della lettera rivolta a Bonafede da Radicali Italiani e pubblicata sul Dubbio a firma di Massimiliano Iervolino (Segretario), Giulia Crivellini (Tesoriera) e Igor Boni (Presidente):

 

“Signor Ministro,

nell’osservare l’avanzamento della riforma della giustizia che vede al centro il blocco della prescrizione dopo il primo grado di giudizio e le attuali ipotesi di modifica che porterebbero il blocco solo in caso di condanna, condividiamo le preoccupazioni espresse da molti giuristi.

Sappiamo che in ambito penale quasi 1 sentenza su 2 viene riformata in Corte d’appello. In pratica circa il 45% delle pronunce di primo grado è modificato in secondo, in modo parziale o con un ribaltamento dell’esito iniziale. Un dato che già di per sé può essere significativo, poiché ci lascia supporre che una parte delle riforme faccia riferimento a giudizi di condanna per i quali non può essere applicata una reformatio in peius, ossia l’aggravio della pena.

Una materia così delicata, tuttavia, non lascia spazio alle supposizioni e riteniamo, dunque, essenziale che questo dato aggregato venga sviscerato e reso fruibile, affinché a parlamentari, studiosi e ai cittadini tutti, sia fornito uno strumento utile alla valutazione di un provvedimento che ha polarizzato le opinioni.

Tale dato potrebbe raccontarci, per esempio, quante sono le sentenze di condanna che in appello divengono assoluzioni. Quanti in numeri assoluti i condannati che in secondo grado sono riconosciuti come innocenti?

Cifre che potrebbero indicare quante persone giudicate innocenti, ma che hanno subito in primo grado una condanna, sarebbero potenzialmente esposte al “fine processo mai”, se private di uno strumento di garanzia come la prescrizione.

Non siamo i primi a chiederLe di rendere pubblici i dati necessari a una più approfondita analisi degli effetti della riforma della giustizia penale: risale a circa un mese fa la richiesta formale, ma rimasta inevasa, dell’Unione delle Camere penali italiane che sollecita la diffusione di numeri e di percentuali relativi alla tipologia di reati prescritti.

Chi meglio del ministero della Giustizia può reperire e diffondere questi dati? I numeri potrebbero riuscire laddove le parole falliscono: nel dimostrare se si tratta o meno di una legge inutile, dannosa e frutto di demagogia.

La pubblicità dei dati in un settore cruciale come quello della giustizia consentirebbe di valutare e bilanciare in modo oggettivo le conseguenze positive e negative di una riforma che ha un impatto rilevante su ogni cittadino e sul diritto ad una giustizia giusta che compia il suo corso in tempi ragionevoli. Ancor più se le ripercussioni potranno andare a toccare, negativamente, anche il piano economico, a causa dell’enorme carico giudiziario delle Corti d’appello e del boom di risarcimenti per irragionevole durata dei processi che potrebbero verificarsi con il blocco della prescrizione.

Il passo successivo alla pubblicazione è quello della loro diffusione. Già oggi le statistiche sull’amministrazione della giustizia ci dicono molto, ma restano sconosciute ai più. Sulla durata del giudizio di appello, per esempio, buona parte dei quasi due anni e mezzo che esso in media richiede sono imputabili ai cosiddetti “tempi di attraversamento”, che nulla hanno a che vedere con la celebrazione del giudizio: attesa degli atti di impugnazione, avvisi alle parti, trasmissione dei fascicoli alle Corti d’appello. Lo snellimento delle procedure, l’attribuzione di maggiori risorse umane e tecnologiche, unitamente a un migliore utilizzo di esse, potrebbe ridurne drasticamente la durata media.

Ciò che domandiamo è la piena trasparenza, una trasparenza dovuta ai cittadini. Questo consentirebbe di creare le condizioni generali per cui le decisioni vengano prese in un confronto pubblico che mutui dal metodo scientifico la condivisione dei risultati e la loro analisi, con l’obiettivo di arricchire conoscenza e consapevolezza pubblica, ingredienti necessari in una democrazia”.