POPULISMO E “TRUMPISMO” DOPO IL 6 GENNAIO

Tra qualche giorno con il giuramento del nuovo presidente Biden, si chiude il sipario delle contestatissime elezioni presidenziali americane. Dopo il clamoroso assalto al Campidoglio dei supporter del presidente Trump, che cosa resta? Certamente un Paese più che mai diviso, addirittura per alcuni sull’orlo della guerra civile.

Noi che siamo in Italia e che abbiamo a cuore certi valori o meglio quei principi non negoziabili, quali riflessioni possiamo fare, dopo questi risultati elettorali. Sicuramente occorre ripartire dall’enorme patrimonio sociale, culturale e politico che sono i 74 milioni di americani di elettori repubblicani che hanno scelto di votare per Donald Trump. Quello che dobbiamo fare è di non identificarli con quei gruppi di esagitati che sono entrati dentro al Congresso, che certamente hanno sbagliato il messaggio che probabilmente volevano comunicare.

Infatti, se volevano ricordare che le elezioni per il Presidente Trump sono state “rubate” non sono riusciti nell’intento. Il messaggio che è passato è il loro disprezzo verso le istituzioni della democrazia rappresentativa e per estensione verso i corpi intermedi, in nome di una democrazia diretta, quella di Jean-Jacques Rousseau per intenderci, condita con un po’ di violenza e di folklore. Non credo fosse nelle loro intenzioni, ma così mi sembra sia stato percepito.

A questo punto lasciamo perdere per un attimo Trump, che ha certamente sbagliato alcuni passaggi e soprattutto il tono dei suoi principali ultimi interventi, anche se ha fatto tante cose buone, fuori dal politicamente corretto, subendo per quattro anni una vergognosa e indegna demonizzazione internazionale. Ora è importante guardare per Marco Invernizzi, a quei «74 milioni di americani, così come in Europa ai tanti e diversi “arrabbiati”. Proviamo a porci una domanda. Chi sono? Cosa vogliono? Contro cosa protestano? Da quanto tempo e come sono organizzati?» (M. Invernizzi, Populismo e trumpismo dopo il 6 gennaio, 11.1.21. alleanzacattolica.org).

Bisognerebbe approfondire le caratteristiche del complesso e contraddittorio fenomeno del populismo. Spesso col termine populista, vengono indicati non senza forzature, alcuni esponenti politici come lo stesso Trump. In Italia col termine populista in passato è stato indicato il cavaliere Berlusconi, ora Salvini e la Meloni. Comunque sia il termine è anche associato innanzitutto a determinati stati d’animo ed emozioni: «i populisti sono “arrabbiati”».

Dunque i populisti sia di destra che di sinistra sono “arrabbiati”. «Sono arrabbiati – secondo Invernizzi –  perché si sentono esclusi da quelle elite che dominano la maggior parte dei Paesi occidentali praticamente in tutti i campi: la politica certamente, ma non soltanto, la cultura universitaria, il giornalismo dei cosiddetti “giornaloni”, i dirigenti dei grandi colossi dell’informatica, i grandi potentati finanziari, e via dicendo. Questi “populisti” non sono pochi e anche se sono molto diversi fra loro hanno in comune il rifiuto delle attuali classi dirigenti».

Possiamo scrivere che i 74 milioni, rappresentano un’insorgenza? E’ una domanda che si è posto Invernizzi. «Cioè una ribellione contro un potere che occupa tutti gli spazi, dalla cultura alla finanza passando per l’educazione, imponendo un modo di giudicare la realtà politicamente corretto, ed escludendo dal dibattito pubblico i veri e fondamentali problemi della nostra epoca, come il suicidio demografico, la mancanza di rispetto per la vita innocente, la diffusione della droga e la riduzione della famiglia a una scelta discutibile e privata?».

A questo punto è doveroso chiarire che cosa è stata l’insorgenza nella storia. Ho affrontato recentemente l’argomento. Si tratta della ribellione di una parte importante di alcuni popoli europei, in particolare contro l’invasione delle truppe napoleoniche alla fine del ‘700 e l’inizio dell’800.

«Essa era concentrata su pochi obiettivi: il rifiuto della coscrizione militare di massa e del pagamento di tasse esagerate e immotivate, e l’attaccamento alla fede religiosa che i napoleonici volevano sostituire con altro o comunque limitare. Allora c’era un popolo semplice e coeso sui valori fondamentali. Oggi è il contrario, negli Stati Uniti come anche in Europa. Ci sono segmenti sopravvissuti di un popolo che non esiste più come identità condivisa. Questi segmenti reagiscono, ciascuno per motivi diversi. Molti di questi motivi sono nobili e fanno riferimento a una identità perduta e a valori autentici».

Tuttavia la reazione di questi uomini e donne, definiti populisti, è gente che sono stati per decenni bersagliati da principi sovversivi che magari confusamente dicono di rifiutare, ma certamente sono penetrati dentro di loro, ma anche dentro noi tutti. «E’ difficile fare loro capire, come anche a noi stessi, che le autorità e le istituzioni vanno comunque rispettate e salvaguardate, che i corpi intermedi vanno preservati anche se spesso sono solo occasione di privilegi e di corruzione, perché il modo di intendere la vita politica da parte di queste persone arrabbiate che reagiscono, come quello della maggior parte dei contemporanei, è istintivo, brutale, semplicistico».

Allora che dobbiamo fare? Limitarci anche noi a condannare quanto è accaduto il giorno dell’Epifania e così siamo a posto con la coscienza, «contenti di stare dentro il recinto del politicamente corretto che lascia a tutti un certo spazio purché stiano all’interno e non facciano domande imbarazzanti?».

Certamente No, faremo di tutto per non farci risucchiare dentro questo sistema di potere. Attenzione però, mentre cerchiamo di non farci omologare, non perdiamo la testa, non diventiamo tifosi di una partita già persa in partenza. Continuiamo a credere in quei valori che pure sono malamente incarnati, senza disprezzare quella “rabbia” popolare, ma senza lasciarci guidare da essa nelle nostre azioni. Il fondatore di Alleanza Cattolica, Giovanni Cantoni, amava sostenere il controrivoluzionario dev’essere estremista nelle idee, ma moderato nell’azione.

Mi fermo, l’argomento va approfondito meglio, lo farò in un prossimo intervento.

 DOMENICO BONVEGNA

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