Il Vangelo secondo Andrea Filloramo: la malattia, la sofferenza, la paura, l’isolamento ci interpellano

di ANDREA FILLORAMO

Abbiamo toccato con mano la fragilità che ci segna e ci accomuna. Abbiamo compreso meglio che ogni scelta personale ricade sulla vita del prossimo, di chi ci sta accanto ma anche di chi, fisicamente, sta dall’altra parte del mondo”, sono queste, fra tante, le parole di Papa Francesco, parlando del Covid-19.

Egli, inoltre, aggiunge: “la malattia, la sofferenza, la paura, l’isolamento ci interpellano. La povertà di chi muore solo, di chi è abbandonato a se stesso, di chi perde il lavoro e il salario, di chi non ha casa e cibo ci interroga (…) Obbligati alla distanza fisica e a rimanere a casa, siamo invitati a riscoprire che abbiamo bisogno delle relazioni sociali, e anche della relazione comunitaria con Dio”.

Il Papa, intanto, prende atto con dolore della morte a causa del coronavirus di tanti preti e religiosi, nello svolgimento del loro ministero. Essi secondo gli ultimi calcoli, sarebbero attualmente, in Italia, 250 e tale numero non sarebbe lontano da quello dei 260 medici morti nell’esercizio della loro professione.

Per comprendere il problema e il ruolo dei sacerdoti nell’affrontare l’emergenza coronavirus, può aiutare la dichiarazione di monsignor Luigi Ernesto Palletti, vescovo della diocesi Spezia-Sarzana-Brugnato (che ha perso quattro sacerdoti a causa del contagio), che scrive:

La morte di tutti questi preti è un segno forte: molti erano anziani, ma ancora attivi nel servizio pastorale, e dunque in mezzo alle fatiche della gente per questa prova. Hanno preso parte alla tragedia di tutti, ammalandosi, e morendo soli, come gli altri”.

Sorge, per tal motivo, spontanea una domanda: “perché, così come è avvenuto per i medici e il personale sanitario, i parroci e i tanti preti il cui ministero, al di là dell’età anagrafica, li obbliga a stare in contatto con la gente, non sono stati inseriti nelle prime fasce della campagna vaccinale?

È quello che ha chiesto don Ruggero Marini, parroco della diocesi di Torino, quando ha scritto al vescovo e ha chiesto “di essere messo nella condizione di non fare del male a nessuno” mentre svolge il suo ministero e aggiunge:

Ho sempre fatto tutto il possibile per essere sicuro di non contagiare gli anziani che incontro, i fedeli che chiedono il mio aiuto, le famiglie che vado a trovare ma non posso essere certo di non essere veicolo di contagio. Potrei esserlo senza saperlo, nonostante tutte le attenzioni. Ma non fare anche solo una di queste attività equivale a non svolgere il mio servizio. Se un ammalato mi chiama, io vado. E’ il dovere di un sacerdote (…); la mia richiesta non è fatta per proteggere me stesso anche se, ovvio, non ho nessuna voglia di ammalarmi, ma nasce dalla necessità di proteggere gli altri. La mia missione è stare tra le persone e non posso rischiare di diventare un pericolo per qualcuno (…) Il nostro ruolo è stare vicino alla gente e la mia richiesta nasce dal fatto che voglio tutelare gli altri, non me stesso”

Le legittime richieste di don Marini non hanno avuto, da quel che si sa, molto ascolto e risonanza fra i parroci, giacché i sacerdoti si sentono impegnati, nel silenzio delle loro parrocchie e delle istituzioni ecclesiali a rischiare anche la vita, a porgere la mano ai tanti che chiedono aiuto e sanno di essere disponibili, se richiesti, a cedere eventualmente il passo, nella campagna vaccinale antiCovid, in un momento in cui diminuiscono i vaccini, a quelli che ne hanno bisogno.

È questo sicuramente il momento della riscoperta della loro vocazione, in cui si rinnova la parabola del buon pastore che dà la vita per le sue pecorelle.

La Chiesa oggi, attraverso la testimonianza dei suoi preti, fatti di carità e di amore, non solo ricorda il suo passato, vissuto in epoche caratterizzate da grandi pandemie, ma cerca di riviverlo.

Tutti abbiamo letto o studiato i Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, che descrive la peste del 1630. Nel suo racconto emergono modalità rilevanti di come vivere di fronte all’epidemia. Manzoni narra del cardinale Federico Borromeo, della sua “carità ardente e versatile” pronta a distribuire ogni mattina “2000 scodelle di minestra di riso” e che spediva “ai luoghi più bisognosi della diocesi soccorsi, viveri, risorse per sostenere i più poveri”. Un esempio di carità cristiana che fece dell’amore per l’uomo più fragile il cardine della vita.

Altri episodi di pestilenza si registrarono in Francia nel 1720; nel 1743 ci fu l’ultima in Italia.

Rammentiamo anche la “spagnola” che scoppiò durante la prima guerra mondiale e causò forse 100 milioni di morti in tutto il mondo; alla fine degli anni Cinquanta ci fu l’influenza asiatica che negli anni 1957-60 provocò circa due milioni di morti; dieci anni dopo fece la sua apparizione “la spaziale”, un’influenza nata ad Hong Kong ma messa in relazione con la conquista della luna del 1969. Ma gli ultimi decenni non ci hanno certo risparmiato l’insorgere o il mantenersi di patologie diffuse e drammaticamente serie. Si pensi alla malaria che resiste in tante zone del mondo, o la tubercolosi, l’Aids, il virus Ebola.

Sono tutte queste pagine in cui si è espressa la carità della Chiesa e, quindi dei preti, di fronte ai malati che hanno accompagnato l’esperienza di generazioni di cristiani, fino a poter dire che la storia della Chiesa è soprattutto una vicenda di servizio al prossimo, ai più bisognosi e discriminati.

Ricordiamo che il monachesimo nasce anche dall’esigenza di trasformare la propria vita in servizio del prossimo, oltre che a Dio. E attorno ai monasteri nascono grandi ricoveri per accogliere chi è malato. Sono tante le figure con questo profondo ancoraggio evangelico: Francesco d’Assisi, Ignazio di Loyola, Giovanni di Dio, Camillo de Lellis, Vincenzo De Paolis, fino a Giuseppe Cottolengo, Giovanni Bosco, Luigi Orione, il Canonico di Francia e Teresa di Calcutta.

Gaetano di Thiene visse l’esperienza romana della peste successiva al 1527 e con i suoi compagni compì miracoli di carità; poi contribuì a ricostruire la città aiutando i meno abbienti, edificando ospedali, ricoveri per i poveri per i malati.

Uno dei più giovani seguaci di Ignazio di Loyola fu Luigi Gonzaga, che morì a soli 23 anni, assistendo i malati di peste a Roma nel 1591

Sono innumerevoli le vite cambiate da questa attitudine a farsi fratello del più diseredato, malato, escluso.

Molte realtà della Chiesa sono nate come risposte tempestive a situazioni gravi di necessità umane alle quali non si trovavano risposte nella società.

È l’affermazione del Regno di Dio che si rende presente attraverso l’esercizio della sua misericordia, che ha visto sempre in prima linea i sacerdoti.

L’interrogativo della carità oggi si propone nuovamente alla nostra generazione e chiama ad essere esemplari nella testimonianza evangelica, pur nelle strettezze delle necessarie disposizioni.

È questa una stagione nuova – nella quale c’è chi rischia di non aver di che mangiare, di che coprirsi, di che curarsi – che merita nuove e creative risposte che, come in altre epoche, sapranno farsi strada nel cuore dei cristiani, vedendo sempre in prima linea i sacerdoti.