Il Vangelo secondo Andrea Filloramo: la festa del Natale

di ANDREA FILLORAMO

In molte città iniziano i preparativi del Natale già durante l’Immacolata, quindi l’8 dicembre, poiché nelle famiglie questo è il primo giorno di festa utile per dedicarsi a quest’operazione senza togliere tempo al lavoro settimanale.

A partire da tale giorno, anche, in alcune istituzioni pubbliche e private, nelle strade, nelle piazze e nelle Chiese si provvede, anche in periodi di pandemia come sta succedendo adesso, con alberi addobbati, presepi e luminarie varie, a predisporre quanto è necessario per ripeterne nel tempo il suo significato.

Il Natale è la festa in cui miliardi di persone di tutto il mondo, cristiane e non cristiane, commemorano la nascita di Gesù Cristo, che da sempre è stata celebrata il 25 dicembre, che non è una  scelta arbitraria, né si fa provenire da “ideologie di riporto”, ma attinge “all’ininterrotta memoria delle prime comunità cristiane riguardo ai fatti evangelici e ai luoghi in cui accaddero”.

La festività del Natale dura, perciò, da molti secoli e si è arricchita di simboli e segni che inducono e invitano alla pace, alla fraternità, allo “stare assieme”, che sono divenuti valori universali che, con il Natale, vengono annualmente richiamati alla memoria collettiva.

Cerchiamo, brevemente di costruirne la storia.

La festa del Natale cominciò per opera di Papa Leone I, detto anche Leone Magno, venerato come santo non solo dalla  Chiesa cattolica ma anche dalla Chiesa ortodossa. Il suo pontificato è andato dal 29 settembre 440 alla sua morte e fu il più significativo e importante di tutta l’antichità cristiana.

In un periodo, infatti, in cui la Chiesa stava sperimentando grandi ostacoli in conseguenza della rapida disintegrazione dell’Impero Romano d’Occidente, mentre l’Oriente era profondamente agitato da controversie dogmatiche, Papa Leoni I°  guidò il destino della Chiesa Romana.

Diverse e significative furono le sue iniziative e le sue decisioni nel contribuire in modo significativo al passaggio dall’era pagana a quella cristiana, senza grandi e rapidi capovolgimenti delle abitudini e dei costumi radicati nel passato, ma cambiandone totalmente il significato.

È stato appunto Papa Leone che ha introdotto il Natale, dando al Cristianesimo campo libero nell’influenzare la vita, la cultura e la mentalità del popolo, che ormai si avviava a vivere l’era medievale.

Egli, così, sostituì i riti pagani dei “Saturnalia”, che erano dedicati al dio Saturno e all’ingresso della Natura nell’inverno e del Sol Invictus, cioè dell’invincibilità del sole, la cui rinascita era celebrata, appunto il 25 dicembre, tempo in cui, dopo il solstizio, le giornate cominciano ad allungarsi nell’emisfero boreale del pianeta, confermando così la riaffermazione del Sole sul mondo.

Da premettere che, come in ogni indirizzo storico-religioso, la religione cristiana, che contiene verità complesse, che altrimenti sarebbero inaccessibili alla mentalità dei popoli, nella comprensione anche del Natale in cui si contempla il mistero dell’incarnazione, si serve di simboli.

Per Papa Leone, quindi, Gesù è diventato il “Vero Sole“, a cui si devono attribuire valori di luminosità e supremazia, che illumina il mondo dopo il lungo periodo di buio delle tenebre.

Con l’introduzione del Natale, le ultime frange del culto pagano vennero, così, definitivamente soppresse e il Cristianesimo ha avuto campo libero nell’influenzare e nel determinare la vita, la cultura e la mentalità dei popoli, che ormai si avviavano a entrare e vivere l’era medievale.

Ma non solo! è stato Leone Magno, che, basandosi sulle Scritture ha fatto rivivere anche la scena (vera, presunta o solo immaginata, non lo sappiamo) della nascita di Gesù e, quindi, ha parlato di una stalla dove ha partorito Maria, del bue e dell’asino che rappresentano simbolicamente i pagani ed il popolo ebraico, non distanziati fra di loro, ma chiamati a riconoscere il Cristo.

Che la stalla fosse posizionata, poi, in una grotta, nulla ha detto Papa Leone, ma è stato nel VII secolo quando si pensò, allora, che la gelida pietra di una grotta (si continua ancora con la simbologia), potesse raffigurare la durezza della vita che il Cristo dovette affrontare per salvare l’umanità dal peccato.

Tutti questi elementi, nel XII secolo, sono stati ripresi da San Francesco per rappresentare al popolo la nascita di Gesù attraverso il presepe di Greccio, in provincia di Rieti, allestito nel 1223, durante la notte di Natale, dove all’interno della culla apparve un bambino in carne ed ossa che il Santo prese teneramente in braccio.

È stato da allora che, in Italia, venne introdotta la tradizione del presepe, che per molte famiglie fa parte delle decorazioni natalizie di base. La nascita di Gesù nel presepe si commemora con statuine della natività in un paesaggio simile a un modello.

Il presepe rimane sempre un simbolo dell’incarnazione di Dio nella forma di un bambino, di cui si è impadronita anche l’arte. L’arte presepiale napoletana, per esempio, si è mantenuta tutt’oggi inalterata per secoli, divenendo parte delle tradizioni natalizie più consolidate e seguite.

E che dire dei re Magi?  il significato dei loro nomi (Gaspare – re della luce; Melchiorre – re dell’aurora; Baldassarre – nome con il significato sconosciuto), e dei loro doni (oro – avvento di un re; incenso – avvento di una divinità; mirra – usato per l’imbalsamazione, e quindi trionfo sulla morte), sono invenzioni del VI secolo.

Non possiamo non parlare dell’albero di Natale che vediamo quasi in tutte le case.

Un accenno all’albero l’abbiamo in San Bonifacio (675-754), missionario in Germania settentrionale, che vide alcuni pagani che adoravano una quercia per preparare il sacrificio del principe Asulf al dio Thor. Li fermò, abbatté la quercia, al cui posto apparve un abete, che, essendo un sempreverde, a detta del santo, era “l’albero della vita e rappresentava Gesù”.

 Il primo vero albero di Natale, però, è del 1444, a Tallinn, quando si decise di rappresentare la presenza vitale di Cristo come giardino in terra; ragion per cui si addobbava a festa un albero, proprio per riprodurre il futuro rifiorire della vita dopo il buio della notte che ne ha limitato la presenza sulla terra  

Una certa tradizione che è più diffusa, vuole, tuttavia, che l’albero abbia avuto origine nel 1570 in Germania, quando si iniziarono a decorare abeti con mele, noci, datteri e fiori di carta.

Sarebbe stata, poi, la duchessa di Brieg, sempre in Germania, a lanciare, secondo la leggenda, la tradizione dell’albero di Natale. Nel 1611, la duchessa, infatti, che stava preparando gli addobbi per il Natale, non sapeva come riempire un angolo del salotto rimasto vuoto: per questo motivo, uscì in giardino e trovò un piccolo abete che fece trasferire nel salone.

Un altro elemento importante è stato sempre il cibo consumato nell’occasione del Natale.

Probabilmente, il tradizionale “cenone” di Natale, viene proprio da alcuni pantagruelici banchetti dovuti alla raccolta delle messi e delle derrate alimentari in vista dei tre mesi invernali: il Natale arrivava dopo l’ultimo raccolto dell’anno, quando non c’era un granché da fare nelle fattorie e, se non era necessario mantenere gli animali tutto l’inverno, era conveniente macellarli.

Questa può essere la ragione, per cui è possibile immaginare la relativa quantità di cibo a disposizione per questo periodo, come nel XIII secolo, quando Re Giovanni Senzaterra, in Inghilterra – si legge-  ordinò un pranzo di Natale pantagruelico: 24 barilotti di vino, 200 teste di maiale, 1.000 galline, 500 libbre di cera, 50 libbre di pepe, 2 libbre di zafferano, 100 libbre di mandorle, insieme ad altre spezie, tovaglioli e tovaglie, 10.000 anguille salate. Quanti fossero i partecipanti a quel pranzo non lo sappiamo ma siamo certi che tutti si sono “abbuffati”.

Nel periodo natalizio, inoltre, è ancora molto diffuso, particolarmente in Sicilia e nel Meridione d’Italia la pratica del gioco delle carte e della tombola o di altri giochi, da svolgere in famiglia o tra famiglie fra loro collegate, come nel passato era molto diffusa quella del gioco dei dadi.

In questo quadro non trova collocazione la tradizione dei doni, di dare e ricevere doni.

Potrebbe derivare questa prassi che oggi è prettamente consumistica, dallo scambio delle strenne, rigogliosi rami consacrati che gli antichi Romani si scambiavano il primo gennaio come augurio di prosperità e di abbondanza e non avrebbe nulla di natalizio se non un accostamento di date al giorno di Natale.

 Secondo la leggenda fu il re dei Sabini Tito Tazio – proprio quello del Ratto delle Sabine, che visse più di 700 anni prima di Cristo – a dare il via all’usanza. Si racconta infatti che una volta il sovrano chiese in dono ai suoi sudditi, ogni capodanno, un ramoscello d’alloro o di ulivo colto nel bosco sacro della dea Strenia (da cui la parola “strenna”).

Dopo tale richiesta anche i comuni cittadini cominciarono a regalarsi vicendevolmente questi rami sacri e la tradizione sarebbe poi stata “assorbita” dai Romani, i quali la modificarono un po’.

Finiamo con gli auguri di Buon Natale che tutti ci scambiamo.

Da elogiare è quel che avviene Paesi Islamici, dove non solo non è haram, (proibito), fare gli auguri per la festività del Natale ma l’augurio rappresenta un atto di buona educazione, di condivisione dello spirito di benevolenza, di gentilezza, di rispetto verso i cristiani (fratelli nel Dio unico) e verso il profeta Gesù.