Il Vangelo secondo Andrea Filloramo: Ho capito, Signore. La pace non me la può dare nessuno

di ANDREA FILLORAMO

Padre David Maria Turoldo, irruente figura profetica in ambito ecclesiale e civile, molto noto a quelli di una certa generazione è stato prete, scrittore, poeta, saggista, conferenziere, molto presente nella vita culturale, sociale e religiosa del paese, con libri, articoli, interviste e seguitissimi interventi su radio e televisione.

Resistente sostenitore delle istanze di rinnovamento culturale e religioso, è ritenuto da alcuni uno dei più rappresentativi esponenti di un cambiamento del cattolicesimo della seconda metà del 900 che gli ha valso il titolo di “coscienza inquieta della Chiesa”.

Ripropongo stralci di un suo intervento del 1967, in cui egli tratta il tema della pace , che non è difficile notare come esso sembra riflettere la situazione odierna che stiamo vivendo in questo momento particolare della guerra in Ucraina che non accenna a finire.  

Da ; “ David Maria Turoldo. La sfida della pace” a cura di Elena Gandolfi (Bellavite Editore 2003):

“Ho capito, Signore. La pace non me la può dare nessuno. È inutile che speri. I governi, gli stati, i continenti hanno bisogno di pace anche loro e non ne sono capaci. E camminano tutti su strade sbagliate.

Essi pensano che la pace si possa ottenere con le armi, incutendo paura agli altri stati e agli altri continenti. E intanto si armano, e studiano sistemi sempre più potenti e micidiali. Tutti vogliono essere forti.

Dicono: solo un forte può imporre il rispetto e la pace. Come se la pace fosse un fatto di imposizione e non d’amore. Io non ho mai visto che ci sia pace per queste strade. Questo è uno squilibrio di terrore: un’altra maniera per essere schiavi; una maniera apparentemente civile.

Invece è barbarie come tutte le altre barbarie. Infatti il più forte dice al più debole: guai se ti muovi! E non ha importanza che magari la situazione del debole sia insostenibile, ingiusta, umiliante. Non ha importanza che sia, ad esempio, la fame o la mia condizione di uomo di colore a spingermi a gesti assurdi.

Ma verrà, uomini, verrà — e non è lontano: io per questo prego e spero — quel giorno che l’oceano nero di miseria e di dolore si metterà in moto, uscirà dai suoi confini con il boato della disperazione.

Quell’oceano della collera dei poveri, degli oppressi, dei delusi! Un oceano misteriosamente ancora calmo. Ma fino a quando? Perché non può durare così. Ora la coscienza sta maturando in profondità e in silenzio; ma poi eromperà e allora sarà più notte della notte. Allora chi è nei campi non torni a casa a salutare sua madre; e chi è sul terrazzo non scenda a prendersi il mantello; e chi è per via non avrà neppure il tempo di dire addio a un amico. Allora «due staranno alla stessa macina di mulino…» (cfr Luca 17,35; cfr anche Marco 3,15-16): parola tua, Signore! Impossibile che non si avveri.

Allora l’oceano dei poveri strariperà come se la terra fosse capovolta, scossa dalle fondamenta. Va bene: i potenti ci ammazzeranno in molti. Ma pure molti di loro saranno ammazzati. No, per queste strade della sopraffazione e del terrore non ci può essere pace.

No, nessuno può uccidere un’idea. Nessuno può sradicare la libertà dal cuore dell’uomo: almeno mi resterà sempre la libertà di morire. Perché tante volte è meglio, vale di più morire che vivere.

No, non occorrerà neppure che i poveri facciano la guerra: basterà che si mettano in cammino, che si incolonnino sulle strade. Tutte le strade sarebbero un unico serpente interminabile: una sola immensa processione.

Non ci sarebbe neppure spazio per muovere una sola macchina; e nessun carro armato li potrebbe schiacciare. Perché sarebbe un serpente di cui nessuno saprebbe dove abbia la testa o il cuore.

Basterebbe che la Cina, a esempio, la sola Cina si mettesse in cammino: ci sarebbe da uccidere per anni e anni e anni. Che si metta in cammino! Non ha bisogno di armi atomiche la Cina (questa è una sua debolezza). Cioè, basta che l’oceano esca dai suoi confini; noi abbiamo visto cosa sono le alluvioni: allora non vale nulla la nostra tecnica e la nostra scienza e la nostra capacità organizzativa.

Io potrei pregare anche così: Cina, mettiti in cammino, cammina soltanto; cammina sui deserti dell’Asia; a milioni premete sui confini. Poi vedremo cosa valgono i nostri confini. Potrei dire: India, Africa, e negri d’America e tutti voi, o criollos dei mille paesi, mettetevi insieme: fate siepe di chilometri sulle strade ferrate, sulle piazze delle capitali potenti, poi vedremo cosa vale la potenza di queste capitali.

Oppure, anche se ciò non dovesse avvenire, questa non è pace.

La pace non ha niente a che fare con la forza. Questo non avviene perché ancora non è l’ora, perché un Altro, qualcuno, tu, Signore, non lo permetti; e attendi (ma fino a quando?) che gli uomini imparino che non è giusto, non è giusto che duri così. Solo che tu vuoi che l’impariamo da noi stessi: in tempo e per altre vie.

Capisco, questa è una finta pace: anzi, neppure finta pace. Pace: dove? e per chi? È pace forse perché non si muore qui, ma si muore nel Vietnam? È pace perché i negri stanno nelle locations del Sud Africa e noi possiamo scorazzare liberi dalla Città del Capo a Roma? È pace perché qui si suona e si danza e si canta, mentre nel Congo, al Cairo, oppure ad Amman, si piange impotenti e disperati? E nell’Angola e nel Mozambico e nelle Americhe si pensa solo come vendicarsi, come organizzare per ora altre guerriglie.

Questa non è pace.

Io voglio essere un cristiano, o Signore.

Non posso, non è giusto accettare questa situazione. Ho capito: la pace non è di questo mondo; può essere nel mondo, ma non è del mondo. Essa è come il tuo regno: è qui, è là, è chissà dove. Ma non è del mondo. E non è neppure di nessuna istituzione.

Nessuno degli uomini può dire dove abiti la pace. Non c’è una casa della pace e una casa della guerra. Oggi ci può essere pace e domani guerra nella stessa casa, nella stessa nazione. Certi paesi non sono paesi di pace, perché non guerreggiano: essi possono essere centrali di guerre lontane; paesi di aureo egoismo e focolai misteriosi di rivolte chissà dove. La terra è una.

L’umanità è una. Perciò uno non può star bene e l’altro male.

La pace non è monopolio di nessuno, né può essere frutto di sistemi umani. Prova ne sia che il mondo non è capace di darsi una pace una volta per sempre. Neppure l’uomo è un soggetto di pace permanente. Io oggi posso essere in pace, ma domani?

Basta una parola, un gesto che io ritengo ingiusto, perché la mia pace vada in frantumi. Non c’è nulla di più fragile, di più incerto, di più quotidiano della pace.

Amicizie offese, interessi che si pensa calpestati, umori oscuri del sangue (chissà cosa nascondiamo noi nel sangue!); e poi soprattutto “la roba”.

Allora ognuno di noi è un soggetto di guerra? Sì, in ognuno di noi vi è il geme della guerra. Anzi, la guerra grande, la guerra guerreggiata, la guerra calda non è che la somma di tutte le guerre individuali, in ogni guerra che cova nel cuore di ogni uomo. Ogni guerra comincia da ciascuno di noi. Mentre da nessuno di noi può cominciare la pace. Perché la pace è più grande dell’uomo. Noi tutti veniamo della foresta, e nella foresta non c’è pace.