Guerra, virus, paure: non è sufficiente implorare la pace

di ANDREA FILLORAMO

Fino a due anni fa sapevamo tutti cosa fosse teoricamente un trauma, cioè un evento inaspettato, una situazione improvvisa che irrompe negativamente nella vita alterando la normale quotidianità e la percezione del mondo, un fatto devastante con effetti negativi sulla capacità di regolare l’emotività, una dissociazione strutturale della personalità.

Nessuno, però, pensava che avremmo fatto esperienza del trauma, prima con la pandemia quando il Covid con le sue varianti imperversava e il terrore, in egual misura, costringeva molti a ricorrere al vaccino ed altri a negarne l’efficacia o addirittura a negarne l’esistenza; adesso con una guerra nel cuore dell’Europa che ancora non sappiamo a che cosa ci porterà, che ci costringe a modulare l’espressione delle emozioni e dei comportamenti.

Cosa fare? Non è sufficiente implorare la pace, fare la retorica della pace quando ambedue i contendenti considerano l’altro un nemico che sta dietro o dentro l’uscio di casa propria e può colpire o che colpisce.

Occorre dirlo con chiarezza: la pace senza giustizia è una parola vuota un semplice placebo con il quale si è cercato sempre di curare una malattia mortale che rischiava e ancora rischia di essere mortale.

La pace non è mai un momento di partenza ma di un arrivo, che vede tutti tirare le somme dopo un cammino lungo e faticoso, che non dovrebbe (uso il condizionale), vedere vincitori e vinti.

Giungere a questo momento dopo il trauma che abbiamo vissuto è l’unica speranza che coltiviamo.