STORIE: LA MARCHESA GIULIA COLBERT DI BAROLO

Perché presentare la figura di Giulia Colbert di Barolo? Perché Giulia Colbert è una delle donne più sorprendenti dell’Ottocento ed è stata, senza ombra di dubbio, una delle personalità femminili più importanti di quel secolo sia sul piano religioso che su quello sociale e civile. Questa straordinaria figura è stata riscoperta (il suo ricordo a Torino è sempre stato presente e vivo tra la gente) soprattutto con un’opera, la biografia edita dalla Libreria Vaticana nell’anno 2007.

Dotata di una notevole sensibilità umana e religiosa, non potendo diventare madre, insieme al marito Carlo Falletti – Barolo di Torino si prodigò per i bambini poveri, per le ragazze a rischio e si dedicò a numerose opere di promozione sociale. Tra queste la riforma delle carceri femminili del Piemonte che sarà conosciuta non solo in Italia ma anche all’estero e favorirà lo sviluppo di una nuova coscienza per il recupero dei condannati. Su nomina con dispaccio ministeriale, confermata dal re Carlo Alberto, prima donna che ricoprì questo incarico, fu Sovrintendente del carcere femminile di Torino.

Da tempo desideravo approfondire questo personaggio che ho scoperto leggendo le gesta di altre figure straordinarie vissute sempre nell’ambiente torinese, mi riferisco a Giovanni Bosco, Giuseppe Cottolengo, Giuseppe Cafasso, Leonardo Murialdo, e poi soprattutto Francesco Faa di Bruno e tanti altri “santi sociali” che forse andrebbero chiamati “santi della carità”, che hanno più o meno raggiunta la santità. E proprio Giulia potrebbe essere definita una “santa della carità”.

La mia curiosità mi ha portato alla Chiesa di Santa Giulia, la sua chiesa, in borgo Vanchiglia a Torino, presso la sua tomba. E poi presso il “Distretto Sociale Barolo” in via Cigna a Torino da suor Fiorita Suarez dove ho ricevuto in dono il bel volume, con la promessa di una recensione da parte mia. Il testo, Giulia Colbert di Barolo. Madre dei poveri”, una biografia documentata curata da suor Ave Tago. Si tratta di un grosso volume di ben 721 pagine, edito dalla Libreria Editrice Vaticana nel 2007. Prima di iniziare la mia lettura  ho avvertito suor Ave, la curatrice dell’opera, per avere maggiori informazioni.

Lo studio è prefato dal cardinale Paul Poupard, la postfazione da Angelo Montonati. Il cardinale esprime il suo vivo compiacimento per questa biografia documentata su Giulia Colbert, perchè lui stesso proviene dalla Vandea Angioina, nato a pochi chilometri di distanza dal castello di Maulevrier, dove nacque e visse i primi anni Juliette Colbert. “E’ bello e sorprendente scoprire, – scrive il cardinale – pagina dopo pagina, in una laica e in una nobildonna di quel tempo, che solitamente inquadreremmo in un contesto più fatuo, tanta chiarezza di ideali socio-politici e una spiritualità tanto profonda quanto attuale. Una spiritualità nutrita solidamente con la lettura della sacra Scrittura e, particolarmente, dei salmi, centrata sulla fiducia in Dio, accolto e riconosciuto ricco di misericordia e di compassione verso tutti i suoi figli…”.

Giulia Colbert di Barolo è stata una grande figura di donna veramente moderna per tanti suoi aspetti e, contemporaneamente, dotata di grande spiritualità, di una fede autentica e profonda. Una donna che ha illuminato con la sua fede, la vita, la cultura e l’impegno sociale. La Colbert di Barolo è un esempio di santità laicale e moderna, vera pedagogia di santità per tutti noi.

“Era bella, ricca – con un patrimonio valutabile oggi intorno ad alcune centinaia di milioni di euro, – felicemente sposata, famosa, colta, legata ad amicizie potenti e con una cultura abbastanza insolita per il mondo femminile ai suoi tempi. Juliette, infatti, oltre alla sua lingua madre, parla il tedesco, l’inglese e conosce bene il latino”. Più tardi scrive Paupard, apprenderà l’italiano e il dialetto torinese. Ha seguito gli studi filosofici, di storia e di matematica. Veramente è una giovane dotata, sotto l’aspetto intellettuale e spirituale, oltre che fisico. Una persona completa e matura, equilibrata, ricca di attenzione e di interessi, sensibile, capace di scelte chiare e coraggiose. Una donna di doti poliedriche come si può notare dalle pagine del libro curato da suor Ave Tago. Ma soprattutto sono le sue lettere, che documentano la sua straordinaria vita piena di opere improntate al bene altrui. Interessante il suo nutrito epistolario con il poeta francese Alphonsine de Lamartine. Il poeta subiva dalla Serva di Dio, il fascino della sua virtù e ammirava la sua superiorità spirituale e peraltro lui stesso influenzato nella sua politica dalla marchesa per i suoi convincimenti in difesa degli oppressi.

Tuttavia gli scritti autobiografici, in particolare l’epistolario è vastissimo, anche se molti scritti sono stati bruciati. La serva di Dio mantenne sempre una fitta corrispondenza con i suoi famigliari e gli amici, con le Suore di S. Maria Maddalena, con altre suore, con politici ed ecclesiastici e con i suoi stessi segretari, a partire da Silvio Pellico.

Ritorniamo al nostro volume, introdotto dalla Madre Superiora Generale Delia Mazzocchi, delle Figlie di Gesù Buon Pastore. La Madre ringrazia ed esprime la sua riconoscenza a tutti quelli che hanno sostenuto ed aiutato suor Ave Tago, che con dedizione instancabile e sofferta, ha approfondito questo studio sulla vita, sulle opere e la spiritualità di Giulia. Questa donna scrive la Madre Superiore, è un dono alla Chiesa e alla società. Ella ha qualcosa da dire a tutti: ai ricchi perchè condividano i loro beni con i poveri; alle donne provate da esperienze negative perché abbiano ferma speranza nel Dio della misericordia che trasforma le più brucianti sconfitte e ci guida sulla via della libertà e del bene; ai politici perché abbiano come unica meta il bene comune; agli sposi perché sappiano mantenere viva la comunione d’amore nei piccoli gesti quotidiani ed aprirsi al prossimo; ai giovani, oggetto di tanta tenerezza e attenzione; a noi religiose perché siamo autentiche testimoni di santità. Ed è una maestra credibile perché parla soprattutto con la vita”.

Il testo si compone in XIV intensi capitoli, ad ogni capitolo seguono una serie di documenti, perlopiù si tratta di lettere che la Marchesa spedisce a persone più o meno illustri o lettere che riceve. La maggior parte di questi documenti sono scritti in francese e questo diventa un ostacolo per la mia ricerca, per il mio studio. Nel I capitolo (Famiglia, nascita e battesimo di Giulia Colbert [1786-1789])

Giulia nasce il 26 giugno 1786 a Maulevrier (Francia), per la precisione in Vandea, secondogenita del conte Edouard-Victurnien-Charles-René Colbert e della contessa Anne-Marie-Louise Quengo de Grenoble. Lo stesso giorno viene battezzata con i nomi di Juliette-Francoise- Victurnie.

Il testo curato dalla Tago fa una breve presentazione della regione francese della Vandea alla fine del XVIII secolo. Fa riferimento alla reazione popolare dei vandeani contro la Rivoluzione francese. Una breve e corretta sintesi dei fatti, che hanno visto i contadini insorgere contro i rivoluzionari giacobini di Parigi. Suor Ave cita gli studi dello storico Reynald Secher e di altri studiosi. Con la conseguente repressione ideologica scristianizzatrice messa in atto dai tribunali rivoluzionari durante il Terrore. Repressione delle “colonne infernali” che si è trasformata presto in massacro. Suor Ave rileva come la Chiesa ha riconosciuto in questi combattenti vandeani, la gloria degli altari, dichiarandoli beati dopo avere accertato la loro persecuzione e l’odio per la fede da parte dei persecutori giacobini.

Il II capitolo (Infanzia e giovinezza [1790-1805]) Anche qui la Tago fa una breve premessa sulla Grande Rivoluzione del 1789, partita con motivazioni liberali e monarchiche, ma ben presto si radicalizza, fino a giungere al Terrore della dittatura giacobina. Poi passa all’ambiente familiare della piccola Giulia. Per quanto riguarda l’infanzia di Giulia è contrassegnata dal dolore. All’età di sette anni, rimase orfana della madre. Travolti dalla rivoluzione, la famiglia Colbert fu costretta a lasciare la Francia e trasferirsi in Germania. Successivamente si trasferirono in altri paesi europei. Tutte queste vicissitudini lasciarono un’impronta negativa nella mente della giovane Giulia, in particolare una profonda diffidenza verso ogni moto violento di protesta. Con l’avvento di Napoleone, tutta la famiglia ritornò in Francia e si stabilì a Parigi.

Il padre di Giulia, il conte Edouard fu molto attento all’educazione dei figli, non solo dal punto di vista culturale, ma anche soprattutto religioso e morale. Il padre guidava i propri figli con l’esempio alla frequenza dei sacramenti e della parola di Dio, fornendo loro libri di sana dottrina e conversazioni edificanti, per farli crescere in pietà e in dignità di carattere. Queste informazioni arrivano da don Giovanni Lanza, che ha conosciuto personalmente la Marchesa.

Giulia viene descritta come una ragazzina molto vivace, amava molto la lettura, un grande interesse verso la letteratura, possedeva una biblioteca ricca di libri. Suor Ave rileva che Giulia ha copiato diversi brani di poeti, scrittori francesi, inglesi e italiani, molti di questi brani hanno un carattere religioso. Facendo riferimento alla biografia del de Melun, la giovane Giulia veniva accolta ovunque con ammirazione e rispetto, soprattutto nelle discussioni che si procurava.

Il III capitolo (Il matrimonio [1806-1838]) il testo racconta il fidanzamento di Giulia Colbert con il suo futuro sposo, il marchese Carlo Tancredi Falletti di Barolo, avviene a Parigi nel periodo napoleonico. In quel periodo la corte imperiale veniva frequentata anche da nobili piemontesi. Così Giulia e Tancredi, frequentando la Corte e i salotti aristocratici della capitale, ebbero modo di conoscersi. Diversi per temperamento, essi scoprirono di essere legati da varie affinità e si innamorarono. Pare che il loro matrimonio sarebbe stato favorito da Napoleone in persona. Il matrimonio religioso fu celebrato a Parigi il 18 agosto 1806. Tancredi aveva 24 anni e Giulia 20, un’unione ottimale sotto tutti i punti di vista. Erano giovani, ricchi, e socialmente altolocati, formavano quindi una coppia ideale. Fu un “matrimonio d’amore”, scrivono concordi i biografi.

Al paragrafo 3, la Tago appronta una scheda sulla famiglia Falletti di Barolo e su Carlo Tancredi, unico figlio del marchese Ottavio.

I primi anni di matrimonio i due sposi soggiornavano alcuni mesi in Francia, alla Corte imperiale, dove Tancredi venne nominato dapprima ciambellano e poi Conte dell’Impero, il resto dell’anno lo trascorrevano a Torino.

Con il crollo dell’impero napoleonico e il ritorno dei Savoia in Piemonte, i Barolo si stabilirono definitivamente a Torino, nello splendido palazzo di famiglia in via delle Orfane. Giulia intanto amò la sua nuova patria, di cui volle imparare la storia, abitudini e persino il dialetto. “I coniugi Barolo risposero con fedeltà alla grazia del matrimonio nella consapevolezza che dentro l’esperienza degli sposi cristiani si esprime il mistero dell’amore eterno di Dio”. Scrive suor Tago, “essi seppero accogliersi nella diversità delle persone e farsi dono gratuito l’uno all’altra; coltivarono il loro amore giorno dopo giorno aiutandosi reciprocamente nel superare i limiti del temperamento e le divergenze di vedute”. Insieme affrontano i diversi fronti operativi: Giulia in prima persona tra i poveri, soprattutto nel campo dell’emarginazione femminile; Tancredi sul piano educativo e politico-amministrativo.

E’ veramente interessante leggere i racconti riportati sulla comunione dei cuori dei due sposi, il dialogo costante e intimo, il sostenersi reciprocamente nelle prove. Sono delle utili esperienze che potrebbero aiutare i giovani sposi di oggi. “Giulia e Tancredi non ebbero il dono dei figli, ma questo non fu motivo di disaccordo fra loro; accettarono come abbandono alla volontà del Padre questa sofferenza”. Secondo il Lanza, questo sacrificio fu accettato dai due coniugi con “cristiana rassegnazione”, consentendo al loro amore di diventare più puro e più forte.

Il IV capitolo (I rapporti di amicizia e l’attività culturale) In questo capitolo si mette in risalto la straordinaria esperienza culturale del cosiddetto “Salotto Barolo”. Sia il nonno che il padre di Tancredi avevano animato l’importante salotto letterario Barolo, frequentato anche da numerosi diplomatici stranieri.

La casa continuò naturalmente ad essere frequentata dai personaggi di spicco dell’epoca, diplomatici, magistrati, nobili, letterati e scienziati. Per motivi di spazio non posso soffermarmi  sui discorsi dei frequentatori del salotto, animati dai due giovani coniugi. Per i marchesi, impegnati a promuovere una cultura ispirata ai principi cristiani, era naturale che utilizzassero gli incontri serali del loro salotto per portare avanti i propri progetti caritativi. Qualcuno ha attribuito alla Giulia Barolo un conservatorismo cieco, “in realtà – scrive la Tago- ella non si coinvolse mai direttamente nella politica e rendeva giustizia a tutti”.

La Barolo era in contatto con diversi amici, soprattutto quelli appartenenti al mondo francese, amicizia con ecclesiastici, con uomini impegnati  nel campo educativo-sociale.Tra questi spicca monsignor Dupanloup, vescovo di Orleans, amico di Federico Oznam. La marchesa aveva contatti amichevoli con tanti laici, che il libro riporta. Una particolare sottolineatura però merita l’amicizia di Giulia con il poeta Alphonse de Lamartine e con la sua famiglia. Significativa una lirica dedicata all’amica Giulia: “una donna estremamente incantevole quanto a bellezza e a fascino spirituale…”.

Anche in Italia la marchesa aveva diversi amici, anche il testo elenca nomi illustri come gli Alfieri o il conte Joseph de Maistre e i suoi familiari. Strettissimi erano i legami di amicizia con la famiglia Savoia. Carlo Alberto, ammirava la genialità creativa e l’instancabile attività della Marchesa a favore dei poveri, era sempre pronto ad offrirgli il suo appoggio. Anche la moglie Maria Teresa, una donna pia e buona, collabora volentieri con Giulia di Barolo. Una sincera amica della Barolo, come testimonia il Lanza, era la giovane principessa Maria Cristina di Savoia, poi regina di Napoli. Nei mesi che passava in Napoli la Marchesa si confidava con lei. Un’altra amicizia importante della Marchesa è quella con Camillo Benso di Cavour e infine con Silvio Pellico, il suo segretario e bibliotecario. Suor Tago accenna al rapporto della Marchesa con le “Amicizie Cristiane”, delle società segrete cattoliche, che si prefiggono la formazione spirituale degli associati e la diffusione della buona stampa. L’Amicizia Cristiana venne fondata a Torino negli anni 1770-1780 da padre Niccolò von Diessbach s.j. al quale succedette Padre Pio Brunone Lanteri. Un’esperienza interessante da conoscere e da studiare.

Il V capitolo (Attività di assistenza ai poveri) dopo aver presentato la situazione sociale di povertà negli Stati Sardi, il testo si occupa dell’assistenza ai poveri da parte della Marchesa di Barolo. “Non avendo avuto il dono dei figli, i coniugi Barolo adottarono i poveri di Torino e svilupparono un dettagliato programma di interventi”.

Per il momento mi fermo, continuerò al prossimo intervento.

DOMENICO BONVEGNA

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