CI SIAMO DIMENTICATI DELL’ORIGINE DEL VIRUS

Praticamente a via di parlare di misure da prendere come difenderci dal coronavirus, ci siamo dimenticati dell’origine stessa del virus. In un editoriale del 24 ottobre di Atlanticoquotidiano.it, ci si interroga sull’origine del virus, «Nel dramma globale che i competenti chiamano asetticamente “seconda ondata del Covid-19, la domanda su come si sia davvero originato il coronavirus di Wuhan continua a non interessare né l’opinione pubblica, né i governi, né i dirigenti politici.

 

Eppure si tratta di un interrogativo essenziale, non solo per accertare la catena di responsabilità politiche che ha fatto ammalare il mondo, ma anche perché potrebbe rappresentare un’informazione utile alla ricerca di una soluzione. Se gli scienziati stanno provando a tirare i fili di una matassa che il tempo da solo non scioglierà, non va dimenticato che il terreno su cui si misurano i tecnici è truccato dalla natura autoritaria del regime cinese e dalle complicità dell’Organizzazione Mondiale della Sanità». (Enzo Reale, Ancora silenzi e omertà sull’origine del China Virus: la denuncia di Li-Meng Yan e le ipotesi del virologo Palù, 24.10.20 in Atlanticoquotidiano.it)

Peraltro sono proprio i due fattori che la virologa Li-Meng Yan ha denunciato a più riprese da quando, lo scorso aprile, è stata costretta a lasciare Hong Kong alla volta degli Stati Uniti, dopo le minacce ricevute da ambienti governativi.

Sull’origine del virus si era interrogato anche il professore Ermanno Pavesi nell’ultimo numero della rivista Cristianità, organo ufficiale di Alleanza Cattolica. (Un’analisi della gestione dell’epidemia di “coronavirus” in Cina, n. 404, luglio-agosto 2020, Cristianità)

L’emergenza sanitaria presente in molti Stati e la necessità di evitare seconde ondate, «ha posto in secondo piano alcune questioni come l’origine del virus e la gestione delle prime fasi dell’epidemia, che anche se attualmente possono apparire puramente accademiche, d’altra parte sono di grande importanza per capire se sono stati commessi errori che hanno avuto conseguenze drammatiche a livello globale».

Giovanni Paolo II nella lettera apostolica,“Salvifici doloris”, auspicava «una grande cautela» nel giudicare le responsabilità personali e sociali in caso di sofferenze individuali o collettive, causate dall’uomo, naturalmente questo vale anche per l’analisi dell’epidemia di COVID-19.

Infatti Pavesi è abbastanza cauto nel suo lungo e documentato servizio. Intanto scrive che l’epidemia del COVID-19 non era per niente inaspettata. Ci sono scienziati e autorità sanitarie che lo avevano previsto da anni, soprattutto dopo l’esperienza della SARS (2002-2004). Naturalmente ogni nuova epidemia, pone problemi nuovi.

Lo studio del professore segue meticolosamente di pari passo gli sviluppi dell’epidemia in Cina, in particolare a partire della fine di dicembre dell’anno scorso. Il tutto partendo naturalmente da quel dottore Li Wenliang (1986-2020) che ha scoperto la pericolosità del virus e che poi è morto in circostanze misteriose. Seguite dalle prime dichiarazioni del governo cinese e poi da quelle dell’OMS, le prime ammissioni e le ulteriori dichiarazioni perlomeno contraddittori.

Sostanzialmente come minimo si registrano errori di valutazione tra le dichiarazioni del governo centrale di Pechino e quello locale di Wuhan. Pavesi fa riferimento ad una serie di dichiarazioni, che si possono consultare tranquillamente nei vari siti internet.

Inizialmente si parla di un contagio causato da animali nel mercato ittico di Wuhan, anche se non erano in grado di chiarire da quale animale, senza mai ammettere il contagio da uomo a uomo. Contagio che poi viene ammesso soltanto il 20 gennaio dal consulente medico del governo il dottor Zhong Nanshan alla rete televisiva centrale cinese CCTV.

Da questo momento scrive Pavesi, si chiude una fase e se ne apre un’altra, gestita direttamente dal Comitato Centrale del Partito Comunista. Intanto Pavesi, fa presente, che le autorità cinesi hanno respinto a lungo l’invito a coinvolgere specialisti stranieri nelle ricerche sugli inizi dell’epidemia. Assomigliano al Governo Conte che non prende in considerazione i contributi dell’opposizione.

E se qualcuno chiede alle autorità cinesi, come ha fatto SKY, il perchè non fa partecipare esperti stranieri, la risposta è chiara: «la richiesta per un tale invito sarebbe dettata non da interessi scientifici ma politici, allo scopo di colpevolizzare la Cina». E anche quando l’OMS ha fatto la stessa richiesta, la risposta delle autorità comuniste è categorica: «Noi ci opponiamo a una cosiddetta indagine che è stata richiesta da politici in pochi Paesi per calcoli politici basati sulla presunzione di colpa».

Il dottor Pavesi fa riferimento ad una dettagliata analisi dell’inizio della pandemia, “COVID-19 e Cina. Una cronologia degli eventi (dicembre 2019-gennaio 2020)”, aggiornata al 13 maggio 2020,  pubblicata dal Servizio Studi del Congresso degli Stati Uniti. Il rapporto deplora l’incompletezza delle informazioni fornite dalla Cina.

Peraltro il professore individua alcuni articoli critici nei confronti dei ritardi nell’affrontare l’epidemia. In particolare sul Global Times, Jiang Shigong, professore di Diritto all’Università di Pechino, muove gravi accuse alle autorità sanitarie locali e regionali: «dal 31 dicembre al 17 gennaio le autorità sanitarie locali non hanno comunicato né che la malattia potesse essere trasmessa da uomo a uomo, né il numero delle nuove infezioni […]».

Questa intervista al Global Times è importante perchè secondo Pavesi, «conferma giustificati dubbi sulla correttezza delle teorie e sull’attendibilità delle informazioni e dei dati forniti dalle autorità cinesi fino al 20 gennaio». Quella di Jiang è una forte critica, per il tempo perso a causa della burocrazia e della mentalità “conservatrice” delle autorità cinesi. E’ una crisi che si è verificata con le stesse modalità della SARS. Certamente da quello che si evince dall’articolo, «l’Epidemia era quindi nota ai vertici del Partito Comunista già agli inizi di gennaio: probabilmente non sarà mai possibile ricostruire il flusso delle informazioni nelle due settimane successive, ciò che consentirebbe di attribuire la responsabilità per gli errori di gestione».

Infine il percorso seguito da Pavesi sulla rivista Cristianità, descrive come il coronavirus è arrivato in Europa, descrivendo quell’incontro di lavoro nella sede centrale della ditta produttrice di componenti per autoveicoli Webasto a Stockdorf, nell’Alta Baviera in Germania. Poi confermata da un’intervista all’agenzia ADN Kronos dell’11 marzo del professore Massimo Galli, dell’ospedale “Sacco” di Milano.

Tuttavia sono tanti gli indizi che mostrano «le conseguenze degli errori delle autorità cinesi nella gestione della prima fase dell’epidemia e della manchevolezze dell’OMS e dell”EDC. Se le autorità cinesi non avessero proclamato trionfalisticamente che ‘l’epidemia era stata arginata’, ma avessero gestito correttamente la vicenda, il suo corso avrebbe potuto essere differente, prima in Cina e poi a livello mondiale […]».

Pavesi ritorna ancora sull’articolo citato del Global Times, sui vistosi ritardi nel segnalare i casi d’infezione e sulle mancate misure e sulla gestione delle emergenze sanitarie pubbliche. Si evidenzia come le autorità comuniste cinesi, «hanno perso tutte le occasioni per salvare quante più vite possibili». A questo punto non solo in Cina ma anche in tutto il resto del mondo.

Ormai è evidente che «se le restrizioni di movimento dei cittadini di Wuhan fossero state decise prima, o per lo meno se la popolazione fosse stata allertata sull’esistenza dell’epidemia e del rischio del contagio da uomo a uomo, la dipendente cinese della ditta Webasto probabilmente non avrebbe ricevuto la visita dei genitori e, qualche giorno, dopo non avrebbe portato il coronavirus in Europa».

E se come ha dichiarato la dottoressa Li-Meng nell’intervista a Telecinco che: «il virus è stato prodotto artificialmente in laboratorio come arma biologica». Allora la vicenda diventa dichiaratamente criminale. Tuttavia il merito della dottoressa cinese è quello di aver frantumato la versione politicamente corretta della pandemia del governo cinese e che la comunità internazionale ha supinamente accettato. Insomma, secondo l’editoriale di Atlanticoquotidiano,  «l’interesse del personaggio risiede più nelle domande che pone che nelle risposte che fornisce e proprio per questo i tentativi di chiuderle la bocca destano sospetti».

Ormai nel mondo scientifico non crede più nessuno al pipistrello che avrebbe contagiato le bancarelle del pesce di Wuhan. I medici di Hong Kong e della Cina continentale erano al corrente da tempo di casi di trasmissione della malattia all’interno di gruppi famigliari e della presenza di pazienti infetti negli ospedali della stessa Wuhan.

«Mentre ufficialmente si cercava il pangolino responsabile della mutazione definitiva, il virus si stava già diffondendo indisturbato tra le persone. Da quando esattamente? Per rispondere a questa domanda ci viene in aiuto Giorgio Palù, professore emerito all’Università di Padova ed ex presidente della Società europea di virologia, in una recente intervista rilasciata ad Affari Italiani: “100.000 genomi sequenziati ci fanno capire da quando il virus è passato da uomo a uomo. Lo sappiamo esattamente. È inconfutabile: il coronavirus circola almeno da settembre 2019. E i cinesi sono stati zitti 4 mesi”.

Merita la nostra attenzione un’altra interessante domande posta da Palu’:“Bisognerebbe che chiedessimo perché l’Oms ha detto che i cinesi sono stati bravi. Perché hanno mandato delle commissioni? Quando viene chiesto di avere il virus iniziale il virus non c’è più. Perché sono sparite le sequenze del virus del pipistrello che si coltivavano a Wuhan? Dovremmo anche chiederci perché in Cina il virus è sparito”.

Infine un’ultima riflessione avanzata dall’editorialista di Atlantico in merito alle coraggiose dichiarazioni della dottoressa cinese, che rischia molto avendo lasciato in Cina una casa, il marito e i genitori. «Al di là di ogni considerazione sull’attendibilità delle sue affermazioni viene da chiedersi cosa abbia spinto una ricercatrice di Hong Kong con un lavoro e una carriera assicurati a mettere a repentaglio la sua vita e quella della sua famiglia sfidando un regime in grado di annichilirla. Lo spiega lei stessa, nelle drammatiche battute finali della conversazione:“Ho sentito che era mio dovere informare il mondo raccontando la verità. So che devo fare in fretta, prima che mi ammazzino».

DOMENICO BONVEGNA

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