Corte Ue: la normativa italiana sui contratti a termine dei ricercatori universitari appare conforme all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato

Il 1° dicembre 2012, EB è stato assunto dall’Università degli Studi «Roma Tre», in qualità di ricercatore, per una durata di tre anni, sulla base di un contratto che, secondo la legge italiana, può essere prorogato una sola volta per un massimo di due anni. 

L’8 novembre 2017, prima della scadenza del suo contratto prorogato, EB ha chiesto la proroga ulteriore del suo contratto al fine di trasformarlo, in seguito, in contratto di lavoro a tempo indeterminato. Questa domanda è stata presentata sulla base di una nuova normativa italiana che mira a lottare contro il precariato nelle amministrazioni pubbliche[1]. EB ha sostenuto, al riguardo, che tale disposizione si applica anche al personale docente delle università pubbliche.

Siccome l’università aveva respinto la sua richiesta, EB ha presentato ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio. Quest’ultimo, giudice del rinvio, chiede alla Corte di Giustizia, in sostanza, se l’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato[2] osti a una normativa nazionale in forza della quale, per quanto riguarda l’assunzione dei ricercatori universitari, la stipulazione di contratti a tempo determinato è subordinata alla condizione che siano disponibili risorse. Inoltre, il giudice del rinvio chiede se l’accordo quadro osti a una normativa nazionale in virtù della quale la proroga di tali contratti è subordinata alla «positiva valutazione delle attività didattiche e di ricerca svolte», senza che tuttavia vi siano dei criteri oggettivi e trasparenti che consentano di verificare se la stipulazione e il rinnovo di tali contratti rispondano effettivamente a un’esigenza reale, se essi siano idonei a conseguire l’obiettivo perseguito e siano necessari a tal fine.

Con l’odierna sentenza, la Corte constata che in Italia vi sono due categorie di ricercatori universitari: i ricercatori «di tipo A», che non hanno direttamente accesso, nel corso della loro carriera, al posto di professore associato, e i ricercatori «di tipo B», che invece possono accedervi direttamente. Nel caso di specie, si tratta di un contratto di tipo A.

La Corte osserva che l’accordo quadro assegna agli Stati membri un obiettivo generale, consistente nella prevenzione dell’utilizzo abusivo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato. Gli Stati membri restano liberi di scegliere i mezzi per conseguire l’obiettivo, purché essi non rimettano in discussione lo scopo o l’effetto utile dell’accordo quadro.

Per quanto riguarda il contratto di ricercatore universitario di tipo A, la Corte constata che la legge italiana fissa una durata massima di tre anni e autorizza una sola proroga per due anni. Le persone che stipulano un contratto di tipo A, come quello tra EB e l’Università, sono informate, ancor prima di sottoscrivere il contratto, che il rapporto di lavoro non potrà durare più di cinque anni.

Pertanto, la legge italiana contiene due delle misure indicate nell’accordo quadro per evitare gli abusi, ossia i limiti riguardanti la durata massima totale dei contratti a tempo determinato e il numero di possibili rinnovi.

La Corte conclude che, grazie a questi due limiti previsti dalla legge italiana, l’assenza di precisazioni quanto al carattere reale e provvisorio delle esigenze da soddisfare mediante il ricorso a contratti a tempo determinato non comporta una violazione dell’accordo quadro.

La Corte sottolinea che la cessazione degli effetti di un contrato di ricercatore a tempo determinato, come quello di EB, assunto in forza di un contratto di lavoro di tipo A, non comporta necessariamente un’instabilità dell’impiego, in quanto essa consente al lavoratore interessato di acquisire le qualifiche necessarie per conseguire un contratto di tipo B, il quale può, a sua volta, portare a un rapporto di lavoro a tempo indeterminato in qualità di professore associato.

[1] Decreto legislativo no 75/2017 – Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi degli articoli 16, commi 1, lettera a), e 2, lettere b), c), d) ed e) e 17, comma 1, lettere a), c), e), f), g), h), l) m), n), o), q), r), s) e z), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche (GU nº 130, del 7 giugno 2017).

[2] Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che compare in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, concernente l’accordo quadro CES, UNICE et CEEP sul lavoro a tempo determinato (JO 1999 L 175, p. 43).