Barbara Nappini apre l’assemblea dei soci di Slow Food Italia: Siamo un’Associazione e rivendichiamo la necessità e il diritto di immaginare insieme un’altra idea di mondo

«Quella che vogliamo praticare è una cultura di pace: oggi quanto mai urgente. Una cultura che ci ha portato a esprimerci sulle crisi belliche in corso, dal conflitto russo-ucraino, alla guerra in Sudan, allo sterminio in corso in Palestina.

Pace con la natura, perché noi siamo natura, ed essere in guerra con lei significa essere in guerra con noi stessi» dichiara Barbara Nappini, aprendo l’Assemblea nazionale dei soci di Slow Food Italia, di cui è presidente. «Pace è anche ripensare ai nostri gesti quotidiani, mettere al centro la comunità e non l’individualità. Pace è anche ripensare il rapporto con gli animali, i prati e i pascoli, dove gli erbivori vivono secondo la loro etologia e brucano quell’erba che si ritrova nel sapore dei prodotti caseari a latte crudo, e di cui noi oggi difendiamo il valore. Ma è anche il sottotesto dell’educazione di adulti e bambini al piacere della scoperta e alla consapevolezza delle scelte. È la volontà di dar voce a chi ne ha meno: le donne, i giovani. Una cultura che nell’attualità globale di oggi ci fa aborrire l’idea del cibo come strumento di guerra e di morte invece che di dialogo e di pace. Ma non siamo ancora perduti e per questo rivendichiamo la necessità e il diritto di immaginare insieme un’altra idea di mondo: qui e ora, e di lavorare per costruirlo pezzo per pezzo, fin dove riusciamo ad arrivare col nostro raggio d’azione che, moltiplicato per una moltitudine, diventa grande come il Pianeta tutto».

Necessità e diritto di immaginare insieme un’altra idea di mondo intorno a cui si sono riuniti alla FAO a Roma, oggi e domani 600 delegati, insieme agli osservatori e a tanti amici di Slow Food Italia. Insieme a Barbara Nappini, si è presentato il nuovo Consiglio Direttivo di Slow Food Italia, che vede, tra le riconferme Federico Varazi e Raoul Tiraboschi, mentre Luca Martinotti e Francesco Sottile, già figure chiave dell’associazione, entrano adesso a far parte della squadra.

Tra i relatori della prima giornata in apertura il padrone di casa, Maurizio Martina, vicedirettore generale FAO, che ha sottolineato l’ambizione di Slow Food a pensare un mondo diverso, ma non come ritorno al passato ma come prospettiva di evoluzione futura in un momento molto delicato, in cui abbiamo riscoperto la centralità del cibo come fattore geopolitico. Un cambiamento che ci consentirà di costruire nuovi equilibri solo riconoscendo il buono che c’è in questo mondo, e di cui Slow Food, secondo il vicedirettore FAO Martina, è una testimonianza tangibile, grazie al suo particolare punto di osservazione.

Francesco Lollobrigida, Ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste nel suo intervento ha messo in evidenza come «Abbiamo assistito, negli ultimi anni, a una profonda evoluzione del concetto di qualità. Grazie anche all’intuizione di Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, abbiamo imparato a guardare al cibo non solo come nutrizione, ma come cultura, identità, relazione con il territorio. Lui è stato nominato ‘Maestro Gastronomo’: una figura che ha insegnato a riflettere sulla qualità, sulla distintività e sulla protezione dei prodotti alimentari.  Oggi vogliamo riflettere su un altro modello possibile, un mondo in cui l’accesso al cibo sia garantito come diritto fondamentale. Non possiamo accettare che la risposta alle crisi risieda solamente nella produzione standardizzata di cibo, a basso costo e concentrata nelle mani di pochi. Il cibo è salute, è crescita, è sostenibilità. Senza qualità non può esserci benessere, né sviluppo duraturo. In Italia abbiamo il patrimonio delle Indicazioni geografiche, non rappresentano un ostacolo al commercio, ma uno strumento prezioso per riconoscere e proteggere il valore della qualità. Il loro riconoscimento ha consentito, in Italia come altrove, di far tornare i giovani nei territori, come è avvenuto nelle aree vocate alla produzione del Parmigiano Reggiano. Perché più è alto il valore del prodotto, più tutti gli operatori della filiera possono goderne, a partire dal territorio. Per troppo tempo si è considerato l’agricoltore come un problema per l’ambiente. Ma l’agricoltore è in realtà il primo custode del territorio. Se non ci sono persone che vivono e lavorano nelle terre alte, come i produttori di Parmigiano Reggiano, quel territorio rischieremmo di perderlo. E con esso perderemmo biodiversità, equilibrio ambientale e memoria storica dei luoghi. È questo il modello che vogliamo rafforzare. Buon lavoro Slow Food».

La prima giornata di lavori si chiude con le riflessioni di Stefano Bartolini, economista e docente all’Università di Siena, autore, tra gli altri, del Manifesto per la felicità Come passare dalla società del ben-avere a quella del ben-essere. «Partendo dagli studi sulla felicità degli ultimi decenni mostro come possiamo vivere in modo più felice e sostenibile. Condividere – specialmente le relazioni umane – rende felici e non inquina; possedere non rende felici e inquina. Ma invece di migliorare la condivisione, la nostra società punta alla crescita economica, cioè l’espansione del possesso. Il dilagare della solitudine, la perdita di senso di comunità, di solidarietà e di appartenenza, oltre al degrado degli ecosistemi, sono il prodotto di una società che desertifica le relazioni umane perché stimola ossessivamente il possesso e la competizione. Illustro i cambiamenti politici, sociali ed economici che sono possibili e necessari per smetterla di sfidare la natura, incluso quella umana. Il cibo può giocare un ruolo fondamentale: cambiare il modo in cui lo produciamo e consumiamo può significare comunità, cultura, appartenenza, territorio» sottolinea Bartolini.