La parabola del Samaritano

Lc 10,25-37
Ed ecco, un dottore della Legge si alzò per metterlo alla prova e chiese: "Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?". Gesù gli disse: "Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?". Costui rispose: "Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza econ tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso ".Gli disse: "Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai".
Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: "E chi è mio prossimo?". Gesù riprese: "Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: "Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno". Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?". Quello rispose: "Chi ha avuto compassione di lui". Gesù gli disse: "Va’ e anche tu fa’ così".

di Ettore Sentimentale

Questo brano di Lc, conosciuto come “la parabola del buon Samaritano”, è stato oggetto di moltissime e intriganti riflessioni da parte di esperti e principianti.Suggestiva mi sembra l’interpretazione offerta da Ruben Zimmermann nel “Compendio della Parabole di Gesù” (pp.845-872), Queriniana 2011; mentre “sconvolgente” appare la rilettura psicoanalitica a cura di FrançoiseDolto in “L’Évangileaurisque de la psycanalyse 1” (pp.145-174), Éddu Seuil 1982. Ho citato questi due testi per offrire qualche opportunità di una lettura alternativa per queste vacanze. Nel piccolo commento, al solito, metterò in risalto alcune provocazioni che stimolano la nostra riflessione.
Dopo il primo approccio del Dottore della Legge circa il da farsi per ereditare la vita eterna, non volendo uscire mal concio dal confronto con Gesù, il maestro della Torah chiede “E chi è il mio prossimo?”. Tutti comprendiamo che si tratta di una domanda capziosa, perché lui – esperto della Legge – ha interesse solo per ciò che prescrivono le norme giuridiche. Non gli interessa tanto l’eventuale sofferenza degli altri simili. Tutto deve essere riportato a un principio chiave: la legge prescrive chi amare e chi odiare.
Questa premessa è necessaria per capire come Gesù sceglie di rispondere con un racconto attraverso il quale – lungi dall’esprimere una valutazione morale soprattutto su coloro che erano passati oltre – denuncia lo scandaloso legalismo religioso che non riesce ad amare chi si trova in necessità.
Nella scena narrata con molta semplicità e linearità, il protagonista è “un uomo”, senza altre connotazioni, mentre le persone che “per caso” vedono a passano oltre sono uomini che stanno nel tempio, la loro occupazione e preoccupazione è data sostanzialmente dagli impegni legati al culto. Qui al lettore non può sfuggire la sottile (e amara) ironia che Luca descrive fra le righe: gli occhi di coloro che servono Dio giorno e notte sono colpiti da un virus contagioso che li acceca a tal punto da non “vedere le necessità e le sofferenze dei fratelli”. Anzi questi “muzzica santi” (termine ricco di plasticità immediata per capire di chi si sta parlando) vivono lontani dal mondo reale dove la gente lotta, lavora e soffre. Qui si capisce meglio perché Gesù, rivolgendosi a costoro, spesso li apostrofa come “guide cieche” (Mt 23,16): non possono indicare la strada agli altri parlando dall’alto della loro dottrina, se non hanno “compassione” (un cuore che sa amare).
Lungo la strada appare – non per caso, come i precedenti, ma per un impegno di lavoro – un Samaritano che non proviene dal tempio e non appartiene al “popolo eletto”. Verosimilmente si tratta di un commerciante che vedendo il ferito per terra “ne ha compassione” e fa per lui tutto quello che può.
Ora il racconto raggiunge il suo apice: “Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?".
È il Samaritano per questo uomo battuto, derubato, spogliato. È il Samaritano che si è comportato come il suo prossimo. "Va’ e anche tu fa’ così" dice Gesù al suo interlocutore. E non bisogna escludere che pure al ferito sulla strada chiede di amare questo Samaritano salvatore e di amarlo come se stesso.
Paradossalmente è a colui che è stato salvato che Gesù insegna l’amore. Per tutta la sua vita egli amerà l’uomo da cui ha ricevuto attenzione, assistenza e soccorso materiale, colui senza il quale sarebbe morto. Mai dovrà dimenticare quest’uomo che l’ha rimesso in sella.

La parabola del Samaritano ci fa riconoscere di essere sempre in debito nei confronti dell’altro, nei confronti dei “samaritani” della nostra vita: “Fratelli, non abbiate alcun debito con nessuno, se non quello di un amore vicendevole; perché chi ama il suo simile ha adempiuto la legge” (Rm 13,8).
A chi somiglieremo lungo la strada quando incontreremo le vittime più schiacciate dalla crisi economica ed esistenziale di questi giorni?