Tumore del rene, i nuovi farmaci immunoterapici riducono di un terzo il rischio di recidiva post chirurgia

Riducono fino a un terzo il rischio di recidiva o di morte nel tumore del rene, responsabile del 2-3% dei carcinomi negli adulti. E sono molto meglio tollerati dal paziente, che non è più costretto a convivere con i tanti effetti collaterali temporanei tipici degli altri farmaci in uso fino a oggi.

Sono i nuovi farmaci immunoterapici che stanno entrando nell’armamentario terapeutico degli specialisti urologi, soprattutto dopo la chirurgia robotica, trattamento di elezione contro il tumore del rene. L’immunoterapia con Pembrolizumab è la grande novità nel trattamento post chirurgia del carcinoma renale, la forma di tumore che a oggi è diagnosticata a oltre 144 mila italiani e che ogni anno aumenta al ritmo di 13.500 nuovi casi.

Ma questa non è la sola novità: secondo lo studio di fase 3, Checkmate, nel carcinoma a cellule renali avanzato (RCC) il Nivolumab in associazione con Cabozantinib porta importanti miglioramenti della qualità di vita correlata allo stato di salute. Gli studi e le nuove terapie sul tumore del rene, chiamato ‘incidentaloma’ per la sua difficoltà di individuazione che avviene casualmente nel 60% dei casi, saranno discussi dagli esperti nel corso del 95° Congresso nazionale della Società Italiana di Urologia (SIU) che si apre oggi a Riccione.

 

“Soprattutto grazie ai grandi progressi della robotica negli ultimi anni, la chirurgia è il trattamento di elezione contro il cancro del rene – spiega Vincenzo Mirone, professore di urologia all’Università Federico II di Napoli e responsabile dell’ufficio risorse e comunicazione SIU –. Ma nel trattamento immediatamente successivo all’intervento, l’immunoterapia diventa fondamentale perché consente di ridurre in modo significativo il rischio di recidiva e di morte nel tumore del rene”.

 

Il tumore renale è più frequente negli uomini: dei 13.500 nuovi casi che si registrano ogni anno, 9 mila riguardano i maschi. Ed è difficilissimo da individuare. Il suo sintomo più comune è la comparsa di sangue nelle urine, a volte talmente modesta da poter essere rilevata solo al microscopio, Basti pensare che nel 60% dei nuovi casi annuali la malattia viene scoperta durante esami medici condotti per altri problemi di salute. Proprio per questa sua difficoltà di individuazione, – prosegue il prof. Mirone – il tumore del rene è stato a lungo definito ‘incidentaloma’. Da sottolineare anche come il 55% di questi carcinomi si presenta alla diagnosi circoscritto solo al rene, mentre nel 30% dei casi ha già sviluppato metastasi. Il trattamento di elezione contro il cancro del rene è rappresentato dalla chirurgia, soprattutto in considerazione degli enormi progressi consentiti dalla robotica negli ultimi anni. Chemioterapia e radioterapia, da sempre poco efficaci, vengono ormai scarsamente utilizzate. A rivoluzionare la pratica clinica è stata l’introduzione dei farmaci biologici prima e dell’immunoterapia poi, ma i notevoli risultati in termini di efficacia di quest’ultima sono stati a lungo accompagnati da diversi effetti collaterali temporanei: debolezza, stanchezza, nausea, vomito, perdita appetito, anemia e alterazioni cutanee”. 

 

“I nuovi farmaci permettono oggi di ottenere due grandi risultati – spiega Andrea Minervini, responsabile dell’ufficio ricerca della SIU e direttore del Dipartimento di urologia oncologica mininvasiva robotica ed andrologica dell’azienda ospedaliera universitaria Careggi (Firenze) – per la prima volta l’immunoterapia, somministrata in una fase precoce, subito dopo la chirurgia, ha dimostrato di ridurre in modo significativo il rischio di recidiva del tumore del rene, mostrando al contempo un profilo di tollerabilità da parte del paziente assolutamente favorevole. Un recente studio di fase 3 KEYNOTE-564 ha valutato Pembrolizumab, terapia anti-PD-1 come potenziale trattamento adiuvante nei pazienti con carcinoma a cellule renali (RCC) a rischio intermedio-alto o alto di recidiva dopo nefrectomia (cioè l’asportazione chirurgica di un rene) o dopo nefrectomia e resezione delle lesioni metastatiche. A distanza di 24 mesi, Pembrolizumab ha dimostrato una riduzione del 32% del rischio di recidiva di malattia rispetto al placebo. È stata inoltre osservata una tendenza favorevole di sopravvivenza globale, i cui risultati definitivi sono ancora in corso di definizione. Interessante notare come nel 7% dei casi Pembrolizumab sia stato somministrato dopo chirurgia conservativa renale (ossia dopo sola asportazione della malattia tumorale, lasciando intatta la porzione di rene sano). Questo studio apre quindi le porte alla possibilità di terapia adiuvante da eseguirsi anche dopo nefrectomia parziale nei casi di patologia più aggressiva”. 

 

In definitiva, il fatto di poter disporre di nuove molecole, unitamente ai vantaggi in termini di precisione chirurgica e recupero postoperatorio assicurati dalla chirurgia robot-assistita, hanno permesso da un lato di estendere ulteriormente l’indicazione della chirurgia conservativa renale anche a tumori renali più avanzati, dall’altro di poter garantire ai nostri pazienti migliori risultati sia da un punto di vista oncologico che funzionale. “Tra le nuove strategie terapeutiche a disposizione nel trattamento del tumore del rene avanzato – conclude il prof. Minervini – c’è anche l’utilizzo del Nivolumab in associazione al Cabozantinib. Secondo un recente studio di fase 3, Checkmate 9ER, nel carcinoma a cellule renali avanzato, a circa 33 mesi di distanza dal trattamento, questa associazione continua a mostrare, rispetto alla terapia con Sunitinib, una superiorità in sopravvivenza globale (37,7 mesi vs. 34,3 mesi), sopravvivenza libera da progressione (16,6 mesi vs. 8,3 mesi,) tasso di risposta obiettiva, durata della risposta e risposta completa”.