Nuovo DM sulla didattica contro Sistema nazionale universitario

Sul Sole24Ore del 7 marzo u.s. è apparsa un’anticipazione su un’imminente riforma del Dm 270/2004 che disciplina l’autonomia didattica delle università. La riforma, affidata dalla Ministra Messa a una «commissione presieduta dall’ex rettore di Bergamo (già presidente Crui), Stefano Paleari, e composta inoltre da Giovanni Betta (università di Cassino), Rita Maria Antonietta Mastrullo (Federico II Napoli) e Giusella Dolores Finocchiaro (Alma mater Bologna)», punterebbe ad «aumentare l’interdisciplinarietà dei saperi» aumentando «i margini di flessibilità per gli atenei attualmente previsti dal Dm 270/2004 rispetto al numero minimo di crediti che gli ordinamenti didattici riservano ad ogni attività formativa e ad ogni ambito disciplinare.»

Sul Sole24Ore del 21 marzo u.s. si legge che la Ministra ha spiegato: «I principi che ci hanno guidato nella definizione di questa proposta di riforma sono l’incremento della flessibilità e dell’interdisciplinarietà dei corsi di studio, soprattutto per fronteggiare il disallineamento emergente tra offerta formativa e domanda occupazionale.»

Insomma, invece di puntare a una radicale revisione del deleterio sistema “3+2”, revisione sempre più stringente e necessaria, come ammesso dalla Ministra stessa nell’incontro con l’ANDU (si veda il primo punto della replica della Ministra nel resoconto), si prospetta un forte ampliamento delle già presenti libertà discrezionali da parte degli atenei sull’architettura dei percorsi formativi.

In nome della tanto decantata “interdisciplinarietà” si legittimerà ancor di più la possibilità di stravolgere i contenuti essenziali di ogni classe di laurea, lasciando solo sulla carta gli obiettivi formativi e permettendo squilibri disciplinari con l’innesto di attività volte più al “richiamo” che alla valenza formativa generale. Ma una valida formazione universitaria non dovrebbe rincorrere le “mode” di argomenti accattivanti e piegarsi a mera “formazione professionale”, ma invece aspirare a formare un sapere critico e generale, fornendo agli studenti un valido e versatile bagaglio culturale “universale”.

 

Il risultato sarebbe quello di un’enfatizzazione delle già esistenti differenze di valenza e organizzazione dei diversi atenei, con la creazione di sedi “top” che offrono percorsi farciti di attività “specchietto per le allodole” e corsi specifici di formazione professionale, e sedi “insulse” che si limitano a percorsi “standard”.

 

  1. Il completamento dello smantellamento del Sistema nazionale universitario

 

L’annunciata riforma ministeriale dell’autonomia didattica degli atenei ha destato anche la preoccupazione che si voglia scardinare il Sistema nazionale universitario, mirando all’abolizione del valore legale dei titoli di studio.

In realtà questa riforma sarebbe ‘solo’ un ulteriore tassello dello smantellamento del Sistema nazionale universitario, smantellamento voluto e realizzato negli ultimi decenni da un ristretto ma potente gruppo accademico-ministeriale-confindustriale, con il consenso di tutti i governi e di tutti i gruppi parlamentari.

 

  1. Il valore legale dei titoli di studio

 

Questo gruppo di potere, in particolare, ha ritenuto (e ritiene) il valore legale dei titoli di studio un ostacolo alla completa ‘autonomia’ degli Atenei, cioè alla completa disgregazione del Sistema nazionale universitario.

Si invita a leggere le posizioni espresse qualche anno fa da ConfindustriaCRUITranfagliaLavoce.infoRossi e Toniolo, un molto ‘qualificato’ Gruppo di ImprenditoriPDGaravagliaPDLM5SKostorisManciniMannucciIchino, riportate nel documento Abolire il valore dei titoli per abolire tutto.

Particolarmente ‘premonitrice’ è stata la posizione espressa dall’allora Presidente della CRUI, Marco Mancini, che, in un’audizione al Senato, aveva dichiarato che è «necessario rendere preliminarmente efficace la selezione mediante qualità al fine di innescare la valutazione all’interno del sistema. In tal modo il processo virtuoso potrebbe essere messo alla prova ed eventualmente costituire una precondizione per una transizione morbida verso l’abolizione del valore legale del titolo di studio.»

Più recentemente Gianni Toniolo ha riproposto la trasformazione degli «atenei in Fondazioni, come suggerimmo anni fa con Nicola Rossi», aggiungendo, tra l’altro, che «il tabù tutto italiano del valore legale dei titoli va superato», in Atenei-Fondazioni o rifondare l’Università nazionale.

 

  1. I finti concorsi locali

 

Il principale strumento per demolire l’Università è stato ed è il localismo delle prove per la formazione, il reclutamento e gli avanzamenti di carriera dei docenti.

Una scelta questa purtroppo condivisa da quell’accademia che può così ‘esercitare’ la cooptazione personale attraverso i finti concorsi locali, un meccanismo che produce l’assoggettamento dell’allievo al suo maestro, dalla laurea al più alto gradino della docenza, nell’ambito di un precariato sempre più ampio e più lungo.

Un sistema di potere baronale, difeso dal CUN e che la CRUI chiede di accrescere; un potere che produce diffusi arbitrii che in troppi si rifiutano di riconoscere.

 

  1. Tutto il resto

 

Contestualmente si è operato per differenziare sempre più le mansioni e la retribuzione dei docenti, si sono commissariati gli atenei e la stessa ricerca (l’ANVUR), si è svuotato del tutto il ruolo del CUN a beneficio della CRUI e si è imposta la gestione iper-verticistica degli Atenei (il rettore-padrone assoluto).

 

  1. Le principali tappe della demolizione dell’Università italiana

 

Finta autonomia statutaria (1989) per salvaguardare le oligarchie degli atenei, finta autonomia finanziaria (1993) per far gestire agli Atenei la riduzione progressiva dei finanziamenti, finti concorsi locali (1997) e ASN (2010) per dare ulteriore spazio alla cooptazione-arbitrio personale, introduzione del numero chiuso (1999) per negare ai giovani la scelta degli studi, imposizione del “3 + 2″ (2000) con la frammentazione dei saperi, invenzione dell’IIT (2003) costosissimo “giocattolo” ministeriale-confindustriale a discapito dell’Università, istituzione “personalizzata” del SUM di Firenze e dell’IMT di Lucca (2005), svuotamento del CUN (2006) a favore della CRUI, introduzione dell’ANVUR (2006) per commissariare l’Università, messa ad esaurimento del ruolo dei ricercatori (2010) per moltiplicare i precari, cancellazione di ogni parvenza di democrazia negli atenei (2010) con il rettore-padrone assoluto, localizzazione dei collegi di disciplina (2010) per tenere meglio a bada i docenti, istituzione dell’Human Technopole (2016) che è una sorta di duplicazione milanese dell’IIT di Genova, invenzione della costosa Scuola superiore napoletana (2018) – v. “Il Caso della Normale è normale?”, l’istituzione dell’ANR (2019) per controllare ancora di più l’Università e la Ricerca. E anche: Cattedre Natta, scatti premiali ai docenti, borse per studenti eccellenti, aumento delle tasse, finanziamenti per alcuni docenti, finanziamenti per dipartimenti eccellenti, riduzione dei finanziamenti agli Atenei e loro iniqua distribuzione per “merito”, ecc.

 

  1. Come ricostruire l’Università tutta

 

Per ricostruire l’Università italiana occorre cambiare urgentemente e radicalmente il complesso dell’attuale assetto normativo.

In questa direzione l’ANDU ha elaborato una proposta riguardante i punti di maggiore criticità dell’Università:

 

  1. Diritto allo studio
  2. Abolizione del precariato (non degli attuali precari) e nuovo reclutamento nel terzo livello di professore
  3. Ruolo unico dei professori
  4. Autonomia del Sistema nazionale dell’Università
  5. Gestione democratica degli Atenei
  6. Finanziamento dell’Università per migliorare tutti gli Atenei