SCUOLA: Un ragazzo su sei abbandona, lo dice la Corte dei Conti

L’Italia si conferma terz’ultima per il numero di alunni che lascia la scuola prima dei 16 anni: tra le motivazioni la povertà e la didattica rigida. Marcello Pacifico (Anief): Bisogna ripristinare l’obbligo scolastico a 18 anni, finanziare organici differenziati in base al tessuto economico e sociale del territorio, ma anche aumentare le borse di studio. Lo Stato non può abbandonare le Regioni del Paese più in difficoltà, come vorrebbero alcuni Governatori del Nord e dalla Lega con il nuovo progetto di autonomia differenziata sul quale il premier Giuseppe Conte e il M5S hanno posto il veto almeno sul fronte dell’istruzione pubblica.  

 

L’arretratezza culturale e strutturale influisce direttamente sul livello scolastico. Il fatto che povertà e competenze scolastiche acquisite siano due fattori direttamente proporzionali, ora lo dice anche la Corte dei Conti, attraverso la relazione su “La lotta alla dispersione scolastica: risorse e azioni intraprese per contrastare il fenomeno”, pubblicata in queste ore con deliberazione n. 14/2019/G.

Nella presentazione del rapporto si dice che l’abbandono precoce della scuola si deve ad una serie di fattori, tra cui vi è anche “la povertà di molte zone d’Italia, in particolare i quartieri delle città metropolitane e i luoghi a forte rischio migratorio”. È soprattutto in questi contesti che bisogna attuare la “ricostruzione delle molteplici modalità di intervento finanziario si accompagnano le raccomandazioni volte a rendere le scuole non solo luoghi di apprendimento ma anche occasioni di esperienza di comunità e solidarietà”.

Si conferma, pertanto, tutto quello che Anief sostiene da tempo sul tema dell’abbandono scolastico, strettamente collegato al fenomeno dei Neet che in Italia si conferma con numeri da record internazionale: occorre una riforma generale del sistema scolastico, con l’anticipo almeno a 5 anni e l’obbligo formativo portato dagli attuali 16 anni fino alla maggiore età; servono finanziamenti straordinari per le province più a rischio, soprattutto in presenza di altri fattori, come l’alto tasso migratorio; occorrono organici maggiorati, finalmente sganciati dal binomio tante classi tanti docenti; occorre un potenziamento della rete sociale e territoriale a supporto dell’attività scolastica, con la presenza di esperti che vengono in continuo contatto con il personale e soprattutto con i discenti.

Senza queste azioni, l’ordinario implemento di docenti non serve a nulla. Anzi, si allargherà sempre più la forbice Nord-Sud, come confermato dai recenti risultati Invalsi, dai quali risulta che il 50 per cento degli studenti delle regioni Campania, Calabria e Sicilia arriva alla maturità con l’insufficienza sia in italiano che in matematica. E non è un caso se poi in tutta la Sicilia più del 35% dei giovani non arriva a conseguire la maturità. Poi ci sono province, come Caltanissetta, dove la dispersione è il triplo rispetto alla media nazionale indicata dalla Corte di Conti. Quando questa indica che “in Italia il tasso di dispersione scolastica è pari al 14,5%. In termini numerici, nella scuola secondaria di II grado, gli abbandoni complessivi nell’anno 2016 e nel passaggio fra l’anno 2016/2017 sono stati 112.240”, va considerato che vi sono realtà molto distanti da quel numero. E occorrono sforzi straordinari per dare una svolta.