Otto marzo: un volantino per riflettere

Le recenti polemiche suscitate dal volantino dei giovani della Lega di Crotone preparato in occasione dell’otto marzo, Festa della donna, hanno fatto emergere alcuni temi che, fuori dalla tifoseria politica, meritano di essere approfonditi.

 

di Luca Basilio Bucca
Le recenti polemiche suscitate dal volantino dei giovani della Lega di Crotone preparato in occasione dell’otto marzo, Festa della donna, hanno fatto emergere alcuni temi che, fuori dalla tifoseria politica, meritano di essere approfonditi.
Il volantino pone una domanda centrale – chi offende la dignità della donna ? – e offre alla riflessione alcune risposte che vale la pena leggere e sulle quali soffermarsi.
«Chi sostiene una cultura e promuove iniziative favorevoli alla vergognosa e ignominiosa pratica dell’utero in affitto».
Si stenterebbe a crederlo, ma oggi in molti Stati è possibile pagare una donna per mettere al mondo un figlio e poi cederlo alla coppia – etero o omosessuale – o anche al singolo committente. Si tratta di un mercato fatto sulla pelle di donne bisognose e di neonati indifesi, non meno turpe del mercimonio rappresentato da altre pratiche che trattano la donna come un oggetto, come ad esempio la prostituzione.
«Chi sostiene proposte di legge (anche a livello regionale) che tendono a imporre la neo-lingua che sostituisce i termini “mamma e papà” con “genitore 1 e genitore 2».
Già la distopia orwelliana di “1984” denunciava le falsificazioni linguistiche delle ideologie che si accompagnavano a feroci persecuzioni, e si comportarono così i comunisti sovietici che rinchiudevano gli oppositori nei gulag. Oggi la persecuzione spesso colpisce sotto molteplici aspetti la famiglia e anche i tradizionali nomi “mamma” e “papà”, che fanno riferimento a ruoli non intercambiabili, per alcuni andrebbero cambiati e resi asettici e indistinguibili.
«Chi ritiene che la donna abbia bisogno di “quote rosa “ per dimostrare il proprio valore».
Che le donne abbiano bisogno di posti riservati è qualcosa di effettivamente offensivo, quasi un riconoscimento d’inferiorità della donna che necessiterebbe di una corsia preferenziale. É vero che quando una donna decide di aprirsi alla vita e diventare madre deve investire tempo ed energie – soprattutto durante la gravidanza e i primi anni del bambino – ad accudire il figlio più di quanto debba e possa fare un padre, rinunciando – temporaneamente – a qualche opportunità. Ma allora, piuttosto delle “quote rosa”, andrebbe riconosciuto il valore sociale della maternità, anche trovando i modi di congelare il gap, che impedisce di valorizzare il contributo delle donne che desiderano esercitare la propria attività senza rinunciare a essere madri.
«Chi sostiene una cultura politica che rivendica una sempre più marcata e assoluta autodeterminazione della donna che suscita un atteggiamento rancoroso di lotta nei confronti dell’uomo».
Si parla di donne ma il discorso vale anche per l’uomo, bisogna chiedersi fino a che punto ogni persona può autodeterminarsi. L’autodeterminazione incontra dei limiti? Dovrebbe, altrimenti l’espressione della propria libertà positiva rischia di diventare arbitrio, desiderio, capriccio. Decenni di femminismo militante hanno inculcato, invece, nella società l’idea che non ci siano limiti all’autodeterminazione, uno degli slogan in voga negli anni settanta era “l’utero è mio e lo gestisco io”, la conseguenza di ciò è che oggi un padre in Italia non può ad esempio avere voce in capitolo sull’eventuale decisione della donna di abortire un figlio.
«Chi contrasta culturalmente il ruolo naturale della donna volto alla promozione e al sostegno della vita e della famiglia».
La donna può lavorare, in molti casi è bene e necessario che lo faccia, nessuno afferma il contrario. Ciò non toglie però che non potrà mai esserci famiglia senza una donna che decida di donare qualcosa di sé per aprirsi al dono della vita, e in questo certamente non può essere sostituita dall’uomo, ma solo sostenuta e supportata.
«Chi strumentalizza la donna, come anche i migranti e i gay, per finalità meramente ideologiche al solo scopo di fare la “rivoluzione” e rendere sempre più fluida e priva di punti di riferimento certi la società».
Chi davvero ha a cuore la condizione di determinate categorie di persone, non ne fa una bandiera, non ne fa oggetto di contrapposizione e di conflitto sociale, ma cerca di risolvere le criticità concrete. Quando non è più possibile esprimere delle opinioni diverse da quelle dominanti senza subire attacchi il sospetto di strumentalizzazione ideologica è più che legittimo e fondato.
«La donna ha una grande missione sociale da compiere per il futuro e la sopravvivenza della nostra nazione, non sia, pertanto, mortificata la sua dignità da leggi e atteggiamenti che ne degradano e ne inficiano il suo infungibile ruolo».
In conclusione, il volantino, con tutti i limiti dettati dal dovere condensare in poco spazio argomenti di una certa complessità, è certamente una voce fuori dal coro del politicamente corretto e, che lo si condivida o meno, pone questioni che meritano di essere tenute in considerazione. Probabilmente il problema non è – non è più? Non è mai stato? – una società dominata dal maschio, ma semmai l’assenza del maschio. Oggi anche l’uomo insieme alla donna deve riscoprire il proprio ruolo, oggi è necessario ricreare un equilibrio e una sincera collaborazione nei rapporti tra uomo e donna, è necessario che si riscopra la bellezza della diversità e della complementarietà, che si possano porre le basi per una società dove la donna possa essere pienamente se stessa con tutta la sua femminilità e le sue peculiarità.