L’Italia s’è desta: Draghi e i falliti

Domani sapremo che cosa deciderà Draghi, accerchiato da una banda di sconfitti e incapaci. Non dimentichiamo che questa accozzaglia di inetti, solo pochi mesi fa, non è stata in grado di scegliere un presidente della Repubblica, non dimentichiamo per aver ben presente con chi abbiamo a che fare. Destra e sinistra, tutti inclusi, senza sconti per nessuno…

In prima fila Conte che, grazie alla magia della politica, è uscito da non si sa quale cilindro – ma coniglio è rimasto – convinto d’essere uno statista, alla guida di un movimento-partito di gente bravissima a urlare e pessima a fare. Ne è la riprova il reddito di cittadinanza (scopiazzato da altre iniziative europee), che sulla carta era sicuramente cosa buona e giusta, ma in mano a degli inetti è diventato un buco nei conti dello Stato. Ma guai a parlare di correggerne l’impostazione (sbagliata). Figli di un guitto erano e rimangono.
Personalmente sono sbalordito dall’idea che Enrico Letta si sia fatto di Conte in questi mesi, tanto da vedere in lui il futuro del centrosinistra italiano. Non capisco come un uomo di cultura come il leader del Pd possa aver pensato di ritagliarsi un ruolo di gregario nei confronti dell'”avvocato del popolo” dal quale è distante mille anni luce. Spero che ad affascinare Letta non siano state le idee (?) dei pentastellati ma soltanto i loro voti in Parlamento.
Colpa di una legge elettorale che in Italia ha dimostrato di non funzionare, che ha spaccato in due il Paese e che ha dato vita a delle coalizioni che, è evidente a tutti, non possono stare insieme. A che serve vincere nelle urne se poi non si è in grado di portare avanti un progetto condivisibile con gli alleati? A nulla, la storia lo sta dimostrando. Pensare a un “campo largo”, come disperatamente, sogna Letta lo potrebbe aiutare a vincere le prossime elezioni. Ma è un altro fallimento garantito.
Frenare l’ascesa della Meloni è il collante dell’Italia che sta di qua. Ma pare essere anche quello dell’Italia che sta di là. Silvio Berlusconi, in politica, ha sbagliato praticamente tutto. Per cercare un consenso, che gli permettesse di essere il capo assoluto del centro destra, s’è negli anni venduto il centro e gli è rimasta tra le mani solo la destra. Ha abbandonato i principi liberali che nel 1994 gli avevano permesso di diventare il politico più votato della storia della Repubblica (record che ancora detiene) e ha passato il suo tempo a rincorrere Salvini e tutte le destre, anche quelle più imbarazzanti.
Che ora non ci stia a fare il maggiordomo della Meloni è logico (per lui). In altri tempi, quando era meno anziano e più lucido politicamente, sarebbe potuto diventare il mattatore di un nuovo centro. Ma purtroppo, come il famoso soldato giapponese rimasto a combattere su un’isoletta perché nessuno gli aveva detto che la guerra era finita, a Berlusconi nessuno ha detto che i comunisti non ci sono più e lui è ancora in trincea a sparare, per lo più cazzate. Per cui non aderirà mai al tentativo di “campo largo”, forse anche perché sa che mica lo vorrebbero.
Salvini è Salvini. Potrebbe bastare questa frase. Imprevedibile e inaffidabile. Nel bel mezzo della crisi innescata da Conte, ha presentato al governo proposte irricevibili perché prive di una copertura finanziaria. L’ha fatto per qualche titolo sui giornali. Ha dichiarato: mai più con i 5Stelle, ma pare che il giorno dopo avesse già cambiato idea. Essere uomo di bosco e di riviera lo affascina, mica ha capito che così non si può governare.
Mi spiace aver annoiato chi fin qui ha letto quanto ho scritto, era solo per ricordarvi che domani questa banda di falliti potrebbe negare la fiducia a Draghi o chiedergli di salvare un Paese in ginocchio ancora per qualche mese.
Nicola Forcignanò