La Giustizia a gettone

Erano gli anni ‘80, ballavamo il twist sulle note di “sei come un juke box” senza dare troppo peso ai lamenti del cantautore, a nostro avviso abbondantemente ripagato per le sue prestazioni “a richiesta” dai compensi, certamente non modesti, e dalla celebrità.

Del resto il cottimo ci appariva come un ricordo dell’epoca delle miniere, e Ciàula già osservava, emozionato, la luna.

L’etica, la morale, il senso comune e -buona ultima- la legge rifuggono da tempo questa modalità di retribuzione, che riduce i lavoratori a meri strumenti di produzione, spogliandoli delle insopprimibili necessità connaturate al loro essere anche persone .

Il cottimo non comporta una giusta mercede, non conosce codici, revisioni, capitoli aggiuntivi, arbitrati. Il cottimo isola i lavoratori, li pone in competizione tra loro, e li spinge ad impegnare la propria forza-lavoro con la maggiore intensità possibile, specie quando la paga è rimasta ferma ad un ventennio prima.

Siamo giunti al 2021, e noi magistrati onorari non sorridiamo più ascoltando le note e le parole di quella canzone. Se qualcuno mette una moneta, teniamo udienza. Le sentenze e tutto il resto  invece sono gratis.

Da oltre vent’anni esercitiamo la giurisdizione eppure sperimentiamo, come singoli e come associazioni, l’umiliazione di      dover lavorare per un gettone, senza che nessun orecchio, pur allenato alle argomentazioni giuridiche, avverta l’urgenza stringente di porre fine a questa ignominia.

Anzi.

Fioccano proposte e progetti di legge in cui il cottimo, variamente mascherato, viene riproposto per divenire anche il nostro incerto futuro.

Eppure la strada per garantire anche ai magistrati onorari lo spettacolo della luna era stata da tempo indicata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa con la Raccomandazione CM-Rec (2010) 12, adottata il 17.12.2010.

Il documento, dopo aver rilevato che la remunerazione deve essere adeguata al ruolo professionale e alle responsabilità inerenti alle prestazioni rese e che tale principio trova applicazione sia per i magistrati “professionali” che per quelli “onorari” afferma che il cottimo è un sistema del tutto improprio per soggetti cui l’ordinamento affida – sia pur in via “onoraria”- la funzione giurisdizionale.

Il Giudice, ha aggiunto il Presidente della Consulta, dott. Coraggio, è individuato per la funzione che svolge, unica per giudici professionali e precari.

E’, inoltre, principio universalmente condiviso che l’indipendenza, l’autonomia e la terzietà dei giudici siano presupposti imprescindibili dello Stato di diritto, in quanto diretti a preservare l’imparzialità della giurisdizione, il corretto funzionamento del sistema giudiziario e, infine, la realizzazione del principio del giusto processo.

Queste semplici, evidenti verità non hanno trovato, sinora, alcun riconoscimento nella politica che, come unica soluzione, ha varato la riforma “Orlando” riuscendo a coniugare la grottesca figura del magistrato-lavoratore autonomo con la retribuzione a cottimo: prevista quella che, pudicamente, viene chiamata “indennità” commisurata al numero degli impegni lavorativi, vi si aggiunge un premio per gli obiettivi, espresso in percentuale.

Tralascia di prevedere che tale ricompensa sia dovuta anche nel caso di malattia, maternità, chiusura dei tribunali (come purtroppo è capitato in tempo di Covid), stabilendo però importi offensivi per la funzione e certamente non proporzionati alla qualità e quantità del lavoro da svolgere.

Una fronda senza tronco!

La Orlando è cottimo puro, come tale fuori dalla legalità se applicato ai magistrati.

E intanto, in attesa che magistrati, studiosi, politici abbiano non solo il coraggio intellettuale di rivelare questa stortura ma anche la rettitudine necessaria per agire di conseguenza, continuiamo a ballare il twist ogni volta che qualcuno mette un gettone nel juke-box, perché la Giustizia va avanti e l’età, ancora, lo consente.

IL DIRETTIVO DI ASSOGOT