Ipse dixit: Giuseppe Conte, Il Governo non cadrà…

“Il Governo non cadrà” – Intervista a la Repubblica | 5/12/2020

di Maurizio Molinari

«Siamo in guerra con il virus ma ora inizia la ricostruzione nel segno dell’Europa e sarà il mio govemo a guidarla perché non cadrò sul Mes»: è questo il messaggio che il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, affida a Repubblica per rispondere ai dubbi dell’Ue ed alle critiche interne sulla sua capacità di guidare il Paese nel 2021, l’anno in cui l’economia dell’Eurozona affronterà la prova più difficile, risorgere dalle devastazioni causate dalla pandemia. 

La conversazione nel salotto al primo piano di Palazzo Chigi dura 60 minuti, il premier ha davanti a sé alcuni appunti ed un bicchiere d’acqua ma parla soprattutto a braccio. «Guido un governo europeista, saremo protagonisti della riforma del Mes e del Recovery Fund assieme a Berlino e Parigi» esordisce. L’intento è allontanare ogni nube dal suo esecutivo: anticipa i dettagli del piano per la ricostruzione economica che presenterà lunedì, non teme il voto del 9 dicembre in Parlamento sulla riforma del Mes «perché il M5S sta completando la svolta pro-Ue» ed a chi nella maggioranza ipotizza rimpasti, fa sapere «dovete uscire allo scoperto e chiedere cosa volete». Quando arriva la domanda sulle obiezioni del Pd ad una leadership assai poco collegiale, risponde accompagnando una replica netta al gesto di un pugno sul ginocchio per sottolineare la determinazione. Ecco la trascrizione del colloquio, che termina quando il consigliere diplomatico Pietro Benassi entra dicendo: «C’è la cancelliera Merkel al telefono». Berlino vuole sapere tutto sul nostro piano per il Recovery Fund oramai in dirittura d’arrivo.

Durante la conferenza stampa sui provvedimenti anti-pandemia di fine anno lei non ha fatto riferimento ai mille morti. Ed era la giornata record di vittime. È stata una dimenticanza o una carenza di sensibilità?

«Come mi si può imputare una carenza di attenzione se tutti i giorni sono in prima linea per sconfiggere questa pandemia? Giovedì sera ho illustrato i provvedimenti finalizzati a prevenire la terza ondata del virus, a proteggere la popolazione, a evitare quanto più possibile un numero così alto e inaccettabile di decessi. Le persone che non ci sono più, i nostri cari, noi li onoriamo non solo a parole, ma con l’impegno costante, di giorno e di notte, per mettere il Paese in sicurezza».

Ora sta ultimando il piano del Recovery Fund: qual è la ricetta a cui si affida per la ricostruzione del Paese?

«Lunedì ci ritroveremo con i ministri per approvare il budget del Recovery Fund con tutti gli appostamenti. Dopo le 6 linee guida già condivise con il Parlamento, approfondiremo anche la sessantina di progetti che hanno superato il vaglio preliminare e che sono ormai in dirittura finale. Li raggrupperemo in 17 clusters».

Di che progetti si tratta?

«Esprimeranno una chiara visione del Paese. Raccogliamo anche le raccomandazioni della Commissione europea che condividiamo pienamente: individuano carenze strutturali del Paese, che dobbiamo assolutamente superare per marciare nella fascia di testa dell’Unione Europea».

Chi gestirà la ricostruzione?

«Lunedì approveremo anche la struttura di governance con coordinamento presso la Presidenza del Consiglio, per ovvie ragioni di equilibri, ma quello che conta davvero è che sia garantita la piena efficienza. Vi sarà, come anche ci chiede la Ue, un comitato ristretto deputato a vigilare con costanza tutta la fase attuativa. Ne faremo parte io, il ministro dell’Economia e il ministro dello Sviluppo Economico, con la responsabilità di riferire periodicamente al Ciae e al Parlamento. La supervisione tecnica dell’attuazione sarà affidata a una struttura composta da sei manager, assistiti da uno staff dotato delle necessarie competenze professionali. In casi eccezionali i sei manager potranno essere chiamati a intervenire con poteri sostitutivi per evitare ritardi e perdite di risorse».

Indicherete subito i nomi di questi sei manager?

«No, lunedì condivideremo la norma con i ministri. I nomi verranno dopo».

Che progetti saranno?

«Alcuni saranno centralizzati, altri avranno una dimensione capillare sul territorio, come ad esempio quello volto a migliorare l’offerta di asili nido: c’è un progetto per 2 miliardi al fine di potenziare le strutture offrendo servizi per 750mila bambini. Poi abbiamo un vasto programma di efficientamento energetico, cablaggio e messa in sicurezza degli edifici pubblici, a partire da scuole e ospedali, cui sarà dedicato quasi il 10% delle risorse del Piano. Per rendere l’Italia più connessa al sistema dei trasporti europeo, sono previsti interventi per la logistica, la movimentazione merci e l’elettrificazione dei principali porti, a partire da Genova e Trieste. Sul fronte della ricerca e dell’innovazione abbiamo in cantiere la creazione di poli per la ricerca di base, applicata e il trasferimento tecnologico in settori come agritech, intelligenza artificiale, fintech, biomedicina e altri».

Allora i 60 progetti li avete già individuati?

«Li abbiamo selezionati con l’obiettivo di rendere il Paese, al contempo, più competitivo e più inclusivo. Con la ripartizione del budget siamo ormai alle scelte finali».

Quanto contano l’ambiente e l’innovazione nei progetti?

«La parte del leone la faranno il green e il digitale, ma molti progetti saranno mirati a eliminare le diseguaglianze, incluse quelle di genere e territoriali».

Questo piano può rassicurare chi a Parigi e Berlino ha espresso timori sui nostri ritardi sul Recovery Fund?

«Non mi risulta che Parigi e Berlino siano preoccupate, ma sicuramente questo documento che invieremo al Parlamento italiano e poi anche a Bruxelles servirà per entrare nella fase finale che porterà a breve all’approvazione del piano nazionale italiano».

Confindustria parla di ritardi sul fronte delle imprese.

«Non è vero. Molti progetti prevedono il coinvolgimento proprio delle imprese. Dopo questo passaggio di lunedì inizierà un confronto con tutte le parti sociali per coinvolgerle nei progetti che, in gran parte, prevedono un partenariato pubblico-privato».

Molte aziende europee vogliono partecipare al nostro Recovery Pian. Non è forse un’opportunità per attirare investimenti stranieri sul meglio del made in Italy?

«Rispetteremo le regole europee, ma la nostra strategia prevede di rendere il Paese più competitivo per risultare più attrattivo per gli investitori stranieri. Pensiamo alla riforma della giustizia civile, penale e tributaria: gli investitori stranieri guardano con grande attenzione a questo efficientamento. Molti progetti sono stati pensati per rafforzare il tessuto produttivo, con particolare riguardo alle medie e piccole imprese: ingenti risorse entreranno nel programma “transizione4.0” che renderà le nostre imprese più digitali, più verdi, più innovative».

I capi missioni saranno leader di grandi aziende?

«Saranno esperti del settore, con capacità manageriali e di organizzazione».

Non teme di essere accusato di voler affidare la ricostruzione della nazione ad una sorta di governo ombra composto da lei, due ministri e sei manager da voi scelti?

«Assolutamente no. I sei esperti avranno compiti di monitoraggio esecutivo. Nessun ministro sarà espropriato dei suoi poteri di impulso e di indirizzo, cosi come nessun amministratore locale sarà espropriato delle sue responsabilità. I sei esperti assicureranno un costante raccordo e offriranno un supporto tecnico a disposizione di tutti i soggetti attuatori dei progetti».

Vi sono stati giudizi molto aspri sul suo approccio al Recovery Fund. Il costituzionalista Sabino Cassese sul “Mattino” lo ha definito “improvvisato”. Cosa risponde?

«Prima di esprimere qualsiasi giudizio, il Piano andrebbe letto. Mi sembra più corretto».

Per Parigi e Berlino il Recovery Fund è un mattone cruciale per il rilancio dell’Eurozona ma ritengono che il primo mattone sia la riforma del Mes. Lei è d’accordo con loro?

«L’Italia partecipa ai processi riformatori europei con un ruolo da protagonista e così sarà fino a quando avrò responsabilità di governo. Abbiamo ereditato il Mes dai precedenti esecutivi. Abbiamo offerto un contributo importante alla sua riforma, evitando che venissero inseriti meccanismi automatici di ristrutturazione del debito, e pretendendo l’introduzione di misure di sostegno al sistema bancario e di migliore articolazione delle azioni collettive».

La riforma del Mes può facilitare il futuro ricorso al Mes?

«È un fatto, non una mia considerazione personale, che il Mes non goda di grande appeal. Sta per iniziare la Conferenza sul futuro dell’Ue e proporrò in quella sede di riconsiderare in modo più radicale la sua struttura e la sua funzione. L’Italia potrà essere protagonista di una proposta innovatrice che porti a superare la sua natura di mero accordo intergovernativo, in modo da integrarlo più compiutamente nell’intera architettura europea, con estensione a tutti gli Stati Membri, revisione delle sue funzioni, e raccordo più efficace con le Istituzioni europee, che offrono maggiore garanzia di trasparenza e democraticità».

Non teme un voto negativo il 9 dicembre per la contrarietà dell’opposizione e di una parte importante del M5S?

«Non lo temo perché il voto non sarà sull’attivazione del Mes ma su alcune sue modifiche che, grazie anche al contributo dell’Italia, sono servite a migliorare un meccanismo già esistente dal 2012. Continueremo a lavorare per attuare lo schema europeo di assicurazione dei depositi (EDIS), mentre dobbiamo fare in modo che questo sforzo comune che ha portato ad adottare il piano “Next generation EU”, attraverso il meccanismo del debito comune europeo, possa anche in futuro costituire il naturale presidio contro i cicli recessivi che potranno investire l’Ue».

Resta il fatto che Beppe Grillo ha avuto espressioni molto dure contro il Mes. Lei non crede che la spaccatura nel M5S su questo tema minacci la sua maggioranza?

«Con questo governo l’Italia sta dimostrando di poter essere protagonista in Europa e questa consapevolezza non può non favorire la coesione tra le forze politiche di maggioranza e al loro interno».

Questo governo è nato grazie alla scelta pro-Ue del M5S, con il voto a favore di Ursula von der Leyen al Parlamento europeo ma nei grillini le istanze anti-Ue restano forti, visibili e indeboliscono la maggioranza. Come si pone davanti a questo problema di identità per il Movimento?

«Seguo con molta attenzione le vicende interne del M5S che dopo gli Stati Generali sta completando il processo di rinnovo degli organi interni. Immagino che alcune fibrillazioni possano dipendere dal dibattito interno che sta accompagnando questa fase. È un momento in cui possono essere maggiori le difficoltà di operare sintesi politiche. Ma l’indirizzo del Movimento è chiaro: offrire un contributo critico al miglioramento dell’Europa».

A giudicare dalla vivacità dell’opposizione grillina al Mes non si direbbe…

«Non vedo delle pulsioni anti-Ue nel M5S. E d’altra parte le pulsioni anti-europeiste e le derive nazionaliste non hanno più spazio politico dopo che l’Europa è riuscita a rispondere alla pandemia con l’iniziativa Recovery Fund che, attraverso il meccanismo del debito comune, permetterà all’Italia di beneficiare di 209 miliardi».

Forza Italia ha votato lo scostamento di bilancio ma minaccia il no al Mes: un avversario o possibile partner?

«Non costruisco le fortune del governo sui comportamenti di una forza di opposizione. Certamente continuerò a mantenere aperto un tavolo di confronto con le forze politiche, che, anche dall’opposizione, vorranno dare un contributo in ragione della fase drammatica che stiamo vivendo».

Al prossimo Consiglio Ue l’Italia affiancherà Germania e Francia nelle pressioni su Ungheria e Polonia per fargli ritirare il veto al Recovery Fund?

«Noi stiamo sostenendo la Presidenza tedesca nei suoi sforzi. In questo sostegno non siamo soli con Parigi a fianco di Berlino, ma ci sono moltissimi altri Paesi. Ho avuto un colloquio di aggiornamento con la cancelliera Merkel. Confido nel fatto che i prossimi giorni possano essere decisivi per evitare un isolamento di Ungheria e Polonia che non gioverebbe neanche a loro».

Nella maggioranza c’è chi dice che per affrontare la ricostruzione al governo serva un rimpasto. Come la pensa?

«Il termine “rimpasto” è una formula che andrebbe esiliata dal lessico della nuova politica. Cosa significa? Rimescolamento delle posizioni di governo? I cittadini non capirebbero. Se invece, nell’ambito di un serio e costruttivo confronto politico, una forza dovesse ravvisare l’opportunità di migliorare la sua squadra, questo sarebbe un altro discorso. Ma deve nascere dalle forze politiche, in maniera trasparente. Sono alla guida di una squadra che sta lavorando molto bene, benché sottoposta a uno stress incredibile da emergenza sanitaria, sociale ed economica».

Insomma, se un partito vuole il rimpasto deve farsi avanti?

«Sin qui non è accaduto. Mentre il confronto politico è doveroso».

Resta il fatto che da più forze della maggioranza – Pd, M5S e Italia Viva – le arrivino spesso attacchi duri. C’è un evidente problema di coesione politica. Se non ci sarà il rimpasto, come pensa di consolidare l’attuale maggioranza?

«Il confronto che è in atto, su riforme e priorità del programma, potrà tornare utile a rilanciare l’azione di governo e impostare la ricostruzione con più determinazione. Sui tavoli di lavoro non vi sono litigi ma discussioni sulle migliori soluzioni. Non possiamo lasciarci distrarre da questo chiacchiericcio di fondo».

Alcuni esponenti del Pd la accusano di agire da solo sulle questioni chiave. Cosa risponde?

«Sono abituato a queste accuse come anche a quelle, opposte, di non decidere. Su molti dossier ci sono posizioni diverse, ma questo governo non può essere accusato di non risolvere i problemi. Abbiamo risolto Alitalia e Ilva e siamo in dirittura finale con Aspi. Con l’operazione Siae-Nexi e il contributo di Cdp abbiamo costituito un gruppo leader nei pagamenti elettronici. Abbiamo definito una strategia ben precisa, che stiamo attuando, per realizzare la rete unica per la banda ultralarga. Tutte queste decisioni e tante altre le abbiamo prese con piena condivisione».

Ma non ha solo il fronte Pd, c’è anche il M5S: c’è una rivalità fra lei e Luigi Di Maio sulla guida del Movimento?

«Non c’è e non ci può essere rivalità con Di Maio. Lavoriamo assieme da oltre due anni. Seguo cosa avviene nel M5S ma non ho nessuna ambizione di guidarlo».

È legittima l’ambizione di Di Maio di esserne leader?

«Di Maio è un punto di riferimento per il M5S. Trovo naturale che possa entrare nei nuovi organi di governo del Movimento».

Senza modifiche o rimpasti, sarà questo governo ad arrivare all’elezione del Capo dello Stato. Perché lei si è detto a favore di una proroga di Sergio Mattarella?

«Non era e non è mia intenzione coinvolgere il presidente Mattarella in una prospettiva di rinnovo di mandato. Ad una domanda ho risposto con considerazioni personali, molto positive, sul Presidente Mattarella, ma non è mia intenzione forzarlo nella prospettiva di un nuovo mandato».

Dopo il comunicato congiunto delle procure di Roma e del Cairo sul caso Regeni, si celebrerà nel nostro Paese il processo agli agenti egiziani sospettati dell’omicidio?

«Il governo non ha mai cessato di esercitare pressioni sull’Egitto per ottenere progressi tangibili nell’identificazione dei responsabili. Nell’ultima conversazione con il presidente Al Sisi ho chiesto più cooperazione giudiziaria: l’ultimo comunicato delle due procure non rappresenta un passo indietro, l’Egitto prende atto del nostro processo e ci aspettiamo quindi che ci siano tutti gli elementi per celebrare in Italia un processo credibile e giusto davanti a tutto il mondo».

Ma il fatto che in Egitto si farà un altro processo, a una banda di criminali, non è una beffa per il nostro Paese?

«Ciascun Paese celebra i processi secondo il proprio codice processuale. Secondo logiche e regole che gli appartengono. Confidiamo nella nostra Procura e nei nostri Tribunali».

Perché non riusciamo a far tornare in patria i 18 pescatori sequestrati dalle milizie libiche del generale Haftar?

«Stiamo lavorando intensamente, notte e giorno, a tutti i livelli, per ottenere questo risultato. Spero davvero che questi nostri sforzi siano coronati dal successo».

Lei ha lavorato bene con Trump, cosa si aspetta da Biden?

«Ho avuto una lunga conversazione con il presidente eletto Biden. Siamo in sintonia su molti temi. Mi aspetto un dialogo ampio con l’Ue per consolidare il rapporto con gli Usa e superare le tensioni commerciali avute. Mi aspetto un grande apporto Usa sull’agenda green, sull’inclusione sociale e sulla parità di genere, vista anche la scelta di Kamala Harris come vicepresidente, che può dare un ulteriore impulso a quel necessario empowerment femminile che anche noi poniamo in cima alla nostra agenda».

Biden si augura un’intesa forte con i partner Ue sulla sfida globale con la Cina. L’Italia è considerata un Paese di frontiera. Quale ruolo abbiamo nella sfida Usa-Cina?

«Quel che so è che l’Italia è un Paese fondatore dell’Unione europea, membro della Nato, dalla riconosciuta capacità e propensione al dialogo. L’Italia metterà a disposizione tale sensibilità nel rapporto con l’Ue e gli Stati Uniti anche per i dialoghi più complessi. Ciò non significa in nessun modo essere ambigui rispetto alle nostre alleanze, che rimangono imprescindibili».

Ha mai avuto la sensazione che Russia e Cina stiano tentando di staccarci dalle tradizionali alleanze?

«Non potrà mai accadere con un mio governo. Coltivare il dialogo con Putin e Xi Jinping non significa mettere in dubbio le nostre alleanze. Quando abbiamo sottoscritto la Nuova Via della Seta abbiamo inserito i principi dell’Ue».

Turchia e Russia sono oramai i maggiori attori in Libia: è un rischio o un’opportunità per il nostro Paese?

«Io vedo il rischio, che dobbiamo assolutamente evitare, che la Libia possa ritrovarsi divisa in sfere di influenza che potrebbero compromettere un futuro di unità e prosperità per il popolo libico. Confido molto sull’impegno di Biden sul dossier libico e anche sul rinnovato impegno dell’Ue per una soluzione politica».

Dal 1 dicembre l’Italia è presidente del G20 e ciò significa avere il dossier della “web tax”. È uno dei negoziati più difficili. Come intende affrontarlo?

«In seno all’Ocse si sta lavorando molto in questa direzione. Con la nostra Presidenza del G20 cercheremo di dare un impulso alla soluzione di questi dossier, a dispetto delle forti divergenze. Bisognerà raggiungere un compromesso equilibrato per avere una giusta tassazione del digitale ed una tassazione minima delle società a livello globale. Sarebbe un accordo equo nel quadro di una sfida globale che rischia di creare molte ingiustizie».

Lei ha indicato nella Fondazione sulla cybersicurezza un tassello dell’interesse nazionale ma sono state sollevate obiezioni di metodo nel l’assegnazione dei fondi e merito sull’assegnazione al Dis. Come risponde?

«La proposta di istituire una fondazione che possa coordinare la ricerca sulla sicurezza cibernetica non è più procrastinabile. A livello europeo stiamo realizzando una rete di coordinamento e l’Italia non può arrivare in ritardo a questo appuntamento. Abbiamo lavorato intensamente, sin qui, per realizzare il perimetro di sicurezza nazionale cyber e dotarci delle necessarie strutture operative. Ora dobbiamo completare il progetto con una fondazione che favorisca il coordinamento della ricerca cybernetica, dialogando con università, imprese, centri di ricerca. Il Dis e l’intelligence hanno solo compiti operativi in questo campo, mentre la responsabilità di indirizzo, anche con riguardo a questa fondazione, rimane in capo alle autorità politiche che sono competenti nel campo della sicurezza nazionale e della ricerca».

Perché ha scelto di non nominare un’autorità delegata ai servizi di intelligence?

«Non è stata una scelta di potere ma di responsabilità. Anche con un’autorità delegata, è il premier che resta responsabile. Quindi preferisco seguire in prima persona».