Il Vangelo secondo Andrea Filloramo: la mia Messina, la mia Chiesa

di ANDREA FILLORAMO

Credo che a conclusione di questo anno 2021, sia necessario fare il punto dei miei numerosi scritti che costituiscono per me un determinato patrimonio di idee che volentieri ho cercato di partecipare agli altri, tramite qualche mio libro e IMG PRESS…

Per iniziare faccio riferimento a “Il viaggio dell’eroe”, di Christopher Vogler, che è lo schema classico su cui si basa buona parte di una certa letteratura ed è diventato, perciò, per me, in parecchi miei scritti, la guida per applicare questo metodo. Al libro di Vogler si aggiunge un altro testo che l’ha preceduto che è “L’eroe dai mille volti” di Sol Campbell, in cui l’autore analizza gli archetipi dell’eroe e l’evoluzione della sue avventure mostrandoci come, attraverso varie epoche, certi meccanismi si ripetono e si rinnovano.

Di questa tecnica mi sono servito particolarmente quando ho cercato di adattarla ai miei articoli riguardanti i problemi della Chiesa che, anche se giudicati da qualcuno ipercritici, per me – è bene che lo dica – sono stati sempre dei segni di gratitudine per l’educazione e la formazione ricevute dalle istituzioni che, quand’ero giovane, hanno contribuito in modo determinante almeno alla costruzione della mia personalità.

Se per un certo periodo della mia vita sono stato attratto, quindi, dalla sacralità di determinati ruoli e figure di alcune persone e ne ho sublimato, eroicizzando le azioni ed anche le parole e non poteva essere diversamente;  man mano poi che in me è cresciuto il tasso di laicità e di secolarizzazione dovuto anche ai miei studi e agli impegni professionali, che non concedevano spazi riservati a contenuti metafisici dentro cui collocavo allora le persone, ho cercato quanto in esse era verificabile o realmente accaduto, di costringerle dentro le maglie della normalità che non ammette eroi sacri o profani.

Così ho fatto anche nelle pagine di questo giornale, nel quale scrivo ormai da parecchi anni, spesso riferendomi alla mia città d’origine, che è stata l’area spazio-temporale della mia formazione, alla quale mi sento molto legato; nei confronti, per esempio, dell’arcivescovo Mons. Angelo Paino che ho personalmente conosciuto, ritenendolo, come è stato, soltanto un grande costruttore e mecenate ma non della sua “pastoralità”, da alcuni negata anche per l’assenza continua dalla diocesi.

Di Mons. Francesco Fasola, di cui, sì, è vero, ho invocato più volte la sua canonizzazione, per il cui processo non ho fatto mancare la mia testimonianza, ma ho sempre sottolineato nei miei articoli particolarmente le sue doti umane, antropologiche e l’empatia con cui sempre mi ha accompagnato e seguito fino all’ultimo giorno della sua vita.

Dei suoi immediati successori nulla ho scritto e nulla potevo scrivere, tranne per uno di loro, che è rimasto sordo ai miei ripetuti allarmi provenienti dai suoi preti sconvolti da quel sentivano in giro e nei salotti cittadini del loro arcivescovo, tanto che ne ha pagato le conseguenze con le sue dimissioni o con la rimozione.

Qualcosa ho scritto anche dell’attuale arcivescovo Mons. Giovanni Accolla, che non conosco personalmente ma mi sono servito di ampie notizie su di lui fatte da preti, che, dopo le intemperie della precedente gestione dell’arcidiocesi, mi manifestano la loro soddisfazione del suo modo di relazionarsi con i suoi sacerdoti e con la gente.

Vivo del resto a 1300 chilometri di distanza e senza i molti amici che mi scrivono, mi telefonano nulla potrei scrivere sull’arcivescovo, sull’arcidiocesi e sui preti di Messina, come fin’ora ho fatto, come richiesto.

È vero che anche posso servirmi della Rete, le cui informazioni bisogna sapere, però, filtrare; occorre saper separare le notizie vere da quelle false, che abbondano in tanti Siti e in tanti post che si rintracciano nei Social e non è sempre un’operazione facile.

A tal proposito, proprio qualche giorno fa ho per caso preso visione in Internet di un video contenente una lunga intervista fatta a Mons. Accolla, che mi ha particolarmente colpito per la complessità dei sentimenti, la profonda spiritualità, la completa apertura agli altri dell’arcivescovo e ancora per il suo ottimismo cristiano con cui egli ha ironizzato persino sulla sua alta statura (un metro e novanta).  

Ci chiediamo: si tratta della “sicilitudine” di sciasciana memoria, che è una condizione dello spirito che si può anche ereditare o è per l’arcivescovo di Messina anche una forza propulsiva viva acquisita negli anni e uno slancio all’azione concreta, fattiva, reale e non soltanto ideale, segno distintivo di un modo di essere personale che egli ha sempre avuto?

Sicuramente è l’una e l’altra.

Si tratta di un suo “modus vivendi”, che lo spinge alla decisione a fare – come ha detto nell’intervista – delle scelte non sempre facili, talvolta anche dolorose o non accettate facilmente dagli altri o che non tutti sempre comprendono e non sempre condividono.  

Ciò, in poche parole per Accolla significa innanzitutto farsi per gli altri “prossimo”.

Accolla sa, infatti, come dice Papa Francesco che “la prossimità conosce verbi concreti, quelli del buon Samaritano: vedere, cioè non guardare dall’altra parte, non far finta di nulla, non lasciare le persone in attesa e non nascondere i problemi sotto il tappeto (…) farsi vicini, stare a contatto con le persone, dedicare tempo a loro più che alla scrivania, non temere il contatto con la realtà, da conoscere e abbracciare. Poi, fasciare le ferite, farsi carico, prendersi cura, spendersi, mettersi in gioco e sporcarsi le mani”.

Colgo l’occasione per porgere all’arcivescovo Accolla gli auguri più sinceri di Buon Natale