La cartina della felicità: Stiamo attenti a non essere schiavi delle immagini, fossero pure quelle di Michelangelo

Carissimi,

il Natale del Signore è imminente! Ancora una volta saremo sommersi dalle dolci melodie che creano un’atmosfera magica, unica, irripetibile, in case vestite a festa: tutto dovrebbe concorrere a risollevare l’animo ancora turbato dalla pandemia del Covid-19. Lungo le strade illuminate da luci e stelle, tra i passanti, si percepisce incertezza del futuro, chiusura in uno status di forte individualismo e di solitudine imperante, dettata dai timori della situazione pandemica attuale, con cui conviviamo quotidianamente. Tuttavia, occorre alzare il nostro sguardo e contemplare il mistero imminente, un Dio fatto Bambino, perché la nostra liberazione è vicina e all’orizzonte già si leva il Cristo.

Il mio invito è quello di ritmare questi giorni di frenetica attività all’insegna non solo ed esclusivamente di menu, spese, luminarie, auguri ed esteriorità varie, quanto piuttosto di un vero ed autentico raccoglimento interiore che presiede alla nascita del Figlio di Dio. È necessario fare spazio, togliere il superfluo, preparare la culla del nostro cuore al Bambino che viene ad abitare dentro di noi! Occorre andare alla ricerca di un’intensità pura che accolga l’arrivo della Parola silenziosa, che impone al nostro spirito un guizzo che si misura con l’eternità dello Spirito e che S. Giovanni (1,3-4) consolida nell’espressione

 e senza di Lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In Lui era la vita.

Accostiamoci, in un’estasi di amore, all’irradiazione della Saggezza, alla quale il prologo si ispira (cfr. Pr 8,22-26 e Sir 24,1-11), in cui troviamo l’origine delle cose per scoprire il Logos, Parola incarnata che si preoccupa unicamente di donarsi.

Stiamo attenti a non essere schiavi delle immagini, fossero pure quelle di Michelangelo, a realizzare presepi sfarzosi ma con cuore freddo.  Gustiamo, invece, con occhi limpidi e trasparenti l’incanto per essere pienamente liberi di scoprire l’opera della Tenerezza divina e il dono del suo amore. Mettiamoci in cammino, senza paura, per arrivare in tempo a Betlemme!

Riecheggiano sempre vere ed attuali le parole di don Tonino Bello: il Natale di quest’anno ci farà trovare Gesù e, con Lui, il bandolo della nostra esistenza redenta, la festa di vivere, il gusto dell’essenziale, il sapore delle cose semplici, la fontana della pace, la gioia del dialogo, il piacere della collaborazione, la voglia dell’impegno storico, lo stupore della vera libertà, la tenerezza della preghiera. Se gli apriremo con cordialità la nostra casa e non rifiuteremo la sua inquietante presenza, Gesù Bambino ha da offrirci qualcosa di straordinario: il senso della vita, il gusto dell’essenziale, la gioia del servizio, lo stupore della vera libertà, la voglia dell’impegno. Lui solo può resistere al nostro cuore, indurito dalle amarezze e dalle delusioni.

La vita divina, che “il Verbo dona a quanti lo accolgono” (cfr. Gv 1,12) che non possiamo immaginare né nominare senza essere sopraffatti dall’impotenza di ogni pensiero e di ogni parola, la vita divina basta a se stessa.

A Natale, particolarmente, scopriamo l’Io che si rivela ad ognuno nel mistero della propria coscienza, come un appello incessante alla bontà, come un’esigenza implacabile di altruismo. Ora, se diamo senza calcolo, diamo gratuitamente, diamo per amore. Rileggendo Ermes Ronchi, Natale è la convinzione santa che l’uomo ha Dio nel sangue, che dentro il battito umile e testardo del mio cuore palpita un altro cuore che – come nelle madri in attesa – batte appena sotto il mio. E lo sostiene. E non si spegne più. Elisabetta ha iniziato a battere il ritmo e Maria intona la melodia, diventa un fiume di canto, di salmo, di danza.

E da loro imparo che la fede e il cristianesimo sono questo: una presenza nella mia esistenza; un abbraccio nella mia solitudine; qualcuno che viene e mi consegna cose che neppure osavo pensare.

È questa l’essenza della morale cristiana che la Sua presenza ci ingiunge.

In principio – azione creatrice di Dio,

incipit del prologo di Giovanni,

realizza

il dono più puro, più vero,

nello slancio senza riserve di una bontà infinita.

 

“Guarda bene- dice il Signore ad Angela da Foligno (mistica e terziaria francescana) – “trovi in me qualcosa che non sia Amore?”.

Come non c’è un istante in cui il nostro cuore non aspiri misteriosamente verso la verità, verso la bontà, verso la bellezza o verso l’amore, così non c’è istante in cui Dio, attraverso un patto eterno che avvolge tutti i tempi, non comunichi l’essere, con lo slancio che trasporta verso Lui. Essere creatura, comporta essere amata da Dio e non di un amore astratto, lontano, relegato all’origine dei secoli, ma di un amore sempre attuale, sempre nuovo per lo stesso motivo che è eterno, unico per ciascuno, poiché si estende a tutte le inflessioni dell’essere.

 

Il salmista (cfr. Sal 147,4) afferma che ogni essere può dire che Dio lo “chiama per nome”.

 

Come non essere colpiti dal rispetto e dall’ammirazione davanti alla minuscola particella di materia, dal momento che essa si rivela all’anima come un dono di Dio, da quando essa si profila sul Volto ineffabile, investita di luce dallo sguardo che riempie di emozione i poeti. Di questo sguardo S. Giovanni della Croce canta “divinamente” la misteriosa virtù:

Mille grazie spandendo

qui pei boschi s’affrettava

e, mentre li guardava,

la sola sua presenza

adorni di bellezza li lasciava

(Cantico spirituale, strofa 5).

Che cosa dire, allora, della tenerezza divina verso di noi?

Come non essere scossi di stupore, considerando quel che si è in se stessi, in ogni istante, cioè frutto del suo amore?

Quanti esseri impazziti di solitudine, disperati dall’imminente inutilità della loro vita, troverebbero un’uscita al loro tormento, se potessero divenire coscienti di tutto ciò che implica nei loro riguardi la paternità di Dio! E la loro esistenza risulta indispensabile a qualche grande disegno, poiché essa è loro donata, oggi, attraverso una Saggezza infinita.

Questa convinzione non può mancare di generare una fiducia incrollabile nell’anima che se ne nutre, poiché la luce sempre risplende, perfino nelle nostre più profonde tenebre: dalle feritoie un chiarore, bagliore di Vita nuova!

“In questo consiste l’amore” dice S. Giovanni, “non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Lui che ci ha amato per primo” (1 Gv 4,10).

E sarà così sino alla fine: l’Amore giudicherà il mondo.

 

Auguro a tutti, in questo Natale, di poter fare proprie le parole di S. Angela da Foligno:

“E la mia anima comprendeva con evidenza che non c’è niente in Lui che non sia Amore”.

Ettore Sentimentale

 

www.parrocchiamadonnadelcarmelo.it