Green Deal, economically correct, politically correct. Ha ragione Greta Thunberg?

L’intervento della Thunberg all’ONU ha segnato una ulteriore svolta nella battaglia contro il cambiamento climatico. La sincerità e la franchezza al governo? Vedremo.

Certamente si tratta di un metodo, ben noto quanto per niente usato in ambito politico ed economico: il problema c’è, esiste, è riconosciuto, ci sarebbe una soluzione, ma ci si continua a girare intorno con palliativi che non prendono in considerazione che la non-soluzione immediata aggrava comunque la situazione di base da cui si parte… riduzione del 50% delle emissioni entro il xxx? Bene… ma il problema che quando saremo arrivati ad xxx quel 50% sarà molto meno e così via…
Alcuni sostengono che questa è la politica. Sarà… ma sembra che se continua ad essere così, continueremo a farci male. Altri sostengono che questo sarebbe estremismo (tutto e subito) rispetto a moderatismo o riformismo con cui si otterrebbero le stesse cose, ma più dilatate nel tempo e senza traumi per le “specie” resistenti. Roba vecchia, decrepita, usata solo per giustificare il proprio conservatorismo economico, culturale e sociale che non si vuole venga intaccato per due motivi: pigrizia e privilegi acquisiti e consolidati.

Il mondo è diverso: informazione e comunicazione a 360 gradi hanno rivoluzionato tutto distruggendo (con ancora alcune resistenze) i privilegi dei detentori dei meccanismi di costruzione di quel potere che ci ha dominato grossomodo fino alla fine degli anni 80 del secolo scorso.
Fatta questa premessa ci preme rilevare come il “correct” è un altro di quei modi di essere e di agire che nuoce ad economia e politica, nonché a tutte le forme di vita.
Facciamo due piccoli esempi tipici del mondo dei consumi: farmaci e sigarette.
Nella “orgia” di “green deal” il governo in carica sta cercando di metterci dentro diverse cose come bibite e merendine, voli aerei, gestione contante, etc. Al di là del merito o demerito di queste iniziative ci sono alcune notevoli omissioni che, a nostro avviso sono tali proprio in virtù del “correct”: farmaci e sigarette.
Farmaci: economically correct. Perché dobbiamo continuare a comprarne confezioni che in buona parte poi buttiamo perché non utilizzati entro la scadenza o perché hanno assolto alla loro funzione sanitaria? Non sarebbe meglio si acquistassero solo quelli che ci servono, cioè farmaci sfusi? Risparmio garantito sotto diversi aspetti: acquisto in sé, rifiuti, stoccaggio domestico, pericoli di uso improprio, confezioni e materiali per la loro fabbricazione, etc… Eppure.. non succede. Economically correct? Sicuro: per case produttrici e farmacie. Risvolti su economia domestica e generale, nonché salute: enormi.
Sigarette: politically ed economically correct. Perché dobbiamo continuare a comprare pacchetti che il fatto stesso che ufficialmente sono di 20 pezzi rappresentano un incentivo al consumo? Non sarebbe meglio acquistare le singole sigarette? Le norme hanno anche abolito i pacchetti da 10 perché, per il fatto che costavano meno, sarebbero stati un incentivo al consumo per i giovani, ma siamo sicuri che l’effetto desiderato sia quello raggiunto? Sembra di no. Risparmi garantiti sotto diversi aspetti: acquisto dei prodotti, rifiuti delle confezioni, salute. Qui si tratterebbe di rimettere in discussione tutte le politiche seguite fino ad oggi. Eppure… non succede. Economically correct? Sicuro: per le tasse dello Stato e per i produttori. Politically correct? Sicuro: impensabile rimettere in discussioni le dissuasioni usate fino ad oggi, anche se i risultati, una volta che si è stabilizzata una riduzione, ripuntano verso l’alto; ripensare il tutto costa, in soldi e politiche, per cui… si prende tempo. E a noi sembra proprio che le sigarette vendute sfuse avrebbero un alto impatto di riduzione del danno.
Ora, dal particolare torniamo al generale, e viceversa. Sono giusti gli approcci che stiamo seguendo?

Vincenzo Donvito, presidente Aduc