Donne vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale: l’unica via di uscita è l’integrazione sociale e lavorativa

“La vita è fatta di incontri: alcuni possono distruggere la tua vita, altri possono aiutarti a ricostruirla”: così la giovane Paloma riassume la sua vita e la presa di coscienza, grazie al supporto ricevuto, che l’ha portata a riprendere in mano dignità e speranza per tornare a vivere dopo aver subìto la tragica esperienza della tratta.

Paloma, insieme a Stella e Leila, è una delle protagoniste del video “Shifting”, realizzato in occasione della Giornata Europea contro la tratta – che si celebra ogni anno il 18 ottobre – per sensibilizzare sull’integrazione socioeconomica delle donne vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale: https://www.youtube.com/watch?v=7lHw3kJu8VY

La tratta è una grave violazione dei diritti umani. Le donne vittime di tratta hanno diritto a sostegno e protezione per inserirsi nelle nostre società: questa è l’unica soluzione di lungo periodo per prevenire l’abuso. Se non supportate efficacemente, e soprattutto se non sono offerte loro opportunità di lavoro legale, le donne migranti sono fortemente esposte a fenomeni di sfruttamento nel lavoro domestico, nei servizi di assistenza, nell’industria del sesso o in altri settori non regolamentati dalla legislazione del lavoro. L’indipendenza finanziaria consente alle donne di avere il controllo della propria vita”. Questo il pensiero che accomuna le 5 associazioni in 3 Stati europei (Italia, Spagna, Bulgaria) che hanno unito le forze per concretizzare un progetto mirato a favorire l’integrazione sociale e lavorativa delle donne vittime di tratta, sensibilizzando l’opinione pubblica e le aziende per offrire alle donne occasioni di riscatto, e contribuendo infine a prevenire il loro “ri-traffico”.

            Il progetto, della durata di 2 anni, si chiama WIN (Trafficked Women INtegration) ed è finanziato dal FAMI (Fondo Asilo, Migrazione e Integrazione dell’Unione Europea). Le associazioni coinvolte per l’Italia sono Lule onlus ed Energheia Impresa Sociale, oltre al Fondo Provinciale Milanese per la Cooperazione Internazionale che è il capofila; per la Spagna è coinvolta l’associazione ‘Amiga por los derechos humanos de las mujeres’ e per la Bulgaria ‘Animus Association’.

 

Secondo i dati dell’UE, in Europa le vittime di tratta – l’attività criminale di reclutamento e trasporto delle persone con la forza o la minaccia a scopo di sfruttamento – sono oltre 26mila, di cui il 68% sono donne. Sempre in riferimento al dato totale, il 56% delle vittime proviene da Paesi terzi, e il 46% è sottoposto a sfruttamento sessuale.

In Italia, si stima che le donne vittime siano oltre 2mila.

 

Nel concreto, il progetto WIN ha coinvolto in due anni (2019-2021) 57 donne, di cui 15 in Italia (21 in Spagna e 21 in Bulgaria), avviate a percorsi individuali di integrazione sociale e lavorativa grazie al supporto degli operatori specializzati di Lule ed Energheia.

Le beneficiarie del progetto italiano sono tutte di origine nigeriana, di età media tra i 20 e i 30 anni, con un livello di istruzione basso (nella maggior parte dei casi non hanno terminato il ciclo scolastico) e senza lavoro. Sognano di diventare commesse, parrucchiere, magazziniere; di lavorare nella ristorazione o negli hotel; oppure di dedicarsi ai bambini come babysitter o agli anziani come badanti; alcune di dedicarsi alle pulizie.

Provengono da esperienze di sfruttamento sessuale da cui sono riuscite dopo anni ad allontanarsi, grazie alle comunità protette che le hanno accolte e al coinvolgimento nel progetto WIN che ha individuato per ciascuna un Piano di Integrazione individuale, ideato sulla base di colloqui singoli e laboratori collettivi che hanno permesso di valutare bisogni e competenze. Tra le criticità emerse c’è la limitata conoscenza della lingua italiana, la mancanza di esperienza lavorativa pregressa e di competenze informatiche, a cui si aggiungono i tanti bisogni psicologici poiché numerosi sono gli ostacoli e i pregiudizi che colpiscono le donne vittime di tratta: la barriera linguistica, il trauma, l’insicurezza relativa alla residenza, la scarsa conoscenza del mondo del lavoro, gli stereotipi culturali e religiosi.

Ogni donna ha dunque seguito il suo Piano Personale, composto da corsi di lingua e di formazione professionale, sulla base degli interessi, dei bisogni e delle opportunità offerte dal mondo del lavoro. C’è chi ha seguito lezioni di informatica e di educazione civica e orientamento, chi corsi sulla sicurezza o nella ristorazione, chi è riuscita a conseguire la patente per la guida di muletti. É stato poi garantito il supporto all’inserimento lavorativo: la creazione del curriculum e la preparazione dei colloqui, la ricerca delle proposte in rete, i contatti con le aziende e l’organizzazione di tirocini. Previsto anche un supporto psicologico per condividere le esperienze passate dolorose, aumentare l’autostima, controllare la frustrazione nel periodo di attesa di un lavoro (si sono verificati alcuni ritardi a causa della pandemia che ha caratterizzato il biennio 2019-2021 in cui si è sviluppato il progetto), affrontare le difficoltà del lavoro alla luce del trauma vissuto, gestire la conciliazione figli-lavoro. Si è rivelato molto utile anche il supporto legale: tutte le donne hanno fatto richiesta di protezione internazionale o di permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale (secondo l’articolo 18 della legge italiana sull’immigrazione 286/98), condizione necessaria per poter lavorare in regola. E fondamentale è stato il ruolo della mediatrice linguistico-culturale nello svolgimento delle varie attività.

I risultati sono molto promettenti: 13 donne su 15 sono riuscite a ottenere un lavoro regolare (come badante, magazziniera, addetta alle pulizie) o uno stage retribuito (cameriera, assistente in cucina, addetta alla preparazione e alla vendita in un fast food, addetta all’assemblaggio).

 

In Spagna e Bulgaria le donne beneficiarie hanno un profilo un po’ diverso e al momento si registrano risultati leggermente inferiori in termini di inserimenti lavorativi. Provengono da vari Stati (dell’Africa, Sud America, Asia occidentale) e hanno età maggiori rispetto a quelle giunte in Italia (anche 40enni e 50enni), con un livello di istruzione medio-alto e una buona conoscenza della lingua, con lavori precari e il desiderio di accedere a mestieri di un certo livello (nel settore dell’ospitalità e dell’insegnamento infantile in Spagna; insegnamento, grafica e mondo bancario in Bulgaria). In Spagna il 19% ha ora un lavoro e il 9,5% uno stage; in Bulgaria il 24% un lavoro.

 

Per esigenze di protezione delle donne vittime di tratta, le protagoniste del video “Shifting” sono attrici e i nomi sono di fantasia, ma le storie raccontante sono reali: