COME COMBATTERE LA DENATALITA’

La due giorni degli “Stati generali della Maternità”, dell’11 e 12 maggio scorso, organizzati dalla “Fondazione per la natalità”, del presidente Gigi De Palo, hanno suscitato diverse reazioni nel nostro Paese.

Non prendo in considerazione quelle che riguardano le forze politiche della sinistra, che ripetono i soliti sterili slogan, ma vorrei soffermarmi sulle reazioni che riguardano il mondo cattolico. Intanto la Nuovabussolaquotidiana.it  (Riccardo Cascioli, L’emergenza natalità non si risolve con le passerelle, 11.5.23, Lanuovabq.it), ha parlato di inutile passerella, perchè alla kermesse partecipano forze politiche che da sempre hanno avuto culture antinataliste e perché non si va ad affrontare le cause della denatalità, dell’inverno demografico. Questa poca fiducia da parte del quotidiano online può essere giustificata fino ad un certo punto, intanto il Convegno bisogna vederlo come un fatto positivo perché è la prima volta che le forze politiche, si interrogano sulla gravità della situazione italiana. Per la prima volta c’è un governo italiano che mette al centro della sua politica, la famiglia e questo non era mai successo neanche con i governi democristiani.  Pertanto, aiutiamo e sosteniamo questo governo che finalmente ha messo al primo posto della sua azione politica la famiglia e la maternità, ringraziamo la Provvidenza di questo comune intento a favore della natalità fra governo e Pontefice e auspichiamo che coinvolga anche i nostri vescovi e in generale il mondo cattolico italiano, affinché si capisca la differenza fra un governo amico della famiglia e quei governi che la hanno sempre dimenticata o hanno confuso la lotta per sostenere la maternità con la lotta contro la povertà, aiutando soltanto le famiglie povere e non le famiglie in quanto tali. (Marco Invernizzi, bambini e cagnolini, 15.5.23, alleanzacattolica.org)

Certo nel Convegno organizzato dalla Fondazione non si può cominciare a parlare di contraccezione, di pillole, di aborto o dell’Evangelium Vitae di Giovanni Paolo II. Sarà pure vero che molti politici che hanno partecipato ai due giorni di Roma, non metterebbero in discussione la contraccezione. Certamente quello che c’è scritto nell’enciclica sul valore e l’inviolabilità della vita umana sono principi irrinunciabili, da praticare, ma questo è un discorso che viene dopo. E’ un lavoro culturale che va fatto nel tempo, attraverso le associazioni, nelle parrocchie, nella società. Un lavoro lungo e difficile. Non possiamo invocare subito per esempio, pretendere un provvedimento legislativo, che cancelli la legge 194, che ha causato l’eliminazione di 6 milioni di bambini che ora facevano tanto comodo al nostro Paese.

E’ vero che molti politici che hanno partecipato sostiene – o almeno non contesta – le unioni omosessuali e tutta la cultura LGBT ecc., che pure è per definizione un disincentivo alla procreazione (a parte quell’altro crimine che si chiama utero in affitto). E’ pure vero che il divorzio ha favorito la disgregazione della famiglia e quindi ha incentivato la denatalità. Perché si sa che una famiglia solida e stabile tende ad avere un maggior numero di figli, garantendo anche l’ambiente migliore per educarli (perché non basta metterli al mondo. E’ vero che il demografo Giancarlo Blangiardo e non solo lui, da decenni ripete inascoltato con i dati Istat che certificano il suicidio demografico del nostro Paese. E siamo pure consapevoli che non bastano le belle testimonianze delle madri o delle famiglie numerose e forse neanche la presenza del papa o di Giorgia Meloni. Tutto vero.

Tuttavia, quello che deve fare la politica per favorire la natalità e la famiglia sono gli assegni familiari più adeguati per ogni nascita, sgravi fiscali, asili nido nelle aziende, e tutto quello che può aiutare a favorire la maternità va benissimo. Sono misure necessarie che colmano una lacuna perché nella politica italiana del secondo dopoguerra tutto questo non c’è mai stato. Ma attenzione scrive Invernizzi, “il problema principale è culturale, cioè riguarda l’atteggiamento delle donne (ma anche degli uomini) nei confronti della maternità”.

Dopo il cosiddetto babyboom, fino al 1964, la popolazione è aumentata, perché i giovani che si sposavano desideravano avere dei figli. Era bello ed era normale, anche al di fuori dal mondo cattolico. Poi con il ’68 è cambiata la cultura, “c’è stata una vera e propria rivoluzione del costume, che ha preso il nome dall’anno in cui è esplosa, il 1968, ma era una vera e propria rivoluzione epocale”.

Il modo di ragionare, le aspettative, i desideri dei giovani sono rapidamente cambiati e non era soltanto un problema legato al comportamento sessuale e alla diffusione della pillola anticoncezionale che ha certamente favorito questa nuova mentalità, ma quello che è radicalmente cambiato appunto è stata la cultura, cioè le scelte esistenziali dei giovani di allora.

“Il figlio è diventato un inciampo di fronte alla carriera, al divertimento, all’impegno politico, a quella che si definiva la libertà di decidere il proprio destino. La pillola e in generale i sistemi anticoncezionali hanno contribuito a impedire le gravidanze, l’aborto era comunque l’extrema ratio da usare in caso i primi non avessero funzionato, ma il vero problema era sempre più la mancanza del desiderio di mettere al mondo dei figli”. Poi c’era la mancanza del desiderio di sposarsi, di fare una famiglia, preferendo la più fluida convivenza, che si può risolvere in modo molto più semplice e sbrigativo, senza bisogno di avvocati e noiosità burocratiche”. Certo ci sono i giovani che vogliono sposarsi, ma non hanno le risorse economiche, e quindi vanno aiutati dal Governo. Il cuore del problema è che bisogna aiutare le persone a comprendere che la nascita di un figlio è un bene e lo è per tutta la società, non solo per genitori e parenti. Perché la società vive e progredisce se raggiunge un equilibrio fra nascite e morti che garantisca la sostituzione, almeno, e possibilmente la crescita della popolazione.

Ma questo è un discorso che presuppone un mutamento di cultura, di atteggiamento di fronte alla vita. Di fatto una conversione, non necessariamente religiosa, ma un importante cambiamento di orientamento della propria vita. Non sarà facile e non sarà breve. Ma è l’unica strada che possa portare alla meta. Intanto cominciamo a partecipare alla “Manifestazione Nazionale per la Vita” del 20 maggio a Roma.

DOMENICO BONVEGNA

dbonvegna1@gmail.com