Caivano: servono cultura e lotta alle disuguaglianze

Dopo i gravi fatti di cronaca degli ultimi giorni, che hanno visto giovani al centro di diversi episodi di violenza a Caivano, ma non solo, molte le voci che si alzano dal mondo del terzo settore per chiedere interventi diversi da quelli messi in campo dal governo.  Il cosiddetto “decreto Caivano” prevede, tra le varie misure, l’inasprimento delle pene.

“Cultura, scuola, educazione e presidi sociali: è qui che bisogna prioritariamente concentrare l’attenzione e investire affinchè si riesca a prevenire i sempre più diffusi episodi di violenza, ma anche di disagio sociale, tra i giovanissimi. Le misure punitive da sole non bastano, né serve il loro inasprimento. Allo stesso tempo, però, bisogna essere consapevoli che la prevenzione necessita di politiche serie e di lungo termine, che facciano leva anche sul contributo che il Terzo settore dà e può continuare a dare alla costruzione di una socialità positiva, di relazioni sane e di senso”. Così Vanessa Pallucchi, portavoce del Forum Terzo Settore.

Una voce unanime si è alzata dal terzo settore, nelle sue varie espressioni: non è con la repressione che si combatte la povertà educativa, che si crea sviluppo e cultura. Cosa può aiutare a invertire questa tendenza di violenza e regressione sociale? Più opportunità, più educazione, più sport, un po’ di sogni e tanta tanta cultura – risponde Loredana Barra, responsabile Politiche educative e inclusione Uisp – Credo che siano questi gli ingredienti  per contrastare i fenomeni delle tante Caivano d’Italia e portare l’arcobaleno in territori con tessuti sociali lacerati da anni di sottocultura, dove la distinzione tra buono e cattivo, bello e brutto, legale e illegale, si perde in un clima d’odio, rancore e violenza. Dovevamo prevenire e non curare: la dispersione scolastica, la criminalità organizzata, la disoccupazione, il mancato sviluppo economico culturale e sociale di Caivano erano sotto gli occhi di tutti noi da tempo. Eppure pochi hanno fatto qualcosa, pochi, troppo pochi sono stati gli investimenti strutturali per creare presidi permanenti di salute, di cultura, di crescita e legalità”.

Nelle tante Caivano che esistono in Italia, accanto ai problemi che esplodono, c’è spesso una ricchezza sociale ignorata, che non affiora, sostenuta in maniera insufficiente dalla politica e dalle istituzionali, che può contare su risorse scarse: parlo delle buone pratiche dal basso, promosse dalle realtà sociali e del terzo settore –  prosegue Loredana Barra- esperienze che faticano a diventare sistema, poco raccontate dai media, che rappresentano la quotidianeità e non l’eccezionalità, ovvero la risposta estemporanea al problema”.

L’antropologo Federico Mento ha pubblicato su Vita una riflessione sulle proposte di questi giorni: “Per quanto si possa fare investimenti ambiziosi sulle infrastrutture fisiche – scrive – pensando che creino magicamente sviluppo, senza l’attivazione e l’intraprendenza delle comunità, il rischio di fallimento è altissimo. Talvolta, basterebbe guardare a ciò che ha funzionato, pensiamo ad esempio a come Fondazione Con il Sud abbia giocato il ruolo di soggetto abilitante, alimentando il rafforzamento del capitale sociale in zone estremamente delicate del meridione. Prendersi cura dei territori che non hanno voce necessita di visione, capacità di ascolto, fiducia, non saranno certo pene più severe a cambiare quei contesti”.

Proprio al fianco di Fondazione con il Sud l’Uisp è scesa in campo al Parco verde di Caivano con il progetto La bellezza necessaria dell’Uisp Campania, che è intervenuta con la riqualificazione di spazi pubblici per metterli a disposizione della cittadinanza e con la lenta e faticosa ricostruzione di legami sociali attraverso il collante dello sport sociale.

“Curare, curare davvero, richiede tempi lunghi: non basta la repressione – prosegue Barra – La repressione è come un antidolorifico, forse fa passare il dolore per un po’, ma non è una cura. Oggi addirittura, dopo gli orrori avvenuti in questo territorio, si parla di bonificare, un po’ come risanare terreni per renderli produttivi; ma non si possono bonificare le persone, per le persone ci vuole cura educativa e la cura educativa è una costante nella vita di un bambino dalla nascita fino all’età adulta. Non possiamo ricordarci di quei bambini solo quando succedono gli orrori. Inasprire le pene con l’applicazione di misure che fanno di un adolescente un criminale, potrebbe annientare il suo presente condannandolo, non alla guarigione, ma alla degradazione, ad una vita marchiata in modo irreparabile. La  criminalità può essere curata solo con la cultura, investendo su un futuro che guardi alle giovani e nuove generazioni con fiducia. Questa è la sfida di tutti noi: investire nei giovani, aiutarli a capire la bellezza, necessaria appunto, per essere riconosciuti, ascoltati e capiti. Investire significa stare con loro, cercarli nei luoghi in cui si trovano, dedicargli il nostro tempo in modo continuativo, trasmettergli le passioni, insegnare loro i sentimenti. Laddove non c’è tempo, non c’è passione, non c’è amore, non c’è intenzione di cambiare lo stato di cose, non si fanno investimenti, ma solo slogan”.

Marco Rossi Doria, presidente dell’impresa sociale ConiBambini, ribadisce dalle pagine del Quotidiano nazionale che la repressione da sola non basta, occorre conquistare la società e creare comunità educanti. “Ora il problema dei cittadini onesti di Caivano, che sono il 90% degli abitanti del Parco Verde, è che quel territorio non può diventare una piazza di scontro e contrapposizione militare. Bisogna conquistare la società, affascinare i ragazzi del quartiere, dare forza alle associazioni del terzo settore, incoraggiare i docenti. In una battuta: questa situazione non si recupera con un’escalation solo di tipo repressivo. La gente deve sentire che c’è un esercito civile unito che intende assumere un impegno per una battaglia lunga e difficile, ma che è l’unica che può produrre cambiamenti. È già successo in passato. All’inizio degli anni Novanta a Napoli avvennero due cose: un grande giro di vite sui clan e interventi sul lavoro e sul tessuto sociale con la legge 285, i progetti per i bambini e l’attivazione nei quartieri poveri del privato sociale in alleanza con le scuole. E le cose mutarono davvero”.