Dal fallimento individualmente vissuto alla ricerca della dimensione eroica

GIAN MARIA FARA

PRESIDENTE DELL’EURISPES

«L’impressionante numero di suicidi registrati negli ultimi anni, soprattutto tra gli imprenditori messi in ginocchio dalla crisi economica, rappresentano, ognuno, il singolo racconto del tramonto di quei ceti medi considerati solo fino a qualche anno fa la spina dorsale dell’economia del nostro Paese.

Non è tanto una povertà già persistente che fa scivolare nella disperazione piccoli imprenditori, impiegati, commercianti ma la discesa inesorabile da una condizione agiata o semi-agiata ad una situazione di indigenza improvvisa, alla quale non si è preparati e forse, anche per questo, ancora più difficile da affrontare.

Ma se la congiuntura economica sembra essere la causa di tutti i mali è anche vero che essa ha trovato terreno fertile nella situazione di stallo politico e sociale che l’Italia sta vivendo da due decenni. La crisi è stata vissuta dalla classe dirigente generale del nostro Paese come un fattore contingente e non ha trovato risposte adeguate in termini di contrasto e insieme di interventi concreti per rilanciare il nostro sistema e andare incontro alle crescenti difficoltà di una sempre più ampia parte di cittadini.

In questo contesto, il suicidio ha rappresentato per molti la scelta ultima, dettata dalla profonda sofferenza di un fallimento personale, ma ancor più un’estrema richiesta di attenzione, un grido di disperazione.

Gli ultimi fatti di cronaca lanciano invece segnali inquietanti che ci fanno presagire di essere entrati in una nuova fase nella quale il gesto eclatante non è più l’autoprivazione del bene più grande ma la manifestazione di un rancore profondo nei confronti di coloro i quali vengono ritenuti responsabili del serpeggiante disagio economico e sociale: le Istituzioni e la politica.

Ancora più grave sembra essere la crescente convinzione che un atto criminale possa trovare presso un’opinione pubblica stremata e inasprita una qualche giustificazione sociale poiché volta a “punire” coloro che vengono indicati come i responsabili della situazione che stiamo vivendo, i politici. La difficile, e per certi versi atroce domanda, che dovremmo porci è: se ad essere colpiti non fossere stati i tutori dell’ordine, così largamente amati dagli italiani, ma dei parlamentari, sarebbe stato così forte lo sdegno? E quanti, di certo non pubblicamente, ma in cuor loro, avrebbero provato una sottile soddisfazione? Ne sono la prova alcuni incredibili commenti, di persone comuni, ribalzati sul web e scritti appunto da chi in qualche modo suggeriva sarebbe stato meglio colpire i parlamentari.

Che sia stato pianificato lucidamente o si tratti del gesto isolato di una persona instabile, chi ha aperto il fuoco contro i Carabinieri davanti a Palazzo Chigi ha probabilmente ed erroneamente pensato di potersi ergere ad “eroe” con un gesto plateale, in un clima di odio e di risentimento che non riesce ad attenuarsi.

Ciò che deve invece tenere viva l’attenzione è la possibilità che si inneschi un effetto imitazione e che, quindi, questo non rimanga un fenomeno isolato.

La politica, d’altro canto, non dovrebbe tentare di spostare l’attenzione puntando il dito contro il Movimento 5 Stelle, sarebbe un grave errore e vorrebbe dire non riconoscere, ancora una volta, le proprie responsabilità e in qualche modo alimentare ancora di più il fenomeno».