Il giornalista Fabrizio Bertè fermato e perquisito mentre stava lavorando. La libertà d’informazione dove sta di casa?

Fermato e perquisito mentre stava lavorando, solidarietà a Fabrizio Bertè

L’Ordine dei giornalisti Sicilia esprime solidarietà al collega Fabrizio Bertè, fermato e perquisito oggi dalla Digos, quindi trattenuto in Questura e rilasciato dopo circa due ore. L’accaduto mentre il giornalista stava recandosi in via Garibaldi a Messina per documentare una manifestazione di protesta di aderenti alla campagna “Fondo riparazione” promossa dal movimento Ultima generazione. Il giornalista, mentre stava parlando con uno degli aderenti all’iniziativa, è stato portato in Questura, sottoposto a perquisizione e rilasciato dopo un paio d’ore. 
La sequenza dei fatti ha materialmente impedito a Fabrizio Bertè di svolgere il suo lavoro.
Un episodio su cui l’Odg Sicilia chiede sia fatta luce, ribadendo ancora una volta che il diritto di cronaca è sancito dall’articolo 21 della Costituzione.

 

Fabrizio, nei giorni scorsi, tuo malgrado, sei stato protagonista di una vicenda inquietante, per certi versi: perquisito e trattenuto dalla Digos di Messina, negli uffici della questura. Che avevi fatto di tanto pericoloso da costringere la polizia all’identificazione formale?

Alle 10 del mattino di lunedì 6 novembre, a Messina, in pieno centro, ho incontrato in un bar un docente scolastico emiliano, mio coetaneo, prima di recarmi a una manifestazione che avrei dovuto raccontare sulle pagine di Repubblica. Stavamo chiacchierando e poi ci siamo seduti sulle scale di una centralissima chiesa messinese. Per parlare. Lì, a un certo punto, un poliziotto, in borghese, si è avvicinato a noi, chiedendoci i documenti e dicendo che si trattava di un normale controllo di polizia. A quel punto, sono arrivati altri tre agenti e sottufficiali della Digos. Abbiamo esibito i documenti, qualificandoci. E ho detto immediatamente di essere un giornalista. Ho mostrato i miei documenti, accompagnati dal tesserino. Le forze dell’ordine mi hanno chiesto di aprire lo zaino e di mostrare cosa ci fosse al suo interno, minacciandomi, in caso contrario, di portarmi in questura. Ma senza spiegarmi il motivo. Lo stesso controllo, identico, è stato fatto al ragazzo che era con me. Mi hanno chiesto il perché fossi lì. Ho detto che stavo lavorando, ma mi sono state fatte una serie di domande, che definirei strane e invadenti: “Dove stai andando? Cosa devi seguire?”. Un normale controllo di polizia? Non so. Forse. Uno di loro, addirittura, mi dava del tu, come se andassimo a scuola assieme. Un’autovettura della polizia di stato ha “prelevato” il docente scolastico, per portarlo in questura, nonostante una perquisizione (di entrambi) con esito negativo. E la stessa sorte è toccata a me. Mi è stato chiesto di salire su un’altra macchina, assieme a tre poliziotti. Senza neanche darmi la possibilità di aspettare il mio avvocato. E non ho per nulla gradito il fatto che proprio in macchina mi siano state fatte una serie di domande. In Questura, a partire dalle 11,30, sono stato sottoposto alle stesse domande già fatte dai poliziotti sulle scale della chiesa e all’interno della loro automobile. E le mie risposte sono state le stesse. La dirigente della Digos di Messina, la dottoressa Vinzy Siracusano, inoltre, mi ha chiesto se avessi mai partecipato a manifestazioni incentrate sull’ambiente e quali fossero i temi da me maggiormente trattati. E le mie preferenze e attitudini giornalistiche. Tutto molto strano. Il motivo del mio “fermo”? Mi è stato contestato il fatto di essere in compagnia di un “pluripregiudicato”, così definito dalle forze dell’ordine. Nel verbale, che mi è stato notificato, c’è scritto che “il predetto si accompagnava al sig. Giuli Michele, soggetto noto per aver posto in essere nel recente passato manifestazioni non preavvisate con gravi ripercussioni sull’ordine pubblico. La perquisizione (fatta al sottoscritto) dava esito negativo”. Effettivamente, alle 10,45, si è tenuta una manifestazione, non violenta, promossa da “Ultima Generazione”, a cui hanno partecipato una decina di persone, aderenti alla campagna “Fondo Riparazione”. Manifestazione dedicata agli incendi che hanno devastato la Sicilia, alle catastrofi climatiche che hanno colpito il Paese e ai soldi che il governo ha stanziato per il Ponte sullo Stretto, invece che per le infrastrutture carenti e per la messa in sicurezza del territorio. Manifestazione che non ho potuto seguire e raccontare, così come non mi sono potuto presentare a un appuntamento di lavoro che avevo all’Università, alle 11,30, in quanto sono stato rilasciato dalla questura intorno alle 12,30, accompagnato dal verbale di perquisizione. Una vicenda paradossale, in effetti, che ancora oggi faccio fatica a spiegarmi. Mi hanno portato in Questura senza neanche attendere l’arrivo del mio avvocato. È vero che avrei dovuto documentare una manifestazione, sulle pagine del giornale con cui collaboro, ma di certo non ero tenuto a documentare le forze dell’ordine sui miei programmi lavorativi. A un certo punto, addirittura, infastidito, ho chiesto ai poliziotti di chiamare il mio capo e dirgli che non avrei potuto lavorare. E mi hanno risposto dicendomi “Serve la giustificazione?”.

Immagino che il questore di Messina ti abbia chiamato per chiarire la cosa…

Al momento no, non ho ricevuto alcuna telefonata da parte del questore di Messina. E neanche da parte della Digos.

Che cosa ti inquieta di più a margine di questa, chiamiamola, esperienza?

Se devo essere sincero, tutto. Mi inquieta il fatto che questa storia sia stata strumentalizzata da tante persone. E mi dispiace. Un politico, il sig. Nino Germanà, della Lega, su Facebook, ha perfino scritto che “Repubblica sapeva prima che “Ultima Generazione” avrebbe commesso un’azione illegale, a Messina, al punto da inviare prima un suo cronista? Normalmente, un giornalista arriva dopo che un reato avviene e lo documenta. Se è a conoscenza prima di un reato che si sta per commettere deve informare le forze dell’ordine o non è sottoposto alla stessa legge della Repubblica? Ponte e Libertà!”. Che vuol dire tutto ciò? Non capisco. Ho visto i video della “manifestazione della discordia”. Erano presenti un giornalista, un cameramen e un fotografo (di RTP e Gazzetta del Sud). E non certo di Repubblica. E nel frattempo, io mi trovavo in Questura. Appena sono uscito, pur di “portare a casa” il servizio, mi sono fermato fuori dalla questura, per intervistare qualcuno dei manifestanti (anche loro, nel frattempo, portati in questura). E mentre chiacchieravo con loro, per tutto il tempo, sono stato ripreso con la telecamera dai dipendenti della questura. Mentre mi trovavo su una strada pubblica. Perché? Mi trovavo per strada. E stavo facendo il mio lavoro.

Ti è mai capitato dopo un tuo articolo di essere frainteso?

È capitato. Capita. E capiterà. Come capita sempre, nella quotidianità, di essere fraintesi. Fa parte della vita.

La libertà d’informazione dove sta di casa?

Sono domande difficili. Io mi sento libero. Sono libero. E non mi stancherò mai di gridarlo. Ma se lo sono, devo ringraziare i miei colleghi di Repubblica e soprattutto i miei capi. Perché se posso esprimermi liberamente, è soprattutto grazie a loro. Quest’avventura, chiamiamola così, mi ha lasciato anche qualcosa di positivo, come la vicinanza e la solidarietà di tante persone. E permettimi di citare qualcuno, partendo da Massimo Norrito (una grande persona, che, più volte, quando stavo per mollare, mi ha preso per le orecchie e per i capelli) e Marco Patucchi, fino all’intera redazione di Repubblica. Ma devo anche ringraziare Assostampa, da Sergio Magazzù a Giuseppe Rizzuto, passando per Valerio Tripi, Claudia Brunetto, Tiziana Tavella e Roberto Leone. Persone eccezionali. Anche a Messina, in tanti, mi sono stati vicini. In tantissimi, invece, mi hanno ignorato e hanno ignorato ciò che mi è successo. Compresi tanti organi d’informazione. In tanti, addirittura, hanno preso le distanze. Altri, invece, mi hanno dato una carezza e mi sono stati vicino, come TCF, Tempostretto, 98 Zero, Messina Sportiva e Letteraemme. E ringrazio Pietro Di Paola, Marco Olivieri, Benedetto Orti Tullo, Francesco Straface e Alessio Caspanello. E la mia amica Sonia Sabatino. Ma ci sono stati anche tanti aspetti negativi. Penso alla preoccupazione dei miei genitori e di mia sorella. Ma anche alla mia. Le forze dell’ordine dovrebbero trasmettere sicurezza. Io, invece, mi sono sentito inquisito e giudicato. Mi hanno fatto sentire davvero un “pluripregiudicato”.

Di solito, si abbassa la bontà dell’informazione, dell’etica, per rendere le persone più manipolabili. Che ne pensi?

È vero, ma fortunatamente questa cosa non mi tocca. Ho avuto ottimi maestri di vita e punti di riferimento eccezionali, come mia nonna. Non manipolo nessuno e non mi faccio manipolare. Cerco solo di raccontare. E provo a farlo nel migliore dei modi.

Se dovessi spiegare a un ragazzino la mafia, che cosa gli diresti?

Non non mi limiterei certo a raccontare le storie di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. O di Peppino Impastato e Graziella Campagna. Gli spiegherei che non bisognerebbe mai girarsi dall’altra parte, piuttosto. E che bisogna rispettare le idee altrui e le vite di tutti. Direi loro di leggere tanto e informarsi. Di essere onesti e leali e di non cercare mai scorciatoie.

L’attualità ci racconta che le istituzioni, spesso, non sono state così rigide nel combattere il crimine: dalla politica alla sanità, dall’antimafia di facciata alle stesse forze di polizia: possibile che non esistono gli anticorpi?

Non esistono, purtroppo. Uno scandalo tira l’altro. Un illecito tira l’altro. È un problema italiano, ma prevalentemente siciliano. Basti vedere l’ennesima bufera che ha travolto l’università di Messina. O il concorso del corpo forestale della regione siciliana. E proprio per i miei articoli relativi alle vicende universitarie, tra l’altro, mi sono piovute due diffide, con richieste di risarcimento milionarie. E velate minacce.

Non ho mai compreso il motivo per il quale chi scrive storie di criminalità deve avere la benedizione dei soliti noti, altrimenti è lettera morta. Davvero siamo diventati così cinici e opportunisti da non vedere il valore delle idee, del merito?

Non si fa il proprio dovere affinché qualcuno ci dica grazie. Anche se farebbe piacere. Ma non è mai così, purtroppo.

I magistrati, quando vanno in televisione, si dicono preoccupati per la cosiddetta “zona grigia”: come si distingue il confine tra la paura e la convenienza?

Chi fa bene il proprio lavoro non ha tempo per andare in televisione. O comunque, ridurrebbe le sue presenze per dire cose davvero importanti. Forse, bisognerebbe tornare a questa fase. O almeno, io penso questo.

C’è il rischio che questo screditi la parte sana?

Chi fa il proprio dovere, sa che deve aspettarsi tutto. Anche l’ingratitudine. La parte sana se ne frega e basta, se può.

Da giornalista impegnato, mi spieghi perché ogni vicenda che parla di mafia, dai pentimenti alle rivelazioni, si tinge di giallo? Ma la verità non ci rende liberi? Come dice Gesù Cristo.

La verità non è sempre rivoluzionaria, diceva qualcuno. La verità ci renderebbe liberi se tutti l’apprezzassimo. Si tinge di giallo? Questo non lo so. Io ti posso dire che ogni umile cronista di paese ha il dovere di fare questo mestiere con dignità. Se no, è meglio posare il tesserino nella vetrina del salone di casa. Io non mi ritengo un giornalista “impegnato”, ma onesto e appassionato. E questo credo che possa bastare.

Per chi scrive di cronaca, il bello e il buono esistono ancora? O bisogna abituarsi al grigio e al buio?

Il bello esiste. O almeno, voglio sforzarmi di vederlo. Ma il buio, a volte, per quanto mi riguarda, è dominante. Purtroppo. Io non voglio abituarmi al grigio, anche se a volte mi sento circondato dal grigio. Facciamo un mestiere difficile, ma bellissimo. Fino a pochi mesi fa ero convinto di essere solo e attorno a me vedevo solo buio e ombre. Oggi, da questa vicenda, ne esco più forte. E a testa alta. E non importa se a Messina più di qualche collega si è mostrato indifferente, o addirittura ha messo in dubbio l’accaduto, o mi ha accusato di aver cavalcato l’onda. Non m’interessa di cosa pensano gli altri. Vado avanti per la mia strada. E ringrazio i tanti amici che mi stanno manifestando affetto e tutte le persone che mi vogliono bene. Potevo stare in silenzio e tornare a casa. E invece, ho scelto di denunciare pubblicamente ciò che mi è accaduto. Adesso ho un solo obiettivo: migliorarmi e studiare, giorno dopo giorno. E alzare costantemente l’asticella. Senza paura. E ringrazio chi, un giorno, mentre stavo male, mi ha urlato, dicendomi: “Ma tu che mestiere fai? Svegliati!”. Quella persona è la mia amica Claudia Benassai. È anche e soprattutto “colpa” sua se faccio questo mestiere!