La fine della povertà è una cosa seria, molto seria

La fine della povertà. Questa la stranota frase del ministro dello Sviluppo Economico, Luigi Di Maio, quando è stata approvata la norma che ha stabilito il reddito di cittadinanza. Frase su cui abbiamo letto di tutto, grazie anche al contesto dell’altrettanto stranoto balcone dove il nostro ministro si è affacciato per salutare e ringraziare chi lo reclamava.

Si tratta della elargizione di grossomodo 780 euro al mese per chi non ha un lavoro. Tempi e modi – a parte gli aspetti folkloristici tipo “solo acquisti di prodotti italiani” o “non saranno consentiti acquisti immorali” – non sono ancora ben definiti, ma nel mondo ci sono esempi ed esempi a cui guardare per capire come poter fare, e anche meglio, per esempio, di Germania, Olanda, Gran Bretagna, etc..

Ma non è questo che ci interessa specificatamente.

Noi come sempre cerchiamo di guardare più avanti, soprattutto su durabilità, ricaduta e sviluppo di certe scelte politiche.

Qual è la scelta politica alla base del provvedimento? E’ nello slogan del nostro ministro: “La fine della povertà”. Urka! Dopo millenni e millenni di persone morte per povertà, il nostro Paese può vantare la formula che avrebbe sconfitto questo flagello. Cambiando alla base la testa, le politiche e i fatti (anche oggettivi, tipo disastri cosiddetti naturali) che sono forieri di povertà? No, ovviamente. Mai compito sarebbe stato più arduo, difficile e – stante il nostro secolo e il nostro millennio – impossibile.

Proprio oggi è stato pubblicato un rapporto della Banca Mondiale che fa il punto in merito. Sullo stato dell’arte rispetto a un obiettivo che la stessa istituzione internazionale si è data da lungo tempo: mettere fine all’estrema povertà entro il 2030. Obiettivo di dubbio risultato, visto che questo rapporto arriva alla conclusione che gli stessi Paesi che dovrebbero investire sul capitale umano rappresentato dalla propria popolazione, non lo stanno facendo con quei minimi necessari su cui si erano impegnati. La Banca Mondiale si riferisce ad investimenti sul capitale umano, cioè che portino a far creare capitale da parte degli individui che ne vengono coinvolti.

Un metodo che dovrebbe attrarre meglio anche i grandi capitali, la cui preoccupazione principale, quando si pronunciano sui vari budget degli Stati, è di guardare agli investimenti più che all’assistenza. Ma che batte il passo, visto che anche questi grandi capitali, e i vari loro servitori in questo o quell’altro Stato, sembra che non abbiano capacità i guardare oltre il proprio naso: piuttosto che investimenti, per esempio, sull’educazione e sulla sanità degli individui, preferiscono quelli sulle infrastrutture; i primi sono a lunga gittata e a breve non si possono vedere risultati tangibili di capitalizzazione, i secondi – invece – vengono giudicati di più immediata capitalizzazione.

Un suicidio, a nostro avviso visto ché, per esempio, se un ingegnere non è bravo e disponibile e diffuso, non è escluso che le opere da lui progettate siano più a rischio deterioramento, e quindi maggiori costi, fino all’estremo del crollo (ponte Morandi di Genova, docet).

Questa è la fotografia di cio’ che nel mondo (in parallelo e in collaborazione con le varie politiche ONU in materia) viene fatto per far fronte alla povertà.

Chissà cosa avranno pensato (ammesso che si siano accorti del provvedimento nostrano) della soluzione che il nostro governo e il nostro Parlamento hanno trovato per la “fine della povertà” nello stivale italiano. Gli acquisti di prodotti made in Italy, di quelli solo morali, il contesto di molto bassi investimenti per lo sviluppo in cui il provvedimento si è inserito, la pletora delle polemiche legate al fatto che i poveri che non dovrebbero più esser tali sono anche rom ed immigrati del Terzo e Quarto mondo (economici e rifugiati)… insomma la povertà è una cosa seria, come seri debbono esseri i provvedimenti per affrontarla.

Lo sa questo il nostro ministro dello Sviluppo Economico? Sembra di no. E sembra anche goda nell’essere sommerso da critiche, più o meno burlesche, che lo seguono quando si dedica a queste performance, siano esse dai balconi che baciando il sangue di San Gennaro.

Vincenzo Donvito, presidente Aduc