Senza cibo non c’è democrazia. 2,6 milioni le persone costrette addirittura a chiedere aiuto per mangiare

ANDREA FILLORAMO

Oggi la povertà è la grande urgenza del Paese, che rischia di farci precipitare rapidamente in uno scenario che pensavamo essere relegato al passato e ad altre aree geografiche: quello della fame.

Stando a una nota Coldiretti, attualmente sarebbero, infatti, “2,6 milioni le persone costrette addirittura a chiedere aiuto per mangiare” e aumentano ogni giorno di più.

Certo non siamo come in un paese in via di sviluppo, ma condizioni economiche, struttura dei costi di produzione e quindi aumento dei prezzi, effetti della pandemia prima e adesso della crisi internazionale, hanno concorso tutti a creare e far crescere, un’area di popolazione che non riesce a mettere insieme il pranzo con la cena. Paradossi di un paese sviluppato (non completamente) e moderno ma pieno di contraddizioni.

E’ questo un dramma che si sta consumando sotto i nostri occhi che spesso chiudiamo per non sentirci schiacciati dalla sensazione di non poter fare proprio nulla. Subiamo, perciò tutti il disturbo di depersonalizzazione/derealizzazione, caratterizzato da una persistente o ricorrente sensazione di scollegamento dal proprio corpo o dai propri processi mentali, come se si stesse osservando la propria vita dall’esterno (depersonalizzazione), e/o dalla sensazione di essere dissociato dall’ambiente circostante (derealizzazione).

Aspettiamo un progetto serio ed efficace, che non può venire dal cielo, per il superamento di questo momento tragico che rischia di portare immancabilmente alla miseria.

Ci chiediamo: a più di quattro mesi dal suo insediamento, il governo Meloni cosa ha  fatto per affrontare questo  gravissimo problema, che dovrebbe antecedere nell’affrontarlo e nel risolverlo tutti gli altri problemi?

Diciamolo con chiarezza: poco o nulla.

Se consultiamo la Legge di bilancio, infatti, abbiamo l’impressione che in essa si colpevolizzino e si colpiscano i più poveri, si accresca e non si contrasti la precarietà, non  si riduca il divario di genere, non si aumentano di un solo euro gli stipendi, ma si premiano gli evasori e, con la flat tax,  aumenti l’iniquità del sistema fiscale, non si intervenga strutturalmente sulla pandemia salariale che sta impoverendo tutte le persone che per vivere devono poter lavorare dignitosamente.

Se poi cerchiamo di vedere come si impiegano le risorse disponibili, notiamo subito che diminuiscono le risorse necessarie per sostenere la sanità, la scuola ed il trasporto pubblico, non si stanziano adeguate risorse per i rinnovi contrattuali dei pubblici dipendenti, si mortifica il ruolo del lavoro pubblico e si cambia senza alcun confronto preventivo il meccanismo di indicizzazione delle pensioni in essere.

Eppure la Meloni , nel fare il resoconto dei primi 100 giorni del suo governo, ha asserito  che  sostanzialmente tutto procede bene, che tutti i problemi dell’Italia si stanno avviando alla soluzione e, infine, di ripromettersi di fare, nei cinque anni  della legislatura, quel che resterà da fare per attuare quanto promesso nella campagna elettorale.

Non tiene conto la Signora che dinnanzi alla gente che muore di fame, non c’è più tempo da perdere e non si può assolutamente aspettare neppure un giorno: majora premunt. Occorre, quindi, rimandare ad altri tempi le prese di posizione ideologico-politiche dentro e fuori dal parlamento, evitare gli attacchi inusitati e calunniosi all’opposizione come quelle fatte dal sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro Delle Vedove, e dal vicepresidente del Copasir, Giovanni Donzelli, due fedelissimi della premier, il primo plenipotenziario di Fdi a via Arenula, il secondo numero uno di fatto del partito che, come è noto, qualche bega interna la sta passando. 

Occorre concentrarsi totalmente sul tema pratico della povertà, trovando le risorse necessarie, togliendole magari ai ricchi che occupano anche gli scranni  del parlamento, per dare la possibilità a chi non ha nulla o ha troppo poco per assicurare almeno due pasti al giorno e assicurare un lavoro a chi adesso non l’ha o rischia di perderlo, perdendo anche il credito di cittadinanza che presto scomparirà senza sapere fino ad oggi se e da che cosa sarà sostituito.

Certo che il governo non può fare da solo e, quindi, senza il consenso del parlamento dove sono da evitare  in ogni caso le risse, ma cercando sempre e pur nella dialettica delle posizioni, la concordia.

A tal proposito è importante evidenziare che la concordia in un sistema democratico è necessaria, anzi indispensabile per governare ed è assurdo promuovere il bellum omnium contra onnes, cioè la guerra di tutti contro tutti, come fino ad oggi si è fatto. Ciò, però, non significa rinunciare alle proprie idee.

Cos’è infatti una società politica se non l’impresa di ricerca di una concordia sociale che neutralizzi il potenziale asociale della discordia?

Ciò ce lo insegna l’antica Grecia per la quale la concordia era considerata come la condizione di possibilità di tutte le aggregazioni sociali, dalla famiglia alla polis e da questa a tutto il mondo ellenico.

Senza di essa non era possibile la vita associata e la stessa salvezza delle città greche.

Si ha notizia certa che all’inizio del IV secolo a.C. Gorgia da Lentini tenne un famoso discorso inaugurale delle feste di Zeus ad Olimpia, dedicandolo alla concordia.

Sulla sua scia lo stesso fecero altri oratori negli anni successivi, quali ad esempio Lisia e Isocrate, sicché la concordia divenne il tema dominante di queste feste panelleniche, per superare le divisioni interne (stasis) e per meglio affrontare la guerra (polemos) con i nemici barbari.

Ricordiamo, però, che se la democrazia moderna affonda le sue radici in quella nata nella polis greca, rispetto ad essa presenta di fatto caratteristiche molto diverse.

Dove, infatti, la Democrazia degli Antichi si basava sul totale assorbimento dell’individuo nella figura del cittadino, sulla partecipazione diretta ed eguale di tutti (esclusi schiavi, stranieri e donne) all’attività politica, tramite meccanismi di sorteggio e rotazione, e con esiti spesso violenti,  alla  Democrazia dei Moderni prendono parte tutti e per questo non può  avere esiti violenti, in quanto è una democrazia rappresentativa, fondata sulla partecipazione di tutti alla gestione della cosa pubblica attraverso la libera elezione di rappresentanti, fondata sul rispetto della Costituzione come limite all’autorità del governo e garanzia dello stato di diritto, e sul riconoscimento e garanzia di diritti fondamentali naturali e libertà individuali.