Ponte sullo Stretto: un altro Ponte dei Sospiri

La prima domanda che bisogna porsi è se il Ponte sullo Stretto, o un attraversamento stabile qualsiasi, sia utile.

Il Ponte soddisfa, come tutti i ponti, due tipi di traffico: locale, in questo caso tra Reggio Calabria (200.000 abitanti) e Messina (240.000 abitanti), e di lunga distanza, ad esempio, tra Roma e Palermo.

Il traffico locale.

Il traffico locale è attualmente servito da navi veloci che in 20-30 minuti attraversano lo Stretto con partenze ogni 40 minuti. Purtroppo, il trasporto pubblico a terra è insoddisfacente e non esiste alcuna integrazione. I passeggeri, spesso pendolari, sono costretti a fare tre abbonamenti o tre biglietti diversi.

In attesa del Ponte dei Sospiri, si potrebbero intanto risolvere questi disservizi. Il Ponte però, una volta costruito, servirebbe molto male il traffico locale. Gli abitanti dello Stretto, per utilizzarlo, tra Reggio Calabria e Messina, dovrebbero fare un lungo giro di oltre 30 km, con l’effetto negativo di incentivare l’uso del mezzo proprio in un’area già oggi in condizioni critiche per il traffico.

Il traffico di lunga distanza.

Il traffico di lunga distanza oggi è servito dal trasporto aereo che con 1 ora di viaggio collega Roma a Palermo. Se si vuole l’alternativa ecologica, ci sono i traghetti tra Napoli e Palermo: si può partire la sera e arrivare la mattina, circa 9 ore, un viaggio confortevole e rilassante, in una comoda cabina, potendo portare anche la propria auto.

La ferrovia, la seconda alternativa ecologica, impiega circa 11 ore. L’Alta Velocità (AV), prolungata da Salerno a Reggio Calabria, come prevede il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), è dal punto di vista trasportistico e economico ingiustificabile e non è sicuramente una priorità nazionale.

I pendolari dei Castelli Romani (Roma), con circa mezzo milione di abitanti, vanno al lavoro, ancora, con le ferrovie a binario unico di Pio IX, costruite 160 anni fa.

L’AV si giustifica se c’è il Ponte.

Così le due opere, gigantesche e ingiustificate, si sostengono mutualmente: Alta Velocità fino a Palermo e Ponte sullo Stretto.

L’ultima alternativa, la meno ecologica e la più pericolosa, è il percorso Roma – Palermo via strada, con passaggio al traghetto Reggio Calabria – Messina.  Un percorso di circa 900 km e 10 ore di viaggio; il Ponte farebbe risparmiare circa 1 ora.

Se poi, invece da Roma, si volesse partire da Milano ci sono 1500 km e 15 ore di viaggio, problematici da fare in automobile in una sola tappa.

Quanto scritto possiamo trasferirlo al settore merci. Le navi traghetto, Palermo – Napoli, sono un ottimo modo di trasporto, che riducono di un decimo l’emissione di CO2 rispetto alla strada, grazie alla minore distanza, 300 km via mare contro 700 via terra, e alla maggiore efficienza energetica del trasporto marittimo.

Rapporto costi/benefici. 9 miliardi.

Ovviamente, nella situazione attuale, ci sono dei momenti di congestione in sede locale. Quando mi occupai, in uno degli innumerevoli gruppi di lavoro (GdL), del Ponte, all’inizio degli anni ’80, rilevai che solo nel periodo estivo, ad agosto, ci sono circa 5 giorni nei quali, per imbarcarsi sui traghetti, occorreva fare la fila in entrambe le direzioni. Si perdevano 1-2 ore.

In quella occasione, gli economisti del gruppo concordarono che il Ponte non era giustificato dal rapporto costi/benefici, e conclusero che era un’opera solo per l’immagine dell’Italia, da rappresentare nel mondo, intesa come costruttore del Ponte da Guinness dei primati,  con la campata più lunga e in una zona altamente sismica, che collega la Sicilia, con i suoi 5 milioni di abitanti al resto del Paese.

In un successivo ennesimo studio del Ponte, nel 2010, il costo fu stimato in circa 9 miliardi di euro che, come per tutte le grandi opere potrebbe crescere fino a raddoppiare.

Da rilevare l’adempimento  alle 35 prescrizioni di carattere tecnico e ambientale, richieste nel parere della Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) e dal Comitato interministeriale per la Programmazione Economica (CIPE), per un’opera imponente in un’area particolarmente vulnerabile, per i rischi sismici e idrogeologici, e per mitigare gli impatti su una delle aree a più alta biodiversità del Mediterraneo, con 12 siti delle Rete Natura 2000, tutelati dall’Europa, ai sensi delle Direttive Habitat e Uccelli.

Anche nel 2010 emerse che il Ponte non era economicamente giustificato, perché i traffici ferroviari e stradali stimati erano modesti.

Ma allora perché continuiamo a parlarne?

L’ultimo studio.

La cifra elevata, e adesso anche indeterminata, di per sé attira una schiera vasta di amministratori, politici, cittadini, imprese di costruzione, economisti, ingegneri, professori, esperti e professionisti vari.

Il governo Conte, sollecitato dai sostenitori del Ponte, ha nominato una commissione o Gruppo di Lavoro (GdL) per lo studio dell’attraversamento stabile dello Stretto (la denominazione generica è dovuta al fatto che dopo decenni ancora si discute se sia un ponte, un tunnel o qualcos’altro) e ha terminato i suoi lavori concludendo con la proposta di un Ponte a tre campate, il che azzera la progettazione precedente.

Dopo anni si ritorna al punto di partenza.

Richiama alla memoria le fatiche di Sisifo che, per aver ripetutamente deriso gli dei, fu condannato per l’eternità a spingere un enorme masso sulla vetta di un monte, destinato a rotolare di nuovo non appena raggiunta la cima.

Spese successive.

L’attenzione è anche per il dopo.

Il Ponte, considerando che il Golden Gate di S. Francisco costa annualmente 65 milioni di dollari e impiega 1800 persone, richiederà un forte e permanente sostegno finanziario da parte dello Stato, cioè dei contribuenti, visto lo scarso traffico stimato da più studi. D’altra parte, anche l’Eurotunnel della Manica è stato economicamente e finanziariamente un fiasco e conta sul sostegno dei governi per gestire gli enormi debiti accumulati.

Sviluppo economico.

Il Ponte è presentato da diversi economisti come un importante fattore di aumento della produttività e di crescita economica per la riduzione della marginalità geografica dell’area dello Stretto e di tutta la Sicilia, ma non è vero che la marginalità geografica ha un impatto significativo sulla crescita economica.

La riduzione dei costi di trasporto e la rivoluzione delle tecnologie dell’informazione e comunicazione hanno ridotto, non annullato, l’importanza della prossimità e questo spiega la corsa alla delocalizzazione, delle aziende anche italiane in paesi molto distanti, e la frammentazione delle catene logistiche. Nel caso dell’Eurotunnel, si sono avuti solo piccoli impatti positivi ma difficili da identificare come direttamente attribuibili all’opera.

Se si vuole lo sviluppo economico, altri fattori sono importanti. La struttura e la composizione dei mercati del lavoro, le competenze della forza lavoro, la disponibilità di aree attrezzate, la disponibilità di incentivi per investimenti, la presenza di capacità imprenditoriali, la qualità dell’ambiente, le conoscenze e l’informazione. Gli investimenti nelle infrastrutture di trasporto possono potenziare questi fattori ma non sostituirli.

La scarsa produttività e capacità di crescere dell’Italia e in particolare del Meridione non dipende dalla mancanza dell’AV, di ponti e strade, sarebbe relativamente facile provvedere se fosse così, ma da quattro principali debolezze strutturali, che ci distinguono dagli altri paesi europei:

  1. La difficoltà di fare impresa, la frammentazione del tessuto produttivo con un’eccessiva presenza di piccole e medie imprese di proprietà familiare, incapaci di investire in innovazione, la specializzazione verso produzioni tradizionali a basso contenuto tecnologico.
  2. La spesa in ricerca e sviluppo, le competenze e le tecnologie digitali, l’uso di servizi internet e la connettività.
  3. Il numero di laureati e il disallineamento fra i percorsi di studio scelti e le richieste del mercato del lavoro.
  4. Il settore pubblico incapace da tempo di incrementare il suo valore aggiunto, l’inefficienza della pubblica amministrazione e della giustizia.

 

Il PNRR ribadisce che

“la difficoltà dell’economia italiana di tenere il passo con gli altri paesi avanzati europei e di correggere i suoi squilibri sociali ed ambientali, è dovuta all’andamento della produttività, molto più lento in Italia che nel resto d’Europa. Dal 1999 al 2019, il Pil per ora lavorata in Italia è cresciuto del 4,2 per cento, mentre in Francia e Germania è aumentato rispettivamente del 21,2 e del 21,3 per cento. La produttività totale dei fattori, un indicatore che misura il grado di efficienza complessivo di un’economia, è diminuita del 6,2 per cento tra il 2001 e il 2019, a fronte di un generale aumento a livello europeo.”

É l’occasione per un percorso di crescita economica sostenibile e duraturo, rimuovendo le debolezze strutturali che hanno fortemente compromesso la crescita negli ultimi decenni, lasciando perdere la suggestione delle grandi, costose e inutili, infrastrutture di trasporto.

Francesco Filippi, collaboratore Aduc, già Professore di Trasporti e Logistica presso Università degli Studi di Roma, La Sapienza