PONTE SI’, PONTE NO: CARA GIORGIA MELONI ASCOLTA LA CITTA’

W l’Italia! Lo scontro per il Ponte sullo Stretto è appena iniziato. Per il loro piacere, ognuno cerca la sua Waterloo. Pensare una città significa percorrerla, ripercorrerla, evocare ciò che vi si è vissuto. O individuare le tracce del suo passato. Non a caso c’è solo un posto che tutto il mondo ci invidia e quel posto è Capo Peloro, Torre Faro – Messina.

Non so se capita anche a voi che più andate avanti e più vi importa del senso delle cose, un po’ come quando eravamo giovani, romantici e rivoluzionari. C’è tutto un percorso in cui siamo stati invasi da parole forti: legalità, diritti civili, ambiente, salvaguardia del territorio, stop al cemento. Di questi argomenti e di tanti altri ci siamo cibati per lungo tempo. E poi avevamo il mare, il sapore dell’avventura, lo Stretto di Messina che tutto il mondo ci invidiava. C’è tutto un pezzo di vita: studiare, lavorare, crescere in fretta in una città che anno dopo anno buttava nel cesso opportunità, speranze, finanziamenti per opere pubbliche. Dovevamo essere ricchi e oggi ci ritroviamo praticamente in braghe di tela. D’accordo, gli errori nel nostro Belpaese li hanno fatto un po’ tutti: ma noi messinesi davvero esageriamo. Possiamo dire che è la nostra specialità gettare nel cesso soldi, progetti, speranze.
Ogni volta che la realtà esibisce immagini agghiaccianti di Messina sorge il dubbio se sia legittimo o meno difendere il trauma di una comunità votata al masochismo. Che si lamenta quotidianamente ma alla fine si consegna ai suoi carnefici di sempre.
Quanti progetti e programmi elettorali ancora oggi finiscono a “tarallucci e vino”, insaporiti di magra consolazione che “tutto sommato le cose vanno bene”!
Purtroppo la nostra classe dirigente non sa che cosa sia una parola d’onore. Al giorno d’oggi è un gesto creativo. Si può usare per suggellare un accordo o la si può trasformare in una burla. Ma può essere anche un biglietto da visita, un simbolo, un gesto, ma pure una minaccia. Come l’idea del Ponte sullo Stretto che per il momento garantisce il tutto esaurito in platea. Quasi fosse uno spettacolo d’intrattenimento: ci sono attori bravissimi a calarsi nei panni degli altri sul palco e pessimi a empatizzare nella vita quotidiana con Noi.

Nessuno che si chieda che cosa vuole, sul serio, la comunità.

Pensare una città significa viverla, ascoltarla, aiutarla. Qui non si tratta di fazioni, di stare da una parte o dall’altra, di stabilire chi abbia ragione, in una guerra di religione, tra ambiente e cemento. Si tratta di arginare la devastazione di un territorio, di una comunità. Se non si può dire questo significa che siamo peggio che all’inferno.

Abbiamo lo Stretto sì, tanta bellezza…ma tanto dolore.