PRETI & VANITA’: sui social network con foto e video è un desiderio spinto da un bisogno associato all’approvazione sociale

di ANDREA FILLORAMO

Rispondo a una lettrice di IMG Press che, in un’email, scrive :“non c’è giorno in cui il parroco della Parrocchia………non inonda  Facebook e altri social, con foto e  video, in cui, ora egli  è vestito con paramenti sacri, ora con la talare con bottoni rossi da monsignore ed è sempre allegro e sorridente. E’ questo effetto del clericalismo di cui parla Papa Francesco?

 

Apparire sui social network con foto e video è spesso un desiderio spinto da un bisogno associato all’approvazione sociale, al voler essere accettati e spalleggiati dagli altri, oppure a mostrare quanto si è belli, simpatici e sorridenti. Tuttavia  quelle foto e quei video, che di per sé sono reali, spesso non mostrano la realtà, ma solo parte di essa, perché la giornata ha 24 ore ed è impossibile che si sorrida così a lungo. Eppoi, nessuno è interessato del sorriso degli altri anche se gli altri indossano paramenti o sono monsignori.

 Questa è la considerazione che vale per tutti coloro che si servono dei social per farsi vedere, presentarsi allo sguardo degli altri in un desiderio inconscio o conscio e talvolta ipocrita di esibizione.

Può, quindi, valere anche, per quel parroco, sul quale, non conoscendolo, non esprimo alcun parere. Che sia, poi, quello l’effetto del clericalismo è molto difficile dimostrarlo e non so se si può trovare un nesso, ma, in ogni caso, quel comportamento potrebbe discendere  da una  mentalità clericale.

Mi limito, pertanto, a chiarire il concetto che sta particolarmente a cuore a Papa Francesco che invita a prevenire, contrastare e superare nella Chiesa  il clericalismo che, come egli afferma, è il  «brutto male che ha radici antiche» (meditazione mattutina del 13 dicembre 2016); è il «modo anomalo di intendere l’autorità nella Chiesa»; è «l’atteggiamento che non solo annulla la personalità dei cristiani, ma tende anche a sminuire e a sottovalutare la grazia battesimale»;sfocia negli abusi sessuali e nella pedofilia nella Chiesa “(Lettera al popolo di Dio del 20 agosto 2018). Sarebbe lungo il commento e, quindi, l’approfondimento di queste definizioni.

Diciamo soltanto che il clericalismo è, per il Papa una malattia cronica di cui soffre il cristianesimo dalla fine del secondo secolo dell’era cristiana, quando sono state  introdotte e reiterate in seno al “popolo di Dio” le categorie della separazione (clero/laici, uomini/donne), della gerarchizzazione, dell’emarginazione della donna e della sacralizzazione di una persona mediante l’imposizione delle mani, che crea le condizioni per sentirsi parte di una casta (quella “sacerdotale”), detentrice di competenze e di attribuzioni esclusive ed escludenti.

Il carattere sistemico di quello che papa Francesco denuncia come «un modo non evangelico» di concepire il ruolo ecclesiale del presbitero (discorso del 6 ottobre 2018 ai pellegrini della Chiesa greco-cattolica slovacca) o come «una caricatura e una perversione del ministero» del vescovo” (discorso del 24 gennaio 2019 ai vescovi centroamericani), ovvero ancora come «un pericolo dal quale devono guardarsi anche i diaconi» (discorso del 25 marzo 2017 ai preti e ai consacrati in occasione della visita apostolica a Milano), “viene sviscerato percorrendo dapprima la storia dei primi secoli della Chiesa”.

All’origine del clericalismo vi è, dunque, un processo di sacralizzazione della funzione del presbiterato che, a partire dalla fine del terzo secolo, la Chiesa nascente ha mutuato dalle strutture centralizzatrici della tribù giudaica dei Leviti.

Da allora il ceto sacerdotale, di cui non si fa cenno nei Vangeli, ha costituito una casta depositaria di poteri divini implicante una differenza non solo di grado, ma di natura tra il clero e i laici. Rispetto alla generalità delle persone battezzate, il clero è diventato, così, depositario di una superiorità religiosa derivante dal sacramento dell’Ordine.

Leggendo, però, i testi delle origini cristiane, ci si può rendere conto che nessun apostolo e nessun’altra persona si separa dalla comunità in virtù di un carattere sacro, o si comporta in quanto ministro di un culto nuovo o compie atti specificamente rituali. Non c’è alcuna distinzione tra persone consacrate e non consacrate… Non ci sono spazi occupati da un’istituzione sacerdotale.

È quanto emerge non solo dalle Scritture ma anche dal Concilio Vaticano II che ha affermato in modo autorevole: prima del ministero ordinato, prima cioè del «sacerdozio ministeriale» del vescovo, del presbitero e del diacono, vi è la condizione comune di tutti i credenti in virtù del battesimo, significativamente definita «sacerdozio comune».

Ed è ciò che, purtroppo, a livello pratico e diffuso, per il momento non pare essere stato recepito dalla Chiesa, anche se fa ben sperare l’insistenza di papa Francesco nel rimettere al centro il battesimo come base ineludibile della vita cristiana.

Detto in altri termini con riferimento al presbiterato, è dal battesimo che si origina non il “potere” su una comunità di credenti, ma il “servizio” ad essa.

Il sacramento dell’ordine non sacralizza la persona sulla quale vengono imposte le mani, ma ne radicalizza piuttosto la vocazione battesimale.