L’Italia è il secondo paese più islamofobo d’Europa

“Il futuro del mondo è in pericolo – recita il documento conciliare Gaudium et Spes – a meno che non vengano suscitati uomini più saggi”. Secondo il preambolo della “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo” questo compito un po’ misterioso appartiene a tutti gli individui e tutti gli organi della società…

 

di ANDREA FILLORAMO
Grande confusione ed errori sul numero e sulle conseguenze della presenza degli immigrati e particolarmente di quelli di religione islamica in Italia. Non è vero che nel nostro paese, come si legge in qualche quotidiano il 30% della popolazione sia formata da immigrati; si tratta soltanto dell’8%, di cui i musulmani sono la metà cioè il 4%.

Altro che invasione, come alcuni amano affermare! Inaccettabile è poi considerare l’immigrazione degli islamici, la causa prossima di tutti i malesseri sociali ed economici italiani che con o senza gli emigrati ancora investirebbero la penisola italiana e non solo. Sono, pertanto, assurdi, e in ogni caso sarebbero assurdi i fenomeni di odio, intolleranza e xenofobia e razzismo, conseguenze di una cultura che si sta imponendo politicamente su molti.

Di tale cultura si è interessata la Commissione parlamentare “Jo Cox” istituita il 10 maggio 2016 con il compito di condurre attività di studio e ricerca su tali temi, anche attraverso lo svolgimento di audizioni. Cito testualmente uno stralcio della relazione prodotta dalla stessa Commissione che “dimostra – così in essa c’è scritto – l’esistenza di una piramide dell’odio alla cui base si pongono stereotipi, rappresentazioni false o fuorvianti, insulti, linguaggio ostile ‘normalizzato’”.

Abbiamo il coraggio di dirlo: secondo un’indagine internazionale (PEW) l’Italia è il secondo paese più islamofobo d’Europa. L’odio religioso si combina con quello contro i migranti, ma ha anche una sua consistenza autonoma. Il quadro generale che ne emerge è quello di un Paese che troppo spesso cede agli stereotipi nei confronti del “diverso”. Secondo quest’indagine, infatti, il 48,7% degli intervistati ritiene che, in condizione di scarsità di lavoro, i datori di lavoro dovrebbero dare la precedenza agli italiani; il 35% pensa che gli immigrati tolgano lavoro agli italiani.

E ancora: il 65% degli italiani contro il 21% dei tedeschi, pensa che i rifugiati siano un peso perché godono dei benefits sociali e del lavoro degli abitanti, mentre il 59% in Germania pensa che rendano il Paese più forte con il lavoro e i loro talenti (solo il 31% in Italia). Condannare tali comportamenti, non vuol dire che non esista il problema dei limiti e dei controlli ai flussi migratori di quanti che per motivi bellici o per motivi economici, lasciano la propria terra, al quale (problema) quegli italiani fanno particolarmente riferimento, ma non sappiamo fino ad oggi come fare per arrestare il fiume in piena che giunge sulle coste del nostro Mediterraneo.

Valgono, in ogni caso, per tutti e non solo per gli italiani, i motivi umanitari che obbligano all’accoglienza sui quali non si può transigere o far finta di niente: non si devono e, quindi, non si possono far morire in mare bambini, donne e uomini. Purtroppo tutti, attraverso la visione di atti violenti visti continuamente in televisione, rischiamo di “desensibilizzarci”. Produciamo, cioè, una ridotta risposta alla violenza vista attraverso lo schermo, che modifica la nostra percezione delle azioni proprie e degli altri.

L’esposizione ripetuta a tali immagini ci porta ad abituarci a queste scene fino a non avvertire sensazioni di disgusto. Recupero qui il concetto di “ignoranza emotiva” per definire la condizione di quella considerevole fetta di teledipendenti, che con l’andare del tempo considerano estranei da sé i sentimenti, le emozioni e l’empatia.

Non far morire in mare o non condurre in un “porto sicuro” un uomo che rischia la vita se lasciato in balia del mare, è un principio etico e un principio di civiltà, nonché la dimostrazione più evidente che si è cristiani chiamati a testimoniare la fede. Lo sappiamo: I musulmani che vengono in Europa a cercare rifugio fanno fatica a integrarsi nella cultura occidentale. Per questo è importante aiutarli ad assimilare i valori dell’occidente, senza alcun compromesso.

Non è da sottovalutare il problema della compatibilità della cultura dei diritti umani con la concezione della vita, della donna, dello Stato in certe culture ispirate più o meno correttamente al Corano, di cui gli immigrati musulmani sono portatori. Concezioni di questo genere non sono conciliabili con la dignità della persona umana come la si intende nelle costituzioni occidentali.

In questo caso non si tratta di dichiarare impossibili la convivenza e il dialogo, ma di trovare forme che lo rendano possibile. L’integrazione è una prospettiva difficile, talvolta ingiusta, se pretende di portare i portatori di culture lontane dalla nostra, nei riguardi di valori che paiono loro in antitesi con quello che pensano giusto. Ciò che veramente occorre è che troviamo tutti il modo di integrarci in una umanità possibile, della quale nessuno conosce a priori tutte le chiavi.

“Il futuro del mondo è in pericolo – recita il documento conciliare Gaudium et Spes – a meno che non vengano suscitati uomini più saggi”. Secondo il preambolo della “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo” questo compito un po’ misterioso appartiene a tutti gli individui e tutti gli organi della società. Non si può presumere d’essere gli unici portatori della verità sull’uomo, ma non si può neppure nascondersi e rinunciare a testimoniare e a battersi per superare ostacoli e chiusure.