
In questi giorni due episodi che hanno coinvolto politici di sinistra hanno suscitato una mia reazione polemica. Il primo quello di Walter Veltroni che ha firmato un editoriale sul Corriere della Sera contro Trump (“Ma che fine ha fatto la serietà?”).
Alla domanda ha risposto Antonio Socci “È un titolo che qualcuno può facilmente ribaltare: ci si può chiedere “che fine ha fatto la serietà” anche quando si vedono persone, che sono state militanti e dirigenti del Pci al tempo dell’Urss, che oggi pretendono di insegnare la democrazia (anche agli americani)” (“Il partito erede del Pci di Togliatti non può pretendere di andare a Budapest a insegnare la democrazia agli ungheresi…”, 29.6.25, Libero.it) Infatti, Walter Veltroni è il leader più rappresentativo della sinistra. Nel 1970, al tempo di Breznev, si iscrisse alla Fgci, organizzazione giovanile del Pci, di cui diventò poi dirigente. Agiografo ufficiale di Enrico Berlinguer (che fu il pupillo e l’erede politico di Togliatti), Veltroni è stato direttore dell’Unità, vicepremier di Prodi, ministro della cultura, sindaco di Roma e il primo segretario del Pd, quello che sarà nel futuro non ci interessa.
Socci precisa sintetizzando qualche passaggio politico che ha caratterizzato il noto esponente della sinistra. Veltroni, era ancora orgogliosamente comunista nel 1989 e collaborava con il segretario del Pci, Achille Occhetto, che si dichiarava orgoglioso di essere comunista: “Il nome che portiamo non evoca soltanto una storia, ma richiama anche un futuro… Non si comprende perché cambiare nome. stato ed è un nome glorioso che fa rispettato”. Poi davanti al crollo del Muro di Berlino, corse precipitosamente ad annunciare il cambio del “nome glorioso”. “Ma cambiarono solo il nome sul campanello, non la classe dirigente, né la politica. Nessun rinnegamento di tutta la storia comunista. Nessuna autocritica”.
Una volta “scrollata la polvere del Muro continuano a rivendicare la superiorità morale della sinistra e ancora oggi stanno in cattedra a insegnare agli altri la serietà e la democrazia. Un fenomeno stupefacente”. Certo ognuno può fare quello che vuole della propria vita politica, anche chi ha seguito un’ideologia sanguinaria come quella comunista, ma se ora “pretendono di salire in cattedra per insegnare agli altri la democrazia e la serietà, senza mai aver condannato il comunismo del loro Pci, si ha il diritto chiedere “che fine ha fatto la serietà?”. L’altro episodio è quello che ha visto la segretaria del Pd che è andato al Gay Pride di Budapest per dare una lezione di democrazia al premier Viktor Orban. “Ovviamente Elly Schlein non ha fatto in tempo a iscriversi al Pci essendo nata nel 1985. Ma guida il Pd che è il partito erede (Berlusconi diceva: Pci/Pds/Ds/Pd), e ne è ben consapevole e fiera visto che, sulla tessera, ha voluto riprodurre l’immagine di Berlinguer, celebrando la continuità politica”.
Parlando di Ungheria a noi di Destra viene facile polemizzare con questa gente di sinistra, “La memoria storica pesa”, scrive Socci. “Gli ungheresi non dimenticano le loro tragedie”, a cominciare dalla rivolta popolare del 1956, quando i carri armati sovietici ha soffocato la rivoluzione democratica dei magiari. È notorio, almeno per noi di Destra, che il Pci, che era il più forte partito comunista d’occidente, legatissimo, in tutti i sensi, a Mosca, approvò entusiasticamente l’invasione. Togliatti scrisse sull’Unità che “una protesta contro l’Unione Sovietica avrebbe dovuto farsi se essa (…) non fosse intervenuta, e con tutta la sua forza, questa volta, per sbarrare la strada al terrore bianco e schiacciare il fascismo nell’uovo”. Questa terribile posizione del Pci è cosa nota. Quando è crollato il comunismo sono stati aperti gli archivi e si è scoperto anche altro.
Per esempio, il telegramma di Togliatti, del 30 ottobre 1956, che insisteva “su misure drastiche e violente” nei confronti dell’Ungheria. In pratica scrive Zaslavsky: “Togliatti sfruttava la sua posizione di leader comunista occidentale più autorevole e più ascoltato per spingere i sovietici verso l’invasione”. Pertanto, non solo il PCI approvò la feroce repressione del popolo ungherese, ma il suo leader “sollecitò l’intervento militare sovietico”. Questa è la storia e non si può ignorare.“A prescindere dall’attuale contesa sul Gay Pride, su cui ognuno può avere la sua idea, e a prescindere pure dall’ovvio diritto di chiunque di criticare il governo Orban, è giusto chiedersi se il partito erede del Pci abbia i titoli per dare lezioni di democrazia proprio agli ungheresi. Non ne sono sicurissimo”. In quanto erede del Pci, anzitutto avrebbe dovuto chiedere scusa agli ungheresi.
a cura di Domenico Bonvegna