L’IDENTITA’ DEI CONSERVATORI. PER UNA BATTAGLIA CULTURALE E POLITICA

Da qualche tempo in politica si discute di conservatorismo. Qualcuno risponde: finalmente era ora. E’ un tema molto caro in certi ambienti culturali e politici, soprattutto a Destra. Alleanza Cattolica, associazione cattolica attenta a questo tema, non si è lasciata sfuggire l’occasione, a maggio scorso ha organizzato un convegno a Roma, che ha visto la partecipazione di autorevoli studiosi e politici, e un altro ne ha organizzato nel mese di Ottobre a Napoli.

 A questo proposito Marco Invernizzi responsabile nazionale dell’associazione, segnala un interessante editoriale di Ernesto Galli della Loggia dal titolo: “Conservatorismo. Difendo l’idea di natura”, pubblicato sul Corriere della Sera del 3 settembre scorso.

Per Invernizzi si tratta di “Un importante editoriale dello storico romano potrebbe riaprire il discorso sull’esistenza di una “natura” e di una “storia” cui fare riferimento perché l’umanità non perda la propria identità”. (“Galli della Loggia e l’idea di natura”, 4.9.23, alleanzacattolica.org)

Lo storico-giornalista sostiene che i conservatori oggi hanno un’opportunità importante per non farsi passare come retrogradi interessati soltanto al passato. Infatti hanno di fronte un avversario, il progressismo, che a differenza delle grandi narrazioni ideologiche della modernità, l’illuminismo, il liberalismo e il socialismo, non promette un mondo ideale che superi le ingiustizie del presente, ma «mina l’idea che nei comportamenti sociali e nei rapporti fra gli esseri umani tra di loro vi sia qualcosa che possa dirsi davvero “naturale” e in questo senso “normale”». Così, continua Galli della Loggia, «il progressismo odierno getta le basi per il soggettivismo più radicale».

Pertanto, secondo Galli della Loggia per il progressismo «la natura sarebbe qualcosa da superare, un limite arcaico da gettarci dietro le spalle», per cui l’individuo diventa «la misura di tutte le cose», qualcosa di «onnipotente» che vanifica «qualunque “noi”».

Naturalmente il progressismo dominante, che altri chiamano ideologia woke, mette sul banco degli imputati la storia occidentale, tutto quello che finora è stato narrato sul nostro Occidente. Il passato è da cancellare, perchè è tradizione, e questo è qualcosa di inconcepibile per il progressismo, che vuole «guardare solo e sempre avanti perché da lì solo può venire la felicità, lì solo è ciò che è nuovo e buono, il progresso appunto».

L’editoriale di Galli della Loggia è importante per Invernizzi, e i motivi sono tanti, anzitutto “perché offre ai conservatori di oggi una via da perseguire, realisticamente, sia per la battaglia culturale che per quella politica: essi potrebbero avere la funzione di «un katéchon”, di qualcosa che trattiene da una deriva potenzialmente fuori dall’umano”. Inoltre è importante anche perché segna un discrimine nella cultura contemporanea. Infatti, nello stesso giorno in cui usciva l’editoriale di Galli della Loggia, Concita de Gregorio scriveva in prima pagina su Repubblica un articolo significativamente intitolatoFamiglie che si scelgono”, nel quale conclude così: «I legami di sangue ingannano. Lasciateli indietro, tenendoli sempre a mente certo, tanto loro tengono a mente voi, ma lasciateli andare – se potete. La famiglia si sceglie». Come dire che se qualsiasi legame è famiglia, quest’ultima non esiste.

Certo l’articolo provoca delle riflessioni profonde. Per certi versi, potrebbe allarmare chi ancora crede nella famiglia e si ostina a farla. Non solo potrebbe essere un monito  per quelli che di fronte a un mondo che sta crollando, hanno ancora voglia e coraggio di combattere per la verità sull’uomo.

Negli stessi giorni è uscito su atlanticoquotidiano.it, un interessante studio (Fabrizio Borasi, Alla radice della cultura woke c’è l’attacco alla civiltà della ragione, 4.9.23, atlanticoquotidiano.it) che può servire come un approfondimento del tema che sto affrontando. Borasi parte dal dibattito sulla maternità surrogata, che rappresenta lo specchio di una modifica radicale dei valori fondamentali sui quali da secoli si regge la civiltà occidentale. Pertanto è importante secondo lo studioso di atlantico, analizzare meglio i valori dalla cultura che via via viene definita politicamente corretta, postmodernista o woke, e cercare di capire in cosa essi si contrappongano a quelli tradizionali propri della società in cui viviamo.

Un primo attacco viene portato alla ragione.

Uno dei principali obiettivi della cultura che abbiamo citato è infatti proprio l’attacco ai concetti di “ragione” e di “ragionamento”, considerati espressione di un dominio (o di una “egemonia”) dei gruppi più forti (economici, razziali, sessisti, e culturali ecc.), dei concetti ritenuti quindi se non proprio da eliminare, certo da detronizzare rispetto alla posizione centrale da sempre occupata da essi nel pensiero e nella civiltà occidentali. Dei concetti, per usare il linguaggio postmoderno, da “decostruire”.

Borasi invita a fare uno sforzo per comprendere meglio i principi radicali della cultura woke che non deve limitarsi a segnalare le sue assurdità più evidenti (la negazione delle differenza tra uomo e donna, l’ambientalismo antiscientifico, il razzismo vendicativo, per non parlare della re-invenzione della storia passata), è giusto che ci si spinga anche alle radici comuni di tutte queste concezioni, magari con la speranza che questo susciti altre riflessioni capaci di chiarire ulteriormente questo importante argomento.

Civiltà della ragione

Intanto “la civiltà occidentale si basa su quello che in greco viene chiamato lògos, termine che nella tradizione cristiana, che da sempre domina la nostra cultura (anche in quest’epoca di secolarizzazione, sia pure in maniera sotterranea), unisce in sé due significati, quello ebraico di parola” di Dio e quello greco-romano di ‘ragione’” cioè di insieme di regole e di metodi per comprendere la realtà naturale ed umana. In pratica la civiltà occidentale nonostante tutti i difetti dell’uso della ragione nella sua storia millenaria può essere definita una civiltà del lògos, cioè una civiltà della ragione, “ma a differenza di tutte le altre civiltà umane (e questa è stata la fonte del suo successo) di una ragione a due dimensioni unite ma distinte tra loro: una verticale, che la collega a Dio o alla realtà trascendente, e una orizzontale che la mette in relazione con la realtà materiale e sociale”.

Libertà ed eguaglianza

Da questa ragione a due dimensioni derivano inoltre due valori fondamentali che la civiltà occidentale, nonostante la limitatezza della conoscenza umana e nonostante tutte le sue cadute, ha realizzato: la libertà individuale (derivante dal rapporto personale con la realtà trascendente, ora laicizzato in una sorta di individualismo dei valori personali) e l’eguaglianza tra gli uomini, tutti soggetti alle stesse regole, necessarie per comprendere e gestire la realtà materiale e sociale.

Pertanto, tutti i principi della civiltà del logos, vengono messi in discussione in maniera radicale dalla cultura woke, che si rifà a quelle concezioni accademiche, in particolare della Scuola di Francoforte.

A cominciare dal filosofo, sociologo e politologo tedesco poi naturalizzato americano Herbert Marcuse (1898-1979), che fu anche uno dei punti di riferimento della contestazione studentesca soprattutto francese del 1968 (a lui si ispirò probabilmente la frase di autore anonimo L’immaginazione al potere”). Tuttavia Marcuse vedeva nel superamento della civiltà della ragione, della civiltà del lògos, la via per la realizzazione del mondo perfetto. Per questo ha ripreso le concezioni di Karl Marx (1818-1883), che riteneva che la storia umana si sarebbe evoluta inevitabilmente fino alla realizzazione del mondo perfetto, e per certi versi riprende anche la psicanalisi di Sigmund Freud (1856-1939).

Civiltà dell’èros.

La cultura woke che attacca la civiltà della ragione-parola, in nome della felicità personale, tende a sostituire civiltà del lògos con la civiltà dell’èros. Sostanzialmente si passa da una civiltà basata sulla ragione, legata alla realtà trascendente e a quella materiale e sociale, una civiltà basata sulla felicità soggettiva. Questa è la grande sfida culturale delle concezioni woke alla civiltà occidentale.

A questo punto Borasi fa delle riflessioni sul concetto di “felicità” personale, per la verità è qualcosa che l’uomo ha sempre cercato, ma che difficilmente si raggiunge in questo mondo, per i cristiani si raggiunge nell’aldilà.

Negazione dei valori comuni

La cultura woke ci conduce a modificare il modo di pensare e di valutare la realtà, in pratica alla negazione di tutti i valori comuni e al tempo stesso di ogni libertà individuale. Del resto, precisa Borasi, “la prima operazione che tutte le dittature hanno compiuto è sempre stata la “decostruzione” (per usare un termine postmoderno) di ogni realtà oggettiva e di ogni verità comune, in modo da poter imporre i valori della propria ideologia”. Lo capì bene quel geniale critico del totalitarismo che fu George Orwell (1903-1950), che fa affermare al protagonista di “1984”:“Libertà è la libertà di dire che due più due fa quattro. Se questo è consentito, tutto il resto viene di conseguenza”.

La cultura woke

Il risultato finale è la creazione di una cultura che calpesta la libertà di parola in nome della tutela dell’individuo; razzista in quanto divide la società in gruppi etnici in nome dei diritti delle persone delle diverse etnie; una cultura autoritaria poiché disciplina le scelte personali ed individuali imponendo anche a chi non le condivide di subirne gli effetti negativi (è il caso della maternità surrogata); che rigetta il dibattito scientifico perché non accetta che si intervenga sulla natura; una cultura che se ammette Dio o il trascendente, vede queste realtà come poste all’esclusivo servizio dell’uomo; una cultura soprattutto incapace di autocritica (non essendo basata su ragionamento e sul buon senso) e incapace di soppesare e confrontare le diverse posizioni e di produrre regole e principi (imperfetti, criticabili e modificabili, ma) validi per tutti, perché solo su tali principi si può basare una società di esseri umani eguali nella loro diversità e individualmente liberi nella loro vita comunitaria.

Quali sono le previsioni future. La cultura woke nel lungo periodo si affermerà e diventerà la base della civiltà occidentale? Oppure è destinata a scomparire a causa delle sempre crescenti reazioni (a volte eccessive), o delle sue stesse contraddizioni interne. Intanto per quanto mi riguarda mi associo a Borasi che si augura che i valori della cultura tradizionale, magari aggiornati e rielaborati, continuino a far parte della vita sociale delle future generazioni. E concordo con lui che la vera e più grande emergenza sta proprio nella progressiva perdita di questi valori. Chi vuole costruire una cultura politica conservatrice non può fare a meno di analizzare i diversi aspetti della cultura woke, che si contrappone proprio ad una civiltà basata sul logos e la ragione.

DOMENICO BONVEGNA

dbonvegna1@gmail.com