La solidarietà non è negoziabile. Neppure cavalcabile

“Se una società libera non può aiutare i molti che sono poveri, non può salvare i pochi che sono ricchi.” (John F. Kennedy, Discorso inaugurale, 20 gennaio 1961).

Io non lo so se Salvini è stronzo o quanto è stronzo. Tuttavia, quanti ai diversi livelli di FI e del centro-destra in questi giorni si stanno occupando della nave “Diciotti” commettono un doppio grave errore. Tattico e strategico.

Il tema della solidarietà non attende “noi”. Riceve ordinariamente testimonianze più consapevoli, più autentiche, più autorevoli. Questo spazietto mediatico salva (lava) qualche coscienza ma non innalza il livello della qualità e della incisività politica attesa.

È vero. A fare la differenza non è la problematica in astratto ma il toccare con mano, l’incrociare uno sguardo, il sentire il fetore della disperazione.

Si può avere atteggiamento diverso sulle questioni seduti a tavolino ma due occhi scavati che ti guardano dritto o peggio che non trovano energia sufficiente neppure per tenere sollevate le palpebre mettono in discussione chiunque.

A “noi” (diverso da “a noi”), però, se ne siamo capaci, tocca occuparci di altro. Di come strutturata sensibilità si fa proposta e azione per crescita e volano economico e sociale.

Questo esige anche la dottrina sociale cristiana come il pensiero sturziano nel declinare il dogma della centralità della persona, della solidarietà, della sussidiarietà.

Senza produzione e redistribuzione di opportunità e ricchezza tutto resterà immutato. Non saremo capaci di risposte ne’ interne ne’ internazionali. Assisteremo solo a uno scontro tra poveri. Proveremo solo a dimostrare che una cosa è sentirsi poveri altro è esserlo veramente. Non avremo in ogni caso soluzioni per accogliere veramente.

Nel programma del Governatore on. Musumeci (che unitamente al sen. Stancanelli sta pensando alle elezioni europee costruendo centralità attorno a Diventerà Bellissima) – alla voce sviluppo economico – si legge(va): “La scommessa di una Sicilia migliore nella quale i nostri figli possano restare e vivere in un contesto di benessere diffuso passa dal rendere competitivo il settore delle imprese piccole, medie e grandi che esse siano”.

Si legge(va) altresì: “Quante volte imprenditori che avrebbero voluto investire non hanno avuto le dovute autorizzazioni? Quanti procedimenti amministrativi autorizzativi per l’a- pertura di una nuova attività vengono perfezionati nei tempi previsti dalle nor- me? Quanti sono i giovani che avendo una idea imprenditoriale sono riusciti a realizzarla in Sicilia?

Quali sono le aree industriali che prontamente assegnano spazi alle imprese che fanno richiesta di insediarsi? Quali infrastrutture a sup- porto dell’attività di impresa possono vantare le aree e i distretti industriali? E ancora.

Quante imprese sono fallite nelle more di ricevere una autorizzazione la cui richiesta giace immotivatamente nei cassetti degli uffici regionali? Si può mai pretendere che le imprese debbano interamente anticipare le somme – nel caso di aiuti alle imprese – con il rischio di fallire perché la regione non rispetta i tempi di erogazione delle risorse?”

Di questo ci dobbiamo precipuamente pre-occupare. Ce ne stiamo occupando signor Presidente dell’Ars, signori deputati, signori dirigenti? Ce ne stiamo occupando signore e signori?

Ritorno allo spunto iniziale.

Ho sentito “finalmente” sbarcati. Oh. Ora chi li segue? Vanno a finire in centri di prima accoglienza. Cento a Messina. Nessuno ha ancora capito quale è la differenza sostanziale tra hotspot e i precedenti(!?) luoghi di identificazione e espulsione.

“C’è una sola classe della umanità che tiene al denaro molto più dei ricchi: i poveri. Il povero non può tenere ad altro. Questa è la miseria di essere povero.” (Oscar Wilde).

Emilio Fragale