La preghiera al tempo del Coronavirus: Mons Mario Delfini, Mons. Giovanni Accolla, due stili diversi

di ANDREA FILLORAMO

Mons Mario Delfini, Mons. Giovanni Accolla, due arcivescovi; il primo arcivescovo di Milano, città posta al nord della penisola, il secondo arcivescovo di Messina, città posta al Nord della Sicilia: due uomini, diversi sicuramente fra loro per temperamento, per formazione e per esperienza.

 

Ambedue pastori di due città diverse, che esigono, quindi, attenzioni pastorali, diverse ma accomunate  in un ministero estremamente difficile com’è quello episcopale, di cui i fedeli conoscono o almeno percepiscono, in un era che chiamiamo post cristiana,  le difficoltà aggravate ultimamente dalla pandemia che ancora non sappiamo se e quando finirà che ha seminato e ancora semina morte, dolore e ha stravolto tutti i sistemi economici e sociali e alla quale si oppone il divieto assoluto da parte del Governo, per tutte le parrocchie e le chiese, di celebrare messe, matrimoni, funerali.

È indubbio che i vescovi, i preti e i fedeli siano ancora in uno stato di choc al quale erano e sono totalmente impreparati. Nessuno, infatti, pensava fino a pochi mesi fa ad una situazione del genere. Pur con poca convinzione ambedue gli arcivescovi, come tutti i vescovi italiani forse anche “obtorto collo” per limitare il più possibile l’infezione, hanno partecipato al programma voluto dal Governo, che prevede il divieto assoluto di aggregare più persone anche per la celebrazione dei sacri riti. A questo punto, l’arcivescovo di Milano Mario Delpini noto per la sua ieraticità, preso probabilmente dal panico o non sapendo come affrontare il problema, è salito sulle terrazze del Duomo e ha rivolto un’invocazione alla Madonnina, simbolo religioso e civile della città, che sormonta la guglia maggiore della Cattedrale, a oltre 70 metri di altezza. Dopo aver pregato, egli ha raccomandato ai fedeli di coltivare la preghiera personale recuperando il contatto con Dio, nonostante fosse proibito celebrare la messa.

Con questa iniziativa l’Arcivescovo ha indicato una modalità con cui egli vive la sua vita di cristiano e di vescovo. Essa è la modalità ascetico-mistica che sicuramente è importante, da vivere a livello personale, ma presentata in quel modo e a 70 metri di altezza ai fedeli, sa tanto di teatralità, può servire come semplice placebo, ma non aiuta a superare il momento della segregazione prodotta dal virus, non guarisce le persone ammalate, né tanto meno opera miracoli. Poteva, quindi, l’Arcivescovo non salire sulle guglie del duomo, emulando solo apparentemente senza condividerne le radicalità delle scelte fatte dagli “stiliti”, che, durante il Medioevo passavano tutta la loro vita nella sommità di una colonna. Non mi permetto di criticare il grande arcivescovo di Milano per un gesto riportato in tutti i giornali, in tutte le televisioni del mondo che doveva, a mio parere, essere un gesto personale e riservato.

Sicuramente l’arcivescovo di Milano, uomo semplice e buono non ha riflettuto abbastanza prima di prendere quella decisione, che faceva a pugni con quella pagina del Vangelo secondo Matteo 6,1-6.16-18, in cui si legge: “Quando pregate, non siate simili agli ipocriti che amano pregare stando ritti nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, per essere visti dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà”.

Trovandosi davanti all’espandersi del coronavirus, diverso è stato, l’approccio di Mons. Accolla, arcivescovo di Messina, uomo concreto, con i piedi per terra, pronto sempre a sporcarsi le mani per aiutare, soccorrere ed essere amico dei sofferenti “La psicosi da coronavirus ci fa capire quanto siamo fragili, quando presi dalle nostre ansie quotidiane, ci distacchiamo da Dio”.

Così egli disse quando ha affrontato l’argomento coronavirus con i fedeli, nella prima domenica quaresimale, distinta dall’emergenza sanitaria del Covid 19. “Se ci allontaniamo da ciò che è certezza – ha detto alla comunità riunita nella chiesa di San Paolino a Torregrotta per l’incontro con i cresimandi – cediamo alle nostre paure. È quello che sta accadendo in questi giorni”. Un messaggio che invita alla riflessione i cristiani che si sentivano smarriti e spaventati persino di partecipare alle celebrazioni religiose. Egli, quindi, non salì tutti i gradini del celebre campanile del Duomo di Messina, non lottò con il leone e con il gallo del celebre orologio astronomico che ogni giorno fanno sentire la loro voce, per avere anche lui visibilità, né si fece spazio fra gli ambasciatori della lettera a Maria dello stesso orologio astronomico, per chiedere alla Madre di Dio di liberare la città da questo spaventoso virus.

Rivolse anche lui – ne sono sicuro – la preghiera a Maria con l’invocazione: “O della lettera madre e regina, salva Messina, Salva Messina”, ma per farsi sentire prossimo, non si chiuse in una bolla ascetica. Egli sa chiaramente che anche la teologia contemporanea è stata conquistata dalla modernità, ha superato quegli aspetti rituali, devozionistici, fatti di processioni, di statue e statuine che piangono, di fiumi di gente in lacrime che attende il miracolo e che il ministero episcopale come quello presbiterale non si può più svolgere sempre nelle chiese. Sono tanti oggi che vogliono vivere il Vangelo seguendo le indicazioni di Cristo quando alla Samaritana disse: “Verrà il giorno…in cui Dio non si adorerà più su un monte o nel tempio, ma si adorerà in spirito e verità”.

È arrivato questo giorno, fatto sorgere da un virus maledetto che distrugge la vita dell’uomo ma nello stesso tempo paradossalmente sollecita i cristiani al cambiamento di mentalità e costumi? Forse è così anche per Mons. Accolla, che in un messaggio ai detenuti scrive “Siamo tutti sulla stessa barca, dentro o fuori dal carcere: cambia il luogo, ma siamo tutti toccati dallo smarrimento e dalle preoccupazioni. Tutti, però, siamo chiamati a fare la nostra parte con senso di responsabilità. Solo così possiamo vincere la crisi sanitaria in corso”.

Come facilmente si può notare, anche nel seguito del messaggio, ciò che scrive Mons. Accolla merita di essere ascoltato dai reclusi impauriti per sé stessi e per le famiglie, non contiene elementi ideologici, teologici: il suo è un linguaggio pragmatico che non dista molto da quello di Papa Francesco. Credo che ormai i messinesi conoscano bene il loro pastore, che a differenza di altri non è abituato a fare una “lectio magistralis” in tutto ciò che avviene nella sua diocesi, che non fa omelie in cui talvolta, può anche non porre molta attenzione ai congiuntivi, ossessione e in cui cascano anche i professoroni universitari, ma usa un linguaggio semplice, alla portata di tutti , non fa altro che spiegare il Vangelo, che è la parola di Dio.