La città è bellezza quando è varietà

«Una città è bella quando prima di tutto non è necessariamente legata a una situazione armonica. Dovremmo separare il concetto di bello da quello di armonia. Il bello sta anche nella discontinuità, nella varietà, nell’intensità con cui cambiano i paesaggi che attraversiamo, sia concreti che sociali». Nel terzo e ultimo incontro dedicato al rapporto tra città, bellezza e dimensione temporale Luca Doninelli, scrittore, ha chiesto a Stefano Boeri, architetto, le qualità che una città deve avere per essere considerata bella.

 

Il dialogo si è aperto con una riflessione sul presente, una presa di coscienza sul fatto che le città stanno cambiando e il futuro delle stesse ci sta interrogando. «La città è la più grande invenzione dell’uomo ma è un’invenzione mai conclusa», ha detto Doninelli. «Può allora una comunità avere un presente se non im-magina continuamente il suo futuro?». Il futuro è di fatto una proiezione, in questo caso si tratta di imma-ginare gli spazi che conosciamo e le strade che percorriamo in scenari futuri.

Boeri ha elencato allora tre questioni fondamentali da affrontare se decidiamo di immaginare l’evoluzione dei nostri contesti urbani nei prossimi trent’anni: l’automazione, che rischia di creare un grande vuoto dal punto di vista dell’occupazione, il cambiamento climatico, che c’è e si manifesta anche nelle città, e la povertà, destinata purtroppo a crescere. C’è un solo modo, secondo l’architetto che ha progettato il Bosco Verticale a Milano, di affrontare queste grandi sfide: sviluppare un forte senso di comunità. Per farlo gli abitanti della città dovrebbero riconoscersi non più come un semplice agglomerato di individui, ma come una «rete di persone legate da spazi e relazioni».

Nell’epoca attuale però il concetto di comunità non è ancora abbastanza radicato, soprattutto nelle città. Ciò che fa di un centro abitato qualcosa di meraviglioso è il buon rapporto tra spazi costruiti e varietà delle culture di chi abita questi spazi. Esistono infatti quartieri bellissimi dove però vivono famiglie, persone, individui che hanno la stessa origine, la stessa cultura, lo stesso reddito. «Quando c’è una concentrazione eccessiva di omogeneità si perde l’effetto città. Si arriva allora a costruire ghetti, aree chiuse che negano la possibilità dello scambio con l’altro, con il diverso. La varietà delle culture invece crea intensità di relazioni, sorprese, imprevedibilità, fattori che rendono una città diversa da una semplice aggregazione di individui simili».

Altro punto fondamentale per pensare le città del futuro è il verde. È necessario considerare l’entrata della natura in città non solo come risorsa estetica, ma anche come possibilità di un miglioramento della qualità della vita nei centri urbani. «Moltiplicare le superfici verdi è una scelta fondamentale per migliorare la qualità dell’aria, ridurre la produzione di CO₂ e limitare l’innalzamento delle temperature».
Ultimo, ma non meno importante, si è evidenziato il ruolo fondamentale delle scuole pubbliche all’interno dei centri abitati. La costruzione di un elemento socialmente vivo come questo nelle città è una grande sfida del futuro. È infatti proprio all’interno delle scuole che il futuro non solo di immagina, ma si costruisce.