IL VANGELO SECONDO ANDREA FILLORAMO: LA CHIESA E I MIGRANTI

di Andrea Filloramo 

Nel mezzo del duro scontro politico sull’immigrazione negli Stati Uniti, l’arcivescovo di Chicago, il Cardinale Blase Cupichda considerare uno degli esponenti di punta dell’episcopato liberal degli Stati Unitiin un video diffuso sui social, ha preso chiara posizione contro le retate dell’Agenzia Federale ICE, cioè contro le politiche restrittive Trumpiane concernenti gli immigrati.  

Da osservare che le restrizioni hanno coinvolto anche persone senza precedenti penali, mettendo a rischio i diritti individuali e creando paura tra le comunità e hanno suscitato sia sostegno che forte critica, sia sul piano operativo che su quello eticosociale.  

Il Cardinale, in quel video, ha lanciato un messaggio forte e inequivocabile, dicendo: “Miei cari fratelli e sorelle, oggi vi parlo come vostro pastore, ma anche come compagno di viaggio che condivide il dolore di molte delle nostre comunità di immigrati. (….). Vorrei essere chiaro. La Chiesa è dalla parte dei migranti. Avete lavorato duramente. Avete cresciuto delle famiglie. Avete contribuito a questa nazione. Vi siete guadagnati il nostro rispetto. Come arcivescovo di Chicago, insisterò affinché siate trattati con dignità”.  

L’arcivescovo di Chicago, oltre a riaffermare il ruolo della Chiesa come voce profetica e difensore degli ultimi, ha aggiunto, inoltre, un richiamo storico che vale per ogni nazione costruita sull’immigrazione e ha affermato con forza: “Gli americani non dovrebbero dimenticare che tutti noi proveniamo da famiglie di immigrati”. 

La posizione dell’arcivescovo di Chicago risuona con forza anche in Italia, dove il dibattito sull’immigrazione è altrettanto acceso e dove, anche se fino ad oggi siamo lontani dagli estremismi trumpiani, l’immigrazione è al centro del dibattito politico, tra esigenze di controllo dei flussi, necessità economiche e questioni umanitarie legate all’asilo e all’integrazione. 

L’osserviamo continuamente: nel nostro Paese, da anni la presenza di migranti è oggetto di discussione politica, spesso dominata da toni allarmistici e disumanizzanti. Tuttavia – come negli Stati Uniti – anche in Italia la Chiesa cattolica continua a richiamare all’accoglienza e al rispetto della dignità umana. 

Noto è l’accordo con l’Albania del governo guidato da Meloni per la creazione di centri di accoglienza e smistamento de migranti al di fuori del territorio italiano, con l’obiettivo dichiarato di contenere gli arrivi irregolari.  

Tuttavia, l’attuazione ha incontrato ritardi, blocchi giudiziari,e –   secondo varie fonti – tali centri, che sono stati molto costosi, risultano in larga parte inutilizzati e forse anche inutilizzabili. Le critiche non riguardano solo la legittimità del modello, ma anche la coerenza con gli obblighi internazionali, come il diritto d’asilo, il non respingimento, la tutela dei vulnerabili, la trasparenza nell’uso delle risorse pubbliche.  

La legittimità delle misure, inoltre, non è solo questione tecnica: essa tocca direttamente la coerenza democratica e la tutela della dignità umana, in linea con il richiamo della Chiesa.  

Diciamolo chiaramente: se l’obiettivo è quello di gestire i flussi in modo sostenibile, la politica non può limitarsi alla mandria dei confini, ma serve un serio piano di integrazione, la legalizzazione del lavoro, l’accesso ai diritti e alla cittadinanza.  

In questo senso la scelta politica di Meloni di non procedere verso una riforma della legge sulla cittadinanza, come il cosiddetto “ius scholae”, e di non rivedere in modo significativo le condizioni di naturalizzazione, appare come un’opportunità mancata.  

Una strategia che ignora il valore sociale e demografico dell’immigrazione rischia di costruire esclusione e fragilità, non solo per i migranti ma per la società nel suo complesso. 

Intanto, nonostante le promesse di una forte riduzione delle “invasioni” via mare, i dati indicano che gli arrivi irregolari non solo non sono diminuiti come previsto, ma in alcuni momenti sono aumentati.  

La stessa Meloni, sulla gestione dell’immigrazione. ha ammesso: «È chiaro che speravamo in meglio»  

Le dichiarazioni del governo più volte hanno collegato l’immigrazione irregolare al rischio della criminalità: «gli arrivi clandestini sono fertile terreno per il crimine», ha dichiarato la Presidente del Consiglio.  

Non si può non affermare con piena convinzione che l’impostazione essenzialmente incentrata sulla repressione, sui rimpatri e sull’espulsione genera necessariamente conseguenze negative in termini di integrazione sociale.  

Ridurre, infatti, i migranti a un problema di ordine pubblico, come suggerito dalle dichiarazioni sul “terreno fertile per il crimine”, alimenta stereotipi e tensioni, vanificando le possibili risorse che l’immigrazione regolare può rappresentare.  

Pur comprendendo che la gestione dei flussi migratori sia una sfida complessa, è legittimo formulare altre critiche alla strategia adottata dal governo. 

Il governo ha promosso, infatti, una forte narrativa sul controllo delle frontiere e sulla chiusura degli sbarchi; tuttavia, dati e ammissioni ufficiali mostrano che i risultati ottenuti sono lontani dalle attese. 

 L’aumento degli arrivi via mare e l’incapacità di incidere radicalmente sul problema mettono, quindi, in discussione l’efficacia delle misure.  

Questo crea una discrepanza tra la retorica di “tolleranza zero” e la realtà operativa, che rischia di alimentare disillusione nell’opinione pubblica. 

Inoltre, un profilo così fortemente limitativo rischia di trascurare la dimensione umanitaria: richiedenti asilo, minori non accompagnati, persone vulnerabili rimangono in una zona grigia che richiederebbe risposte più articolate. 

Le parole dell’arcivescovo Cupich – che vedono nella migrazione non un fenomeno da temere ma un’opportunità da accogliere – si pongono in tensione con alcune scelte politiche italiane. Non si tratta semplicemente di buonismo o di retorica, ma di capire se la nazione vuole costruire una società inclusiva e integrata oppure una società che continua a vedere l’altro come un problema. 

La Chiesa, con il suo richiamo alla dignità della persona, ci ricorda che dietro ogni persona di qualunque parte del mondo, c’è sempre un volto umano, e che la nazione che dimentica le proprie radici migratorie rischia di perdere parte della propria identità.