IL PROGRAMMA MISSIONARIO DI PAPA FRANCESCO

La prospettiva missionaria del pontificato di Francesco è esposta nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium: «Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione […]Come diceva Giovanni Paolo II ai Vescovi dell’Oceania, “ogni rinnovamento nella Chiesa deve avere la missione come suo scopo per non cadere preda di una specie d’introversione ecclesiale”».

Il punto di partenza del discorso di Papa Francesco è un concetto espresso più volte: «quella che stiamo vivendo non è semplicemente un’epoca di cambiamenti, ma è un cambiamento di epoca». Dopo aver citato san John Henry Newman (1801-1890) a proposito del suo libro Lo sviluppo della dottrina cristiana, in cui spiega come la vita cristiana preveda un continuo cambiamento, il Pontefice ricorda che non si tratta «[…] di cercare il cambiamento per il cambiamento» né di seguire le mode, ma di convertirsi, come diceva appunto il santo cardinale inglese, cioè di cambiare per essere fedeli a Dio e al suo progetto. Nel caso concreto — il Papa si sta rivolgendo alla Curia —, «affrontando oggi il tema del cambiamento che si fonda principalmente sulla fedeltà al depositum fidei e alla Tradizione, desidero ritornare sull’attuazione della riforma della Curia romana, ribadendo che tale riforma non ha mai avuto la presunzione di fare come se prima niente fosse esistito; al contrario, si è puntato a valorizzare quanto di buono è stato fatto nella complessa storia della Curia».

Qual è il «cuore» di questa riforma della Curia e in generale della Chiesa che oggi deve affrontare un cambiamento epocale? Il cuore della Chiesa è l’evangelizzazione perché «essa esiste per evangelizzare», come ricorda Papa Francesco citando l’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi di san Paolo VI. In che cosa consiste questo cambiamento d’epoca? Vi è stata un’epoca in cui il mondo si divideva in «un mondo cristiano da una parte e un mondo ancora da evangelizzare dall’altra». Questa epoca è finita. Ora non è più così: «Le popolazioni che non hanno ancora ricevuto l’annuncio del Vangelo non vivono affatto soltanto nei Continenti non occidentali, ma dimorano dappertutto, specialmente nelle enormi concentrazioni urbane che richiedono esse stesse una specifica pastorale». Non siamo più in una cristianità e questo è un fatto, non un giudizio negativo sulla cosiddetta «Chiesa costantiniana», purtroppo così diffuso in certi ambienti intellettuali che confondono il fatto con un giudizio storico negativo. Il Papa scrive una cosa differente, cioè che è esistito un «passato glorioso» — non esente dal male e da errori — ma oggi siamo di fronte a una situazione di crisi per la Chiesa: egli parla di «tensione tra un passato glorioso e un futuro creativo e in movimento», e fra le due epoche si trova il presente nel quale vivono i contemporanei che devono attuare la riforma della Chiesa in senso missionario e che «hanno bisogno di tempo per maturare». «Non siamo più in un regime di cristianità perché la fede specialmente in Europa, ma pure in gran parte dell’Occidente — non costituisce più un presupposto ovvio del vivere comune, anzi spesso viene perfino negata, derisa, emarginata e ridicolizzata». Nel 2010 Benedetto XVI ha istituito il Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione proprio perché non esiste più un tessuto culturale unitario.

Qui Invernizzi sollecita chiarezza e attenzione. “Successe già con i documenti del Concilio Vaticano II, che dovevano segnare il passaggio dalla Chiesa anima di una società cristiana che non c’era più a una Chiesa missionaria, che annunciasse il Vangelo in un mondo post-cristiano. Sappiamo come è andata e lo sappiamo anche grazie ai ripetuti interventi dei pontefici — san Paolo VI, san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI — per riportare il Concilio ai documenti e sottrarlo all’interpretazione dei media, che spingevano per una lettura rivoluzionaria dei documenti, per una ermeneutica di «rottura» con il passato della Chiesa e non per un «rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa».

A questo punto il reggente nazionale di Alleanza Cattolica propone una lunga nota, per spiegare il celebre discorso alla Curia romana di Benedetto XVI del 22-12-2005, sulla giusta interpretazione del Concilio Vaticano II. Il Papa mette in guardia i fedeli dal non accettare il Concilio interpretato dai Media. Infatti, c’era un Concilio dei media opposto al vero Concilio, quello dei Padri, quello dei documenti. Mentre il Concilio dei media era quasi un Concilio a sé, e il mondo ha percepito il Concilio tramite questi. Quindi il Concilio immediatamente efficiente arrivato al popolo è stato quello dei media, non quello dei Padri.

Vale la pena insistere sulla questione, per Invernizzi, “il Concilio dei giornalisti non si è realizzato, naturalmente, all’interno della fede, ma all’interno delle categorie dei media di oggi, cioè fuori dalla fede, con un’ermeneutica diversa. Era un’ermeneutica politica: per i media, il Concilio era una lotta politica, una lotta di potere tra diverse correnti nella Chiesa […]”. Questo Concilio mediato dai Mass media, ha creato tanti disastri, tanti problemi e tante miserie: seminari chiusi, conventi chiusi, liturgia banalizzata … e il vero Concilio ha avuto difficoltà a concretizzarsi, a realizzarsi.

Sostanzialmente, il Concilio virtuale era più forte del Concilio reale. Ma la forza reale del Concilio era presente e, man mano, si realizza sempre più e diventa la vera forza che poi è anche vera riforma, vero rinnovamento della Chiesa. “La fede va proposta anche alla ragione – scrive Invernizzi – e deve pertanto diventare cultura, cioè investire tutta la persona e i suoi giudizi. Il passaggio dalla fede alla cultura è essenziale per comprendere la natura della dottrina sociale della Chiesa e per difenderla sia da chi — prima del rilancio durante il pontificato di Giovanni Paolo II — la riteneva inutile e dannosa sia da chi oggi la riduce a qualcosa che non abbia dei princìpi dottrinali precisi, limitandola a un racconto vago o «politicamente corretto». Il Compendio della dottrina sociale della Chiesa spiega che «la fede e la ragione costituiscono le due vie conoscitive della dottrina sociale, essendo due le fonti alle quali essa attinge: la Rivelazione e la natura umana”.

Insomma, quello che conta è che dalla conversione che potrebbe seguire all’annuncio della fede abbia un esito culturale e sociale, cioè sia la premessa per la nascita di un mondo nuovo, «toccato» dal Vangelo. Per Invernizzi, “la premessa non va mai dimenticata. Per parlare di fede che diventa cultura, per parlare di cristianità come esito possibile della nuova evangelizzazione, vi deve essere prima la conversione: la conversione del cattolico di oggi in un missionario come condizione necessaria per la eventuale conversione di coloro a cui il missionario si rivolge”. È un passaggio psicologico sottile e importante. Chi deve intraprendere la strada della nuova evangelizzazione deve adattare il suo stile al nuovo compito. “Altro è difendere la cittadella assediata, altro è annunciare Cristo a chi non lo conosce o lo ha rifiutato. In entrambi i casi è l’amore di Dio e la Sua gloria che deve muovere, ma lo stile deve essere adeguato all’epoca diversa, come la Chiesa ha sempre fatto modificando il suo modo di comunicare nelle diverse situazioni storiche”.

Un riferimento importante può essere la scuola controrivoluzionaria, che nasce dall’adesione totale alla Chiesa di Cristo. Dalla Chiesa la Contro-Rivoluzione attinge al Magistero e alla Grazia necessaria per l’apostolato attraverso i sacramenti che solo la Chiesa può comunicare. “La Contro-Rivoluzione, infatti, non esiste per sé stessa, ma per servire alla ricostruzione di una civiltà cristiana. Può sembrare ironico o temerario oggi anche solo esporre questo desiderio, che sembra non tener conto dell’attuale situazione culturale e sociale di grande confusione e di lacerazione anche nello stesso mondo cattolico”. In questo momento storico difficile l’apostolato contro-rivoluzionario può aiutare, è possibile mostrare una strada di restaurazione dei princìpi elementari del bene comune come medicina necessaria. La proposta contro-rivoluzionaria parte proprio dalla crisi dell’uomo occidentale e cristiano. E l’unica medicina che risolve la crisi odierna è la conversione.

Attenzione, la conversione però non dipende dalla capacità dei missionari. Dobbiamo liberarci dall’ansia del risultato e far riflettere però su che cosa si deve fare per rendere attrattivo il messaggio cristiano. Certo è molto difficile parlare di Contro-Rivoluzione a chi non crede in Dio e nella Rivelazione, e non si può ricostruire una società a misura d’uomo e secondo il piano di Dio senza il protagonista della ricostruzione. Allora il primo compito è permettere o favorire che attraverso di noi si diffonda questa speranza, che non è nostra ma si può servire di ciascuno di noi conoscere.

Quale futuro si prospetta per i cattolici? Tutto dipende se e quando riprenderanno veramente la via dell’evangelizzazione raccomandata dagli ultimi Pontefici. Invernizzi propone di leggere le parole del Papa emerito Benedetto XVI, quando risponde alla domanda di Peter Seewald nell’ultimo libro intervista: «Lei si ve-

de come l’ultimo papa del vecchio mondo o come il primo del nuovo?», «Direi entrambi», risponde il Pontefice emerito, che aggiunge: «[…] è evidente che la Chiesa sta abbandonando sempre più le vecchie strutture tradizionali della vita europea e quindi muta aspetto e in lei vivono nuove forme. È chiaro soprattutto che la scristianizzazione dell’Europa progredisce, che l’elemento cristiano scompare sempre più dal tessuto della società. Di conseguenza la Chiesa deve trovare una nuova forma di presenza, deve cambiare il suo modo di presentarsi. Sono in corso capovolgimenti epocali».

A questo punto si fa riferimento alle minoranze creative che dovranno provare a far nascere un mondo nuovo all’interno della Chiesa, tenendo conto che siamo immersi in un mondo scristianizzato, anche se è un compito difficile.

Secondo papa Francesco, “normalmente sono le minoranze creative che determinano il futuro, e in questo senso la Chiesa cattolica deve comprendersi come minoranza creativa che ha un’eredità di valori che non sono cose del passato, ma sono una realtà molto viva ed attuale. La Chiesa deve attualizzare, essere presente nel dibattito pubblico, nella nostra lotta per un concetto vero di libertà e di pace».

Sta cambiando drasticamente il modo di essere cristiani. O, meglio, cambiato da decenni, ma non ce ne siamo ancora accorti. Dobbiamo abituarci alla riduzione dei sacerdoti, del numero di Messe, della presenza delle associazioni nella vita pubblica. È ancora il Papa emerito a descrivere bene la situazione. «Oggi non si può più essere cristiani come semplice conseguenza del fatto di vivere in una società che ha radici cristiane: anche chi nasce da una famiglia cristiana ed è educato religiosamente deve, ogni giorno, rinnovare la scelta di essere cristiano, cioè dare a Dio il primo posto, di fronte alle tentazioni che una cultura secolarizzata gli propone di continuo, di fronte al giudizio critico di molti contemporanei. «Le prove a cui la società attuale sottopone il cristiano, infatti, sono tante, e toccano la vita personale e sociale. Non è facile

essere fedeli al matrimonio cristiano, praticare la misericordia nella vita quotidiana, lasciare spazio alla preghiera e al silenzio interiore; non è facile opporsi pubblicamente a scelte che molti considerano ovvie, quali l’aborto in caso di gravidanza indesiderata, l’eutanasia in caso di malattie gravi, o la selezione degli embrioni per prevenire malattie ereditarie. La tentazione di metter da parte la propria fede è sempre presente e la conversione diventa una risposta a Dio che deve essere confermata più volte nella vita».

Un dato certo è che la cristianità è finita, questo è un fatto, ma è molto importante la lettura che si dà di questo fatto. E’ finita un certo tipo di cristianità che si è costruita nei secoli del cosiddetto Medioevo, a partire dall’Editto di Costantino. E’ stato un bene, è stato un male? Certamente quella cristianità non può identificarsi con il cristianesimo, ma nello stesso tempo quest’ultimo deve cercare di dar vita a una cristianità, pena una fede che, se non diventa cultura, non è stata veramente accolta: «Una fede che

non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente

pensata, non fedelmente vissuta», diceva san Giovanni Paolo II. Di per sé una cultura non significa una cristianità, ma è la sua premessa necessaria.

Tuttavia, per Invernizzi bisogna anche constatare l’esistenza di una componente interna alla Chiesa ostile a qualsiasi idea di cristianità, che in questo senso ha operato anche per delegittimare la dottrina sociale della Chiesa: «Dopo il Concilio Vaticano II si è manifestata la tendenza a ritenere chiusa con questa assise ecumenica l’“era costantiniana”. È una valutazione, per ora, molto difficile. Si sta però manifestando una corrente che giudica pernicioso alla vita della Chiesa l’atto di Costantino, perché la Chiesa stessa si sarebbe umanizzata ed invischiata nel temporale tradendo così la sua missione salvifica ed il suo carattere escatologico. Un simile giudizio pecca di anacronismo e non valuta gli aspetti positivi che dall’ottenuta libertà ne sono derivati alla Chiesa, come la possibilità di una maggiore evangelizzazione e l’influsso sulle strutture della stessa società civile (legislazione più umana). Forse nell’insistere su alcuni reali aspetti negativi, si dimentica la parabola evangelica del buon grano e della zizzania che crescono assieme; la Chiesa perfetta è solo nella eternità». (J. R. Palanque, G. Bardy, G.D. Gordini, Dalla pace costantiniana alla morte di Teodosio, in A. Fliche e V. Martin, Storia della Chiesa, tra.it. a cura di A. Stella, vol.III, tomo I, San Paolo, 1995)

A questo punto Invernizzi, precisa che “qualsiasi cristianità risente del peccato originale degli uomini che la guidano, che anche quando sono santi non sono esenti dal peccato; certamente ogni cristianità ha dato e darà motivi di scandalo per molti cristiani e non cristiani, ma non possiamo ignorare — o eliminare, come vorrebbe oggi la cancel culture — tutto quello che storicamente le cristianità hanno portato nella vita pubblica dei Paesi europei: gli ospedali, le università, la dignità della donna, il rispetto della sacralità della vita, l’uguale dignità di ogni persona, il rispetto degli anziani, la condanna della schiavitù e tutte le bellezze artistiche che milioni di turisti vengono a vedere in Italia nonostante siano state espresse in gran parte nell’odiato e oscuro Medioevo”. San Paolo VI invitava a diffidare dell’atteggiamento di coloro che contrappongono alcuni periodi della storia della Chiesa: «Oggi non è raro il caso di persone, anche buone e religiose, giovani specialmente, che si credono in grado di denunciare tutto il passato storico della Chiesa, quello Post-tridentino in modo particolare, come inautentico, superato e ormai invalido per il nostro tempo; e così, con qualche termine ormai convenzionale, ma estremamente superficiale ed inesatto, dichiarano senz’altro chiusa un’epoca (costantiniana, preconciliare, giuridica, autoritaria…), e iniziata un’altra (libera, adulta, profetica…) da inaugurarsi subito, secondo criteri e schemi inventati da questi nuovi e spesso improvvisati maestri. Per essere oggi veramente fedeli alla Chiesa dovremo guardarci dai pericoli che derivano dal proposito, tentazione forse, di innovare la Chiesa, con intenzioni radicali o con metodi drastici, sovvertendola».

È un discorso molto importante: in esso il Pontefice paventa profeticamente una riedizione del «libero esame» introdotto da Martin Lutero (1483-1546), in una versione moderna e interna alla stessa Chiesa cattolica, in opposizione al Magistero: «Avremmo un nuovo “libero esame”, che moltiplicherebbe le più varie e le più discutibili opinioni in materia di dottrina e di disciplina ecclesiastica, toglierebbe alla nostra fede la sua certezza e la sua funzione unitiva, e farebbe della libertà personale, di cui la coscienza è, e dev’essere, guida immediata (cfr. Dignità. humanae, nn. 2 e 3) un uso contrario alla sua prima responsabilità, quella di cercare la verità, la quale, nel campo della verità rivelata, ha per sua guida suprema il magistero della Chiesa (cfr. Dei Verbum, n. 8)».

Pertanto, non è una grazia che non vi sia più una cristianità, come sostiene un cardinale, ma certamente è un’opportunità, che però è altra cosa. “Un’opportunità per assumere lo stile del missionario e abbandonare lo stile retorico di chi si lamenta dei tempi in cui vive, quasi che il Signore sia uscito di scena e non offra più la sua Provvidenza a chi la vuole accogliere. Opportunità significa smettere di lamentarsi guardando al passato e rimboccarsi le maniche per migliorare il presente, significa piegarsi sulle ferite del nostro tempo e aiutare le persone a ritrovare una ragione per vivere, rendendo gloria a Dio, come fece il samaritano sulla via di Gerico. Opportunità significa «uscire» dalle sacrestie per andare alla ricerca dei «lontani», dei nostri con-

temporanei che non conoscono la fede cristiana, perché non hanno mai incontrato qualcuno che la proponesse”. Bisogna imitare la logica missionaria dell’apostolo Paolo, avviando un dialogo, evitando le contrapposizioni, adeguando il proprio «parlare» all’interlocutore che si ha davanti.

Infine, Invernizzi propone due modelli per avviare la nuova evangelizzazione degli antichi Paesi cristiani d’Europa: L’apostolato della Chiesa primitiva e la resistenza dei dissidenti sovietici.

I primi cristiani vivevano in un tempo ostile da tutti i punti di vista, politico, morale, religioso. Essi non avevano la forza di opporsi in modo organizzato, ma riuscirono a contagiare il prossimo attraverso un «apostolato d’ambiente», fatto di testimonianza della vita e di un’apologetica che con il passar del tempo divenne sempre più elaborata. Per tre secoli vennero perseguitati, seppur episodicamente, e in quel tempo costruirono ambienti e oasi nelle quali trovarsi (le catacombe) per celebrare la Messa, pregare, esporre la dottrina cristiana. Ma non rimasero nelle catacombe se non per sopravvivere e ritemprarsi spiritualmente o materialmente, mentre la loro vita si svolgeva soprattutto nel mondo, accanto ai pagani, ai quali trasmettevano la Parola di Dio sperando nella loro conversione. L’ambiente che costruivano non era fine a sé stesso, ma un punto di partenza, necessario ma non esclusivo.

Il modello dei primi cristiani è molto importante anche in riferimento a una certa interpretazione data a un libro di Rod Dreher sulla strategia dei cristiani nel mondo contemporaneo. Infatti, di questo libro è «passata» una lettura per cui l’«opzione Benedetto» oggi dovrebbe consistere nel «rinchiudersi» in oasi di sopravvivenza dei pochi cristiani rimasti fedeli e consapevoli, ipotesi per altro rifiutata dall’autore stesso in una conferenza stampa di presentazione della sua opera avvenuta nel 2018 nella sede della Regione Lombardia. Al contrario, la minoranza cristiana dovrebbe, a mio avviso, certamente creare propri ambienti dove potersi formare e preparare senza confusioni, sincretismi e condizionamenti dettati dalla paura del «pensiero unico», ma facendo in modo che siano ambienti autenticamente proiettati alla proposizione della fede a tutti gli altri uomini, particolarmente ai più sfortunati, ai cosiddetti ultimi, sulla scia dell’atteggiamento di tanti ordini e congregazioni religiosi che hanno scelto di educare uomini e donne, ricchi e poveri. L’altro modello di comportamento sono i dissidenti nei Paesi comunisti, in un contesto altrettanto ostile per i cristiani. Anche loro non avevano la forza di contrapporsi platealmente e dovettero costruire degli ambienti in cui sopravvivere, pregare, informarsi e resistere in attesa della libertà. Erano uomini che avevano «il potere dei senza potere», cioè avevano una speranza grandissima che li sosteneva e guidava.

Per entrambi venne la libertà, dall’Editto di Milano del 313 alla caduta del Muro di Berlino nel 1989 e alla fine dell’URSS nel 1991. Avrebbero dovuto rifiutare questa libertà o approfittarne per costruire un mondo migliore, anche negli aspetti politici e istituzionali? Certo, le differenze rispetto a quei tempi sono molte. Dopo il Nove-

cento, il secolo con il maggior numero di martiri della storia cristiana, e mentre i martiri sono ancora numerosi in Asia e in Africa, i cristiani oggi in Occidente non rischiano di essere denunciati, di finire in prigione o peggio nei campi di concentramento o di essere inchiodati a una croce, come avvenne per il Signore Gesù e per il suo apostolo Pietro, o di essere comunque martirizzati, come san Paolo. Tuttavia, l’epoca successiva al 1989 conosce un attacco culturale preciso contro le radici umane e cristiane del-

la nostra civiltà. Si tratta della quarta fase di un processo di disgregazione della cristianità occidentale nata dalla prima evangelizzazione e cominciata con la Riforma e il Rinascimento.

Oggi, scomparsa una civiltà cristiana, rimangono singoli uomini sempre più soli, individui senza corpi sociali che li aiutino a vivere meglio. Se molte famiglie e parrocchie sono state oasi preziose nell’ultima fase del processo di distruzione della cristianità, continuando a formare giovani alla vita e alla fede, oggi questi corpi intermedi fra il singolo e lo Stato diminuiscono e sono sempre meno in grado di svolgere un compito educativo. Laddove esistono vanno aiutate e frequentate, perché una famiglia accogliente, aperta ad altre persone, può svolgere un grande apostolato ed essere il luogo privilegiato per la formazione di giovani.

E non è più sufficiente formare buoni militanti cattolici, e dotarli di una formazione dottrinale seria e profonda per quanto possibile. È necessario anche — e sottolineo anche — offrire luoghi e ambienti dove sia possibile vivere e poi trasmettere una vita cristiana autentica e intensa, che risponda alle domande e alle esigenze dei giovani.

I cristiani dei secoli della prima evangelizzazione lo hanno fatto, custodendo e trasmettendo la fede cattolica nei secoli dal IV al IX, dopo che i loro predecessori, nei primi tre secoli, avevano resistito alle persecuzioni e avevano messo insieme una minoranza creativa — come la definiva Benedetto XVI — capace di arrivare all’Editto di Milano nel 313. Egualmente, in circostanze completamente diverse, i cristiani che facevano parte dei gruppi del dissenso nel Paesi comunisti del secolo XX hanno resistito e hanno trasmesso la fede nonostante gli inevitabili sacrifici, anche della vita, dando origine a «polis parallele» laddove era possibile, e comunque organizzandosi per sopravvivere e incrementare la propria presenza.

DOMENICO BONVEGNA

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