
di Andrea Filloramo
Prevedere chi sarà il futuro pontefice è molto difficile: le regole impongono la massima segretezza sui lavori del Conclave e l’esito del voto dipenderà da dinamiche interne nel Collegio Cardinalizio, che sono imprevedibili.
Un po’ come avviene nei partiti, anche nel Conclave possono esistere varie correnti, che esprimono visioni diverse sul futuro della Chiesa cattolica.
Sulla base di alcuni indizi nonché su alcune ben note posizioni, fatte conoscere attraverso i media, è possibile intuire, però, quali orientamenti potrebbero prevalere nella scelta del prossimo Papa.
Per interpretare le dinamiche del Conclave, alcuni osservatori preferiscono distinguere tra chi vuole proseguire il cammino avviato da Francesco e chi intende segnare una discontinuità.
Ciò significa dare una prospettiva storica allo stile e al senso della riforma della Chiesa operata da Papa Bergoglio che è necessario che si muova tra la continuità e il cambiamento.
Lo stesso Papa era pienamente consapevole di questo processo quando ha affermato che “Il cambiamento è fonte di vita. Non bisogna averne paura. Se non accettiamo di cambiare, se ci chiudiamo nella nostra rigidità, nelle abitudini o nei nostri modi di pensare, rischiamo di morire”, e ha continuato asserendo che per la Chiesa “è doveroso valorizzare la storia per costruire un futuro che abbia basi solide, che abbia radici e perciò possa essere fecondo. Appellarsi alla memoria non vuol dire ancorarsi all’autoconservazione, ma richiamare la vita e la vitalità di un percorso in continuo”.
Si può, pertanto, ritenere che nel conclave prevalga la scelta della continuità almeno parziale, con Francesco, anche se magari con uno stile diverso e maggiore attenzione ad altri aspetti (governo, dottrina, comunicazione).
I cardinali elettori, in ogni caso, votando per il successore di Pietro, sanno e e tengono conto che Francesco ha riportato con la sua testimonianza il Vangelo al centro, che “il vangelo non è un modo di dire ma un modo di vivere”.
Questa impostazione non possono abbandonarla poiché è la risposta più efficace alla crisi della fede.
A questo punto è lecito anche parlare di cardinali conservatori e progressisti.
Ma, chi sono i tradizionalisti o conservatori? Quale Chiesa e Papa essi vogliono?
Al di là di quello che ha detto qualche cardinale in qualche intervista, nulla o poco sappiamo o prevediamo sulla scelta che all’interno della cappella sistina ogni elettore (conservatore o progressista) è chiamato a fare.
Occorre tenere conto del fatto che, nella Chiesa, i vescovi e i cardinali ritenuti tradizionalisti, in questo ultimo decennio, si sono mossi sempre in ordine sparso anche se si sono radicati nel mondo clericale; alcuni o molti non sappiamo, sono stati in opposizione tacita al Papa per non perdere i privilegi; altri hanno occupato posti di prestigio ma sempre hanno costituito una minoranza brontolona.
Il loro preambolo ripetuto è stato che il Papa, in quanto successore di Pietro ha il compito di custodire e assicurare l’unità nella fede ed essere garante di una Chiesa ordinata, coerente e fedele al Magistero storico della Chiesa universale nella difesa dell’integrità della dottrina cattolica.
Sono certo che, in questi giorni, nelle Congregazioni dei Cardinali, è stato trattato e discusso un tema molto caro a Papa Bergoglio e sul quale egli ha costruito tutto il suo pontificato.
Il tema è quello del ruolo del Papa in relazione al Concilio Vaticano II (1962–1965), quel Concilio, convocato da Giovanni XXIII e proseguito da Paolo VI, che ha avuto l’intento di aggiornare la Chiesa per dialogare meglio col mondo moderno, che come sappiamo – non definì dogmi nuovi, ma introdusse profondi cambiamenti pastorali, liturgici e teologici, maggiore apertura al mondo contemporaneo, riconoscimento della libertà religiosa, osteggiati dai conservatori.
Del Concilio è bene ricordare quanto Papa Francesco ha detto e cioè:“ Il restaurazionismo è arrivato a imbavagliare il Concilio. Il numero di gruppi di «restauratori» […] è impressionante. […] Non hanno mai accettato il concilio Vaticano II. Il problema è proprio questo: che in molti contesti questo concilio non è stato accettato. È anche vero che talvolta ci vuole un secolo prima che un Concilio si radichi. Avremmo dunque ancora quarant’anni per farlo attecchire. Il problema di molta Chiesa contemporanea è proprio la non accettazione del Concilio”.
Concludiamo, perciò, affermando che la nostra speranza è che il conclave, chiamato a scegliere il successore di S. Pietro, porti a compimento, al di là della persona del Papa che sarà eletto, il cammino intrapreso della Chiesa così come voluto dal Concilio Vaticano II, un cammino indubbiamente difficile ma sicuramente percorribile.