Il buon giornalismo alla prova dei clic

Ci lamentiamo, giustamente, del ruolo e dello spazio che stanno guadagnando gli “influencer” e protestiamo perché la loro “missione” risulta priva di regole etico-deontologiche, essendo ispirata solo da logiche di clic e di business pubblicitario.

Tutto vero. Il messaggio che questi guru o presunti tali veicolano, attraverso i profili social o attraverso i blog, esce spesso dai confini della ragionevolezza, è uno spot a buon mercato per gli investitori e per le aziende che si allontanano dai media tradizionali, in definitiva è qualcosa che si spaccia per giornalismo ma non lo è. Dunque ci diciamo che bisogna correre ai ripari. Già. Ma come?

Rimpiangere un passato di immacolata serietà informativa è un errore, persino un falso, una fake news. Di scheletri nell’armadio ne abbiamo. E non pochi.

Piuttosto, dobbiamo comprendere ciò che avviene attorno a noi, dobbiamo aprirci alle moderne realtà comunicative, dobbiamo persino riconoscere che alcuni dei novelli manipolatori , gli influencer o i blogger su commissione (guai a generalizzare), sono spregiudicati e a volte impostori, ma abili e veloci nell’intercettare i gusti, le curiosità, le mode, in definitiva dobbiamo essere realisti e non pessimisti o sprezzanti.

Il che non significa abdicare dal principio della correttezza o smettere di rivendicare controlli e paletti normativi. Significa semmai distinguerci dai missionari della superficialità con la credibilità della nostra informazione. Non conta prendercela con il mezzo o con i nuovi affabulatori. Conta per prima cosa ragionare su noi stessi e sui contenuti che produciamo.

Oggi più che mai conserviamo un’arma potente per frenare lo scivolamento verso il basso della professione: è la qualità, la qualità del lavoro che svolgiamo, la qualità dei giornali che prepariamo, la qualità dei siti online, la qualità dei blog, la qualità dell’impaginazione, la qualità dei titoli. E, con la qualità, l’onestà etica e deontologica che ci devono ispirare sempre, convincendoci a tenere la schiena diritta dinanzi alle suggestioni peggiori, ovvero le suggestioni della piaggeria e della compiacenza che si trasforma in marchette.

Purtroppo e con frequenza crescente dimentichiamo tutto ciò:  non scriviamo ma copiamo, non impaginiamo ma insacchiamo, non titoliamo ma urliamo, non informiamo ma ci autocelebriamo, non facciamo cronaca ma eccediamo in oziose e pettegole frivolezze. L’intrattenimento è anche arte del buon senso. L’abbiamo smarrito. Proviamo a riscoprirlo.

La colpa non è della Ferragni (un nome a caso) ma di chi crede che sia brillante o geniale  tempestare ogni giorno coi suoi starnuti e che questo sia il percorso corretto per allargare le nostre platee. No. Così confermiamo unicamente di essere inadeguati alle sfide.

Ci stiamo tirando da soli la zappa sui piedi. I lettori e il popolo del clic sanno distinguere il buon giornalismo dal pessimo o finto giornalismo. Mettiamoli nella condizione di scegliere. Dipende da noi.

Fabio Cavalera
Consigliere dell’Ordine dei Giornalisti Lombardia
Presidente Associazione Walter Tobagi