Fasola amava molto la città dello Stretto

Quanto ho scritto recentemente su Mons. Francesco Fasola ha avuto il gradimento dei preti e dei laici che l’hanno conosciuto, stimato e amato.

 

di ANDREA FILLORAMO

Quanto ho scritto recentemente su Mons. Francesco Fasola ha avuto il gradimento dei preti e dei laici che l’hanno conosciuto, stimato e amato.

Ciò vuol dire che il suo ricordo non solo ancora è vivo, ma che è loro desiderio che venga riconosciuta dalla Chiesa la sua santità e che, quindi, dopo un lungo periodo di silenzio, dovuto, come alcuni mormorano, all’ ignavia o incompetenza o negligenza del precedente postulatore, vengano accelerate le procedure previste per la sua canonizzazione.
L’arcidiocesi di Messina non può essere indifferente di fronte a questo sperato evento poiché la vita e la preziosa opera pastorale di Mons. Fasola, occupano un capitolo molto importante della storia messinese.
Il fatto che personalmente io sia stato molto vicino a lui dal 1977, anno in cui ha lasciato Messina e si è ritirato al Sacro Monte di Varallo, non molto distante da casa mia, fino al 1988, anno della sua morte, sollecita in me ricordi affettuosi e tanti pensieri filiali.
Quante volte con la mia autovettura, dopo esserci sentiti telefonicamente (ancora è nelle mie orecchie: “Sono Padre Francesco!” ), da solo o, su suo esplicito invito, con la mia famiglia, mi sono portato in quel luogo che S. Carlo Borromeo denominò “Nuova Gerusalemme”, che, per la bellezza e per le sue testimonianze di fede e di arte, costituisce un monumento unico e in cui, nella preghiera, nel silenzio, e negli incontri con quanti andavano a trovarlo, l’arcivescovo Fasola passò gli ultimi anni della sua vita.
Era felice quando da Messina qualcuno o molti in comitiva si recavano da lui.
Fasola amava molto la città dello Stretto, dove avrebbe preferito morire, se la sua discrezione e il timore di accentrare su di sé l’attenzione a discapito del suo successore, non l’avessero orientato ad allontanarsi dai messinesi che egli considerava e ha sempre considerato suoi figli.
A proposito del distacco da Messina, un giorno mi disse: “Mi sono sentito come mio padre che ha lasciato la famiglia ed è emigrato negli Stati Uniti”.
Quanto qui scrivo l’ho già testimoniato, circa 10 anni or sono, all’inizio del processo di beatificazione ma molte altre cose potrei aggiungere se non fossi obbligato al silenzio che la mia coscienza mi impone.
Certo che l’episcopato a Messina di Mons. Fasola, si è svolto in un periodo di grandi difficoltà. Eravamo allora, infatti, nel post-Concilio quando se da una parte si chiedeva che la Chiesa “accelerasse” le sue riforme, alla luce – si diceva – dei Decreti Conciliari; dall’altra parte in molti c’era il richiamo spesso non giustificato alla prudenza, al rimando a tempi che non sono arrivati mai.
Proprio in quegli anni molti preti abbandonavano il ministero: ciò accadeva del resto in tutte le diocesi del mondo e non tutti quelli che “lasciavano” lo facevano per il desiderio di prendere moglie. E’ stato questo un fenomeno non facilmente controllabile dai vescovi locali e, quindi, non imputabile nella diocesi peloritana a Fasola, ma pienamente compreso dal Papa Paolo VI che, a differenza del suo successore che non riuscirà però a mettere un freno alle uscite dal ministero dei preti, concedeva la necessaria dispensa.
Con tutti loro l’arcivescovo Fasola ha voluto mantenere i contatti almeno epistolari.
Non possiamo non pensare, inoltre, alle enormi difficoltà dell’arcivescovo Fasola nella gestione di una diocesi che, precedentemente e in assenza di un arcivescovo novantenne, per 40 anni quasi sempre a Roma, era governata da alcuni “monsignori”, dei “satrapi”, che facevano il buono e il cattivo tempo, premiavano, castigavano o affamavano a loro piacimento i preti. Tutto, perciò, “sapeva di muffa”, nessuna novità s’affacciava sull’orizzonte della diocesi, non esisteva la meritocrazia nell’affidamento degli incarichi, il vizio più comune dei preti che volevano “stare a galla” nel pantano diocesano era l’ipocrisia.
Spero veramente che questa situazione non si sia più ripetuta, da quando l’arcivescovo Fasola ha cercato di superarla.
Ricordiamo che quei monsignori precedentemente si erano “liberati” di un arcivescovo coadiutore con diritto a successione, Mons. Guido Tonetti, che “esausto” per la guerra che essi gli mossero contro, preferì fuggire nella piccola diocesi di Cuneo, dove divenne vescovo, mantenendo il titolo di arcivescovo. Da allora un vescovo ausiliare resse le sorti della diocesi.
Che dire, poi, dei preti destinati alla formazione dei chierici? E’ preferibile tacere.
Credo che Mons, Giovanni Accolla, attuale arcivescovo di Messina, Lipari e Santa Lucia del Mela, che ha preso a cuore la causa di beatificazione del suo predecessore, utilizzi tutte le strategie per tener viva l’attenzione sulla vita e le opere di Mons. Francesco Fasola, che può diventare assieme a S. Annibale Di Francia e a Santa Eustochia Calafato un altro protettore della diocesi.